Quante realtà? Una, nessuna, centomila – Seconda parte

Appunti sul Sistema percettivo – Analogia con il Principio di Indeterminazione

(Per la prima parte vedi: Appunti sul sistema percettivo – 1ª parte)

Nella prima parte di questo lavoro abbiamo visto come l’uomo costruisca un’immagine mentale interna che il cervello elabora dai segnali provenienti dagli organi di senso. Le modalità di queste operazioni sono state studiate dai ricercatori utilizzando anche le illusioni ottiche, cioè imparando anche dagli sbagli e dagli errori. Questo modo di imparare si è verificato sovente nella medicina: infermità, disturbi, lesioni particolari di organi hanno permesso di comprenderne meglio le funzioni e di capirne l’operatività.

Nel giocare con le illusioni ottiche appare un fatto che sembra sorprendente: l’osservatore continua a percepire come differenti due figure anche dopo che si sia dimostrato che sono identiche. A questo proposito si vedano “I cerchi di Ebbinghaus/Lipps” oppure “Le frecce di Müller-Lyer” nel documento pubblicato col medesimo titolo di quest’articolo (vedi doc. QUANTE REALTÀ – 2ª parte.)Questa stranezza ci fa capire come il meccanismo di riconoscimento di un oggetto segua rigidamente un algoritmo messo a punto e consolidato in un lungo percorso evolutivo e non se ne discosti anche quando la mente ha raggiunto una consapevolezza diversa. La base biologica dell’uomo agisce secondo schemi legati alle sinapsi dei neuroni (cioè legati a circuiti elettrici) e questi schemi non sono facilmente modificabili in base a un unico intervento, breve e sporadico, della sfera mentale. Di fronte ad esempi come quelli citati, invece di dire “non credo ai miei occhi” sarebbe più corretto dire “non credo al mio cervello”, ma siccome chi “crede” è il cervello … (frase le cui conseguenze sono tutte da meditare.). Sarebbe necessario un terzo ente controllore, super partes, in grado di valutare all’istante chi è in errore. Ma se tale illuminato controllore esistesse noi avremmo già buttato nella spazzatura le altre partes.

Richard L. Gregory (1923-2010)

Tra le tante competenze acquisite dall’umanità, desideriamo evidenziare la ricostruzione cognitiva, ossia, quella capacità sviluppata con l’esperienza che ci permette di completare le immagini, la scrittura, il linguaggio anche quando sono espressi solo parzialmente. Quest’abilità però, in linea di principio, non può applicarsi a ciò che non è già stato conosciuto, anche se l’epigenetica, con le ultime ricerche, ci dimostra che le competenze funzionali alla sopravvivenza, per esempio, possono essere congenite, ossia tramandate dalle generazioni passate. In merito a quanto espresso, possiamo aggiungere che una ricerca attuale e molto interessante, potrebbe portarci a formulare: ”Nuove ipotesi circa il bios psicologico” Una breve storia potrebbe aiutarci a comprendere meglio.
Fino agli anni 70, imperava la cultura deterministica anche sul piano psicologico. Superata l’antropologica struttura rousseauiana che considerava i bambini nascere come “tabula rasa”, si era inserito nel pensiero comune, supportato dai ricercatori e dalle psicologie dominanti in quell’epoca, il reame del condizionamento.  Per queste teorie e ricerche, molto del nostro essere e pensare, era determinato dai condizionamenti culturali, religiosi, familiari. Al riguardo il libro di Elsa Belotti: “Dalla parte delle bambine” ha segnato un’epoca culturale in Italia. In epoca più recente, invece, grazie all’avvento delle neuroscienze, della P.N.E.I (PsicoNeuroEndocrinologiaImmunologica) quindi delle nuove psicologie integrate, si è potuto indagare e scoprire ciò che potrebbe essere definito come innatismo, il bios psicologico, appunto. Questa teoria afferma che per cause ancora da studiare trasversalmente, ogni bimbo, nasce non solo con tutti gli elementi genetici ereditati dai genitori e dagli assi generazionali, ma anche con competenze acquisite, di tipo psicologico. La storia è ricca di esempi circa personaggi quali Raffaello Sanzio, Torquato Tasso, Artemisia Gentileschi, Abraham Brueghel, Johann Sebastian Bach, Wolfgang Amadeus Mozart, e molti altri che in età molto precoce dimostravano competenze nelle varie arti: dalla scienza alla musica, dalla poesia alla pittura, ecc. Quest’argomento, richiederebbe una particolare attenzione, in modo da poter offrire al ricercatore spunti di interesse che attraversino tutte le scienze e le conoscenze di tipo spirituale che le antiche tradizioni e non solo ci hanno tramandato.
Per la costruzione dell’immagine mentale interna, il cervello dispone di diversi strumenti: le conoscenze acquisite tramite esperienze passate, il livello culturale, la sensibilità emotiva, la capacità di associare idee diverse … in poche parole dispone di tutta la personalità (*) dell’osservatore. Si potrebbe concludere che più vaste sono le conoscenze, più numerosi sono gli strumenti a disposizione del cervello. Quest’osservazione, peraltro ovvia, sembra dare un vantaggio cognitivo alla persona “istruita”. Sarà poi sempre vero? A dirimere la questione ci viene in soccorso il prof. Richard Gregory il quale, come descritto nel documento citato (vedi sopra), descrive l’esperimento che alcuni antropologi fecero mostrando agli Zulù (popolazione semiprimitiva del Sudafrica) illusioni ottiche geometriche e prospettiche. Sorprendentemente gli Zulù non erano ingannati, ma percepivano le figure nelle loro reali proporzioni. Questo perché nel loro cervello non vi erano memorizzati ricordi di oggetti simili con cui fare il confronto. Analogamente si racconta che gli indios del Sudamerica si stupissero vedendo i conquistadores spagnoli approdare dall’oceano su piccole scialuppe. Vedevano le caravelle ancorate alla fonda, ma non le riconoscevano quali imbarcazioni capaci di affrontare il mare aperto perché non le avevano mai viste, cioè non facevano ancora parte del loro bagaglio culturale.sembra dare un vantaggio cognitivo alla persona “istruita”. Sarà poi sempre vero? A dirimere la questione ci viene in soccorso il prof. Richard Gregory il quale, come descritto nel documento citato (vedi sopra il link) descrive l’esperimento che alcuni antropologi fecero mostrando agli Zulù (popolazione semiprimitiva del Sudafrica) illusioni ottiche geometriche o prospettiche.
Abbiamo la conferma che il sistema percettivo delle popolazioni semi primitive funziona con gli stessi meccanismi delle popolazioni più evolute; ma contemporaneamente abbiamo anche accertato, con un po’ di disappunto, che il bagaglio culturale può essere un fattore di condizionamento, addirittura una causa di errori. Cosa risaputa, ma forse non abbastanza considerata.
Le illusioni ottiche (vedi anche la prima parte di tale articolo pubblicata a febbraio 2018) ci stimolano altre considerazioni. Senza entrare nel merito delle diverse e approfondite teorie sulla percezione (da quella di von Helmholtz alla Gestalt, dal New Look on Perception alla teoria di Gibson oppure di Marr, ecc), riportiamo due riflessioni di carattere generale.
1 – Nell’osservare un oggetto o una scena esterna l’uomo utilizza strumenti del tutto soggettivi: dipendono e derivano strettamente dalle proprie conoscenze, livello d’istruzione, cultura, situazione sociale e ambientale, vita vissuta, ecc. in una sola parola dipendono dalla sua personalità. Anche il meccanismo di confronto fra oggetto e sfondo oppure fra oggetto presente e memorie precedenti evidenzia che la conoscenza dell’uomo è relativa e non assoluta. Queste constatazioni confermano che esistono solo OPINIONI PERSONALI.2 – Nell’osservare un oggetto o una scena esterna l’uomo si basa sulle apparenze, sull’aspetto fenomenico dell’oggetto o della scena; che siano raggi di luce riflessa o bordi del contorno, che siano suoni emessi o profumi effusi, sono sempre aspetti fenomenici: non è colto il noumeno. L’essenza dell’oggetto continua a sfuggire. Non solo, ma le apparenze sono interpretate, cioè adattate, per non dire deformate, dal filtro soggettivo dell’osservatore (vedi punto precedente). È una scoperta per molti versi drammatica: guardo una cosa e la altero! L’oggetto, quando non è osservato da nessuno, ha una sua identità e una sua realtà che a me resteranno sempre inconoscibili: perché non appena gli do un’occhiata lo “deformo” con i miei strumenti cognitivi. Nelle filosofie orientali si parla del mondo manifesto come di Maya: la Grande Illusione, l’Illusione Cosmica. Per la cultura occidentale (vedi il “Velo di Maya” di Arthur Schopenhauer) è una concezione poco diffusa e un po’ sconcertante.

Il falso specchio – R. MAGRITTE (1928)

Il contributo della psicanalisi prima e poi della più moderna psicologia cognitivista -comportamentale, ci ha aiutato a comprendere quanto noi, attraverso i nostri vissuti condizionanti, interpretiamo la realtà. Queste interpretazioni, queste letture della realtà esperienziale, determinano la qualità dei nostri pensieri e i successivi comportamenti, creando così la nostra felicità o infelicità. Nella nostra crescita personale, ora sappiamo di avere un maggiore margine di azione, determinata dai possibili livelli di libertà acquisibile. Libertà dai condizionamenti del passato, e più numerosi strumenti per vivere in modo coerente, inclusivo e creativo il nostro presente. Avremo anche modo di sviluppare in seguito, le ricerche che affrontano la possibilità di essere creatori del nostro futuro.

Ritornando alla lettura di un quadro che ci dimostra quanto sia importante la presa di coscienza del nostro “mondo illusorio”, possiamo allargare l’orizzonte al campo della Fisica. In particolare alla Fisica Quantistica. Infatti, l’impossibilità di afferrare la vera sostanza delle cose richiama immediatamente per analogia un importante concetto della fisica moderna: il PRINCIPIO di INDETERMINAZIONE di W. HEISENBERG. Tale Principio, che per la sua importanza meriterebbe un discorso dedicato, afferma che non è possibile conoscere contemporaneamente posizione e velocità di una particella elementare. Per gli amanti della fisica ricordiamo la dicitura più precisa: “Non è possibile conoscere contemporaneamente, e con la medesima precisione, la posizione e la quantità di moto di una particella”. Questo fatto è causato non già dai limiti della strumentazione o dalla scarsa capacità dello sperimentatore, bensì dalla costituzione della materia stessa.
Quindi è ineliminabile.
Siamo arrivati alla frontiera della conoscenza?

I fisici ormai hanno accettato da più di un secolo che i costituenti fondamentali della materia, le particelle, abbiano una doppia natura: siano onde, ma siano anche corpuscoli, piccolissimi granellini di materia. Infatti, negli esperimenti si comportano indifferentemente sia come onde, sia come corpuscoli. Il matematico e scrittore britannico Ian Nicholas Stewart al riguardo aveva proposto il vocabolo wavicle (da wave = “onda” e da corpuscle = “corpuscolo”) che in italiano si potrebbe tradurre in “onduscolo”. Vocabolo che però non ebbe fortuna mediatica.
Vedi nel documento segnalato esempi esplicativi del principio di Indeterminazione.
Dice Heisenberg: “Non possiamo conoscere la realtà come lei è. Noi conosciamo solamente la realtà modificata [alterata] dal nostro modo di osservazione”. Che è esattamente il senso del precedente punto 2) cui siamo giunti giocando con le illusioni ottiche.
Heisenberg si riferisce chiaramente alle particelle elementari, cioè a una realtà microscopica. Ma possiamo condividere e sottoscrivere anche noi il senso di quest’affermazione che verifichiamo essere valida pure nella realtà macroscopica in cui siamo immersi: basta considerare quante liti e conflitti nascono dai differenti punti di vista nonostante si riferiscano alla medesima realtà, alla medesima situazione.
Come se ne esce da questa prigione?
Senza invocare il “Risveglio” dell’iniziato o la sua “Illuminazione”, come ci prospettano le vie mistiche delle filosofie-religioni orientali, possiamo pensare in semplicità di superare questa difficoltà in due modi:
1 – Con L’ UNIONE DELLE FORZE. Ovverossia con il comporre le opinioni personali, il comprendere i punti di vista, il riunire in un unico grande affresco le singole tessere, che, pur di colore contrastante, danno significato a un’unica visione, a un disegno unitario.
2 – Con l’INTUIZIONE. Ovverosia con l’utilizzo di uno strumento mentale (costituivo dell’uomo) che è usato da tutti, molto spesso inconsciamente, ma forse non è tenuto nella giusta considerazione.

La via etichettata come “Unione delle forze” valuta la possibilità di comporre i punti di vista suggerendo l’analogia con un gioiello del quale ogni osservatore può cogliere solo una singola sfaccettatura: ma riunendo tutte le sfaccettature si potrà arrivare alla visione completa. La COMPRENSIONE dei PUNTI DI VISTA, che dia pari dignità a ogni opinione personale, si potrà svolgere in un GRUPPO di persone animate dallo stesso scopo e che condividano il campo d’azione (la propria personalità) con un medesimo progetto di evoluzione personale. L’unione di tante forze, ciascuna con la volontà di condividere la propria piccola personale visione soggettiva, favorirà la nascita di una visione unitaria e perciò inclusiva, più completa e sicuramente più vicina alla realtà del “gioiello” stesso. Come nel secondo prisma di Newton (vedi documento citato) dove tutti i colori dell’iride si riuniscono nel formare la luce bianca: luce di ordine superiore, poiché è più luminosa di ciascuno dei colori costituenti.

Questo ci ricorda che la realtà psichica di cui siamo fatti, ci porta a interpretare il nostro mondo, quindi, la nostra realtà quotidiana, dove vediamo spesso nell’universo delle relazioni, il groviglio delle alterità nei conflitti causati da modelli interpretativi diversi. Lo dimostra, per esempio, lo stato di conflitto, e quindi le successive sofferenze, che nasce dalla semplice incomprensione tra il funzionamento del pensiero maschile e quello femminile. Le diverse ideologie politiche religiose, culturali, appartengono alla condizione delle diversità e delle loro interpretazioni. Possiamo però riconoscere, anzi, dobbiamo riconoscere che questa realtà, è comunque occasione e opportunità di crescita. Infatti, la citata strada dell’UNIONE delle FORZE, cioè la COMPRENSIONE DEI PUNTI DI VISTA, dove il senso etimologico di comprendere (= prendere con sé, accogliere) aiuta a chiarire il concetto, diventa la palestra dove esercitare quella che è una competenza tipicamente umana, quella dell’abbraccio inclusivo. Una competenza che porta ad arricchirci, che ci mette nella condizione di capire e accettare l’altro con la sua diversa realtà. È una scuola infinita, ricca di opportunità, mentre impariamo a diventare, più flessibili, tolleranti, generosi, inclusivi. In pratica più saggi. A tale proposito ricordiamo l’aforisma di Dudley Field Malone: “ Non ho mai imparato niente da chi era sempre d’accordo con me”.

Il secondo modo invece vede l’utilizzo di quello che molti ricercatori hanno battezzato il MENTALE SUPERIORE: e questa è la vera via che supera l’apparenza del fenomeno cui sono legati i nostri sensi. L’INTUIZIONE (che etimologicamente significa = vedere dentro) non è mediata dalla cultura, dalle conoscenze, non è legata all’istruzione o tantomeno allo stato sociale o al credo religioso: è una facoltà dell’uomo in quanto tale. Possiamo dire che è connaturata all’intima essenza dell’Uomo, cioè alla sua parte spirituale, all’anima. L’intuizione è un segno del Trascendente, dello Spirituale insito nell’Uomo che, come tale, è in perfetta relazione di consonanza con la scintilla di trascendente che nel mondo manifesto condensa e vivifica la forma del fiore, del sasso, dell’acqua, della farfalla, della galassia ….

I centri spirituali s’intendono senza necessità di mediazione poiché sono sullo stesso piano, sono della medesima sostanza.

Anche l’Intuizione meriterebbe un discorso dedicato.


(*) – Secondo Lucio Pinkus (n. 1942) la “personalità” può essere intesa come “quel sistema che si costituisce nell’individuo umano partendo da una base neurologica ereditaria e che si modella via via nei rapporti con l’ambiente, dal quale giungono informazioni che vengono recepite, memorizzate, interpretate ed utilizzate.” Lo studio della personalità è stato promosso da diverse teorie ognuna delle quali ha analizzato aspetti diversi di questa complessa realtà. In particolare possiamo distinguere approcci che si sono interessati allo “sviluppo della personalità”; ossia l’insieme dei processi che sottendono la costruzione del sé, l’instaurarsi dell’identità personale, gli intrecci tra cognizioni e affetti che ne regolano le condotte. Alcuni si sono occupati invece della “struttura della personalità”; ossia del modo in cui essa si presenta nei suoi elementi costitutivi.

Nota: Questo articolo viene pubblicato mentre la Terra transita  nel quinto settore del segno di Aquarius che trasmette nel Sistema solare il 5° Raggio creativo

 

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Una risposta a Quante realtà? Una, nessuna, centomila – Seconda parte

  1. Gabriela dice:

    Infatti, la Grecia antica ci insegna che tra VERITA’ e OPINIONE ci sono varie differenze. Si parlava di ALETHEIA e di DOXA per distinguere una dimensione di enunciazioni veritiere da una dimensione di enunciazioni dovute a pareri individuali e collettivi.
    Credo che, in fondo, la dicotomia tra il ‘vero’ e il sentimento soggettivo continuino ad influenzarci.
    In pratica dovremmo occuparci del concetto di VERITA’, visto nelle varie discipline, compresa la scienza
    E’ proprio con la scienza che l’idea secondo cui ciò che appare, può celare altri significati e, infatti, la verità è anche disvelamento, ri-velazione, un’opera di scoperta di ciò che vige sotto apparenze.
    La fisica quantistica stessa non esisterebbe se ci si fermasse solo a ciò che è evidente.

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