Simbolo

Glossario – Simbolo

 

 Etimo secondo TPS

 

Dal latino symbolos, segno di riconoscimento, traslato dal greco symbolon, segno e patto, derivato dal verbo sumballo, gettare insieme, composto da syn, insieme, e da ballo, gettare, dalla radice greca BAL. F. Rendich ipotizza invece che in greco, ad un certo stadio di sviluppo della lingua, la consonante indoeuropea “g”, che esprimeva il moto tortuoso del lampo – la stessa di Agni, il dio del fuoco – passasse a “b”: “bal” da “gal”, gettare (DEC, p. 61). Anticamente si denominava “simbolo”, ad es., il contrassegno che soleva rompersi in due parti che, conservate da due famiglie, servivano ai membri di entrambe per comprovare reciproci atavici legami di amicizia. È testimoniato l’uso estremamente vario del contrassegno; in ogni caso il simbolo era atto a richiamare l’idea che rappresentava, e rimase vivo il suo significato di rappresentare concetti etici o spirituali attraverso immagini. Il simbolo funziona come una chiave: è un’immagine che apre le porte di tutto ciò che lo compone, ad ogni livello.

 

Il simbolo indica la sintesi ignea

 

Nel Lambdoma Generatore la definizione è: Il Simbolo è il segno sintetico (4.6)


Treccani

 

sìmbolo s. m. [dal lat. symbŏlus e symbŏlum, gr. σύμβολον «accostamento», «segno di riconoscimento», «simbolo», der. di συμβάλλω «mettere insieme, far coincidere» (comp. di σύν «insieme» e βάλλω «gettare»)]. –

1. Nell’uso degli antichi Greci, mezzo di riconoscimento, di controllo e sim., costituito da ognuna delle due parti ottenute spezzando irregolarmente in due un oggetto (per es., un pezzo di legno), che i discendenti di famiglie diverse conservavano come segno di reciproca amicizia.

2. fig. a. Qualsiasi elemento (segno, gesto, oggetto, animale, persona) atto a suscitare nella mente un’idea diversa da quella offerta dal suo immediato aspetto sensibile, ma capace di evocarla attraverso qualcuno degli aspetti che caratterizzano l’elemento stesso, il quale viene pertanto assunto a evocare in partic. entità astratte, di difficile espressione: il focolare è s. della famiglia; la palma è s. del martirio; la volpe è s. dell’astuzia, il leone della forza, il cane della fedeltà, la colomba della pace; in Dante, Ulisse diventa il s. dell’ansia di conoscenza; eroe, personaggio che assurge a s., che assume valore di s., elevato a s. (di una nazione, di un’idea, di un carattere, di una tendenza, ecc.). Con riferimento a città, stati, movimenti, partiti e sim., segno distintivo e rappresentativo: il giglio è il s. di Firenze; la croce è il s. del cristianesimo; il panda è il s. della fondazione WWF.

2.b. Nella scienza giuridica, ognuna di quelle formalità rituali che, spec. nelle civiltà più primitive, servono a costituire la celebrazione dei negozî giuridici. Analogam., con riferimento a fenomeni religiosi e culturali, ogni funzione rituale la cui realtà è sentita dai fedeli come simbolica dell’arcano essere divino.

2.c. In psicanalisi, la rappresentazione figurata di un contenuto (desiderio, conflitto, ecc.) inconscio e latente.

2.d. In semiologia, secondo la terminologia di Ch. S. Peirce (1839-1914), segno il cui significante è in rapporto puramente convenzionale con la cosa significata, alla quale si collega in virtù di una regola costante, e in genere nota e accettata dai più (per es., la bilancia come simbolo della giustizia), a differenza delle icone che hanno rapporto di somiglianza con la realtà esterna, e degli indici che sono con questa in rapporto reale o di «contiguità».

3. Segno grafico, lettera o gruppo di lettere, assunti per convenzione in varie discipline a indicare determinati elementi, enti, grandezze, strumenti, operazioni e sim.: π è il s. matematico che indica il rapporto fra la lunghezza di una circonferenza e la lunghezza del diametro.

In partic.:

3.a. In cartografia, ciascuno dei segni convenzionali usati per rappresentare su una carta topografica, geografica, ecc., gli elementi naturali (monti, laghi, fiumi) o antropici (case, ponti, città), generalm. riportati e spiegati in apposita leggenda.

3.b. In chimica, notazione di un elemento chimico formata di solito dalla prima lettera, eventualmente seguita da un’altra, del suo nome latino o latinizzato (come, per es., Cu, simbolo del rame, detto in latino cuprum). Hanno valore simbolico anche molti altri segni usati nella notazione di reazioni o in formule di struttura. Così, in partic., + in alto a destra del simbolo di un elemento o di un radicale indica che esso risulta elettricamente positivo, cioè è un catione, e con due o più segni + o, meglio, con 2+, 3+, ecc., si indicano più cariche positive; analogam. il segno − indica cariche negative. Il segno posto tra due elementi indica l’esistenza di un legame semplice; il segno = l’esistenza di un legame doppio, triplo, come, per es., in CH3CH2CH3, CH2=CH2, CHCH, formule di struttura, rispettivam., del propano, dell’etilene e dell’acetilene. Il segno indica il senso nel quale avviene una reazione, →s indica che la reazione può procedere sia verso destra sia verso sinistra, cioè che è reversibile e che si stabilisce un equilibrio tra i componenti del sistema reagente. Per le lettere greche α, β, γ, ecc., usate come simboli, v. i singoli nomi con cui sono chiamate: alfa, beta, gamma, ecc.

3.c. In cristallografia, s. cristallografici, l’insieme degli indici che permettono di determinare la posizione della faccia di un cristallo oppure la sua forma semplice: così, nel sistema monometrico, i simboli delle facce del cubo saranno (100), (010), ecc., mentre la forma avrà per simbolo {100}.

3.d. In informatica, carattere o insieme di caratteri che rappresenta per convenzione una quantità, un dato, un’istruzione, un’operazione o un processo. S. d’informazione o di controllo, lo stesso che cifra d’informazione o di controllo (v. cifra, n. 4).

3.e. In logica, s. logico, segno usato per rappresentare un operatore logico (negazione, congiunzione, disgiunzione, quantificatore universale, ecc.).

3.f. In musica, ciascuno dei segni convenzionali (per es., chiavi, pause) indicanti toni, valori, interruzioni di suoni, ripetizioni e sim.

4.a. Nelle religioni misteriche, la formula che, come motto, serviva di riconoscimento tra gli iniziati.

4.b. Nella religione cristiana, il compendio delle fondamentali verità di fede che il candidato al battesimo (o, in sua vece, il padrino o la madrina) deve recitare come segno e manifestazione della propria fede e che deve sempre osservare come norma universale di vita: s. apostolico, quello recitato dal battezzando nei primi tempi della Chiesa, così detto perché si credeva composto dai dodici apostoli; s. atanasiano (o Quicumque, dalla prima parola), così detto perché attribuito per molto tempo a s. Atanasio, conservato ormai solo nell’ufficio divino; s. niceno-costantinopolitano, il simbolo più complesso, cioè il Credo recitato nella messa, risalente indirettamente ai simboli dei concilî di Nicea (325) e di Costantinopoli (380).

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Wikipedia

 

Il simbolo è un elemento della comunicazione, che esprime contenuti di significato ideale dei quali esso diventa il significante. Tale elemento, sia esso un segno, gesto, oggetto o altra entità, è in grado di evocare alla mente dell’osservatore un concetto diverso da ciò che il simbolo è fisicamente, grazie a una convenzione prestabilita (es. la croce è il simbolo del Cristianesimo) o a un aspetto che lo caratterizza (es. il leone è il simbolo della forza).

Il Chi Rho uno dei primi cristogrammi.

Etimologia

La parola “simbolo” viene dal latino symbolum che a sua volta si origina dal greco σύμβολον [symbolon] (“segno”) che a sua volta deriva dal tema del verbo συμβάλλω (symballo) dalle radici σύν «insieme» e βάλλω «gettare», avente il significato approssimativo di “mettere insieme” due parti distinte.

In greco antico, il termine simbolo (σύμβολον) aveva il significato di “tessera di riconoscimento” o “tessera hospitalitas (ospitale)”, secondo l’usanza per cui due individui, due famiglie o anche due città, spezzavano una tessera, di solito di terracotta o un anello, e ne conservavano ognuno una delle due parti a conclusione di un accordo o di un’alleanza: da qui anche il significato di “patto” o di “accordo” che il termine greco assume per traslato. Il perfetto combaciare delle due parti della tessera provava l’esistenza dell’accordo.

Simbolo, segno e segnale

Sostengono autori, come Hobbes e altri nel seguito della filosofia inglese come Peirce, e i positivisti e neopositivisti della “logica simbolica”, che il simbolo, nella sua funzione di “stare al posto di” possa scambiarsi con il segno.

Charles W. Morris (1901–1979) per esempio, afferma che il simbolo è un segno che ha un aspetto di convenzionalità maggiore rispetto ai segnali poiché chi esprime il simbolo lo usa come alternativa al segno con cui s’identifica.

I simboli sono inoltre differenti dai segnali, poiché questi ultimi hanno un puro valore informativo e non evocativo.

I simboli si differenziano anche dai marchi, che hanno un valore solamente soggettivo e che vengono usati per indicare un’origine fattuale.

Il simbolo può essere di due tipi:

  • convenzionale, in virtù di una convenzione sociale;
  • analogico, capace di evocare una relazione tra un oggetto concreto e un’immagine mentale.

Ad esempio, il linguaggio parlato consiste di distinti elementi uditivi adoperati per rappresentare concetti simbolici (parole) e disposti in un ordine che precisa ulteriormente il loro significato.

I simboli e i segni possiedono un forte carattere intersoggettivo, in quanto sono condivisi da un gruppo sociale o da una comunità culturale, politica, religiosa.

Hegel distingue il simbolo dal segno che «rappresenta un contenuto del tutto diverso da quello che ha per sé.» Mentre cioè nel segno il contenuto è del tutto diverso dalla sua rappresentazione, nel simbolo l’oggetto simbolizzato è simile alla sua espressione simbolica così come accade allo stesso modo con l’analogia.

«Il simbolo è più o meno il contenuto che esso esprime come simbolo.»

Nella tradizione della Cristianità, il segno è distinto dal miracolo poiché rivela una verità ulteriore a quella storica, che è sempre presente e attuale è per tutte le generazioni successive fino alla fine dei giorni. L’esegesi biblica, tipica ad esempio della Patristica e rinvenuta di frequente nel Vangelo secondo Giovanni, cercano il segno (spirituale) di Dio oltre il miracolo (sensibile) dell’Unigenito edegli altri figli di Dio.

Simbolo e significato tradizionale

Il simbolo runico Algiz è adottato da vari gruppi neopagani

Se, come sostiene René Alleau, una società senza simboli non può evitare di cadere al livello delle società infraumane, poiché la funzione simbolica è un modo di stabilire una relazione tra il sensibile e il sovrasensibile, sulla interpretazione dei simboli e sul loro impiego da sempre gli uomini sono divisi. Tale atteggiamento è spesso dovuto al fatto che spesso l’uomo tenta di trovare un significato ad un simbolo anche se questo non ne ha; può evocare e focalizzare, riunire e concentrare, in modo analogicamente polivalente, una molteplicità di sensi che non si riducono a un unico significato e neppure ad alcuni significati soltanto. All’interno del medesimo simbolo vi sono evocazioni simboliche molteplici e gerarchicamente sovrapposte che non si escludono reciprocamente, ma sono anzi concordanti tra loro, perché in realtà esprimono le applicazioni di uno stesso principio a ordini diversi, ed in tal modo si completano e si corroborano, integrandosi nell’armonia della sintesi totale. Questo che rende il simbolismo un linguaggio meno limitato del linguaggio comune ed adatto per l’espressione e la comunicazione di certe verità, facendone il linguaggio iniziatico per eccellenza ed il veicolo indispensabile di ogni insegnamento tradizionale.

Differenza tra simbolo e allegoria

Un’aquila come simbolo (aquila araldica)

 

Un’aquila come allegoria (A-L. de Roussy-Trioson, Apoteosi dei soldati francesi caduti nella guerra di liberazione)

A questo punto vale la necessità di stabilire che il simbolo è diverso dall’allegoria che si esprime preferibilmente tramite il linguaggio mentre il simbolo contiene di per sé quello che vuole significare.

Un simbolo è qualcosa di più concreto, statico, assoluto rispetto all’allegoria. Per esempio, un’aquila può essere simbolo di regalità, di forza, ecc. Anche un’aquila in volo o in un’altra azione generica spesso ha valenza di simbolo, indipendente dal contesto entro il quale viene posta. Quando invece il contesto è basilare nell’interpretazione si parla di allegoria; un’aquila che, all’interno di una narrazione, scenda dal cielo e faccia una serie di azioni significative può rappresentare un’immagine più complessa (ad esempio simboleggiava il Sacro Romano Impero e in base alle azioni che può compiere nello specifico si può estrapolare una situazione politica specifica). Spesso l’allegoria, nella sua complessità maggiore, ha un’interpretazione “soggettiva”, cioè legata al tipo di lettura che se ne fa. Il legame tra oggetto significato e immagine significante nell’allegoria è arbitrario e intenzionale, a differenza del simbolo in cui è piuttosto convenzionale; nell’allegoria non può essere decodificato in maniera intuitiva e immediata, ma necessita di un’elaborazione intellettuale. L’allegoria è comunque sempre “relativa” (al contrario di “assoluta”), ovvero è suscettibile di una discussione critica nella fase di interpretazione.

Il simbolo quindi con un significato immediato contenuto al suo interno si può dire abbia una valenza metafisica nascosta espressa da un intimo rapporto tra la raffigurazione sensibile espressa nel simbolo e la sua valenza ideale.

Simbolo e allegoria nel Cristianesimo

Nel neoplatonismo e nel Cristianesimo il simbolo ha avuto un’importante rilevanza nell’ambito di una teologia mistica.

Nell’emanatismo di Plotino ogni passaggio è una rappresentazione simbolica del grado che lo sovrasta. Il Cristianesimo ha variamente utilizzato il simbolo o l’allegoria a seconda dei periodi che ha attraversato nel suo sviluppo.

Quando il primo cristianesimo sentiva l’impellente necessità di realizzare il mondo promesso dall’annunzio di Cristo o quando come nel Rinascimento o nell’età barocca appariva una profonda frattura tra l’umano e il divino, era la funzione dell’allegoria a prevalere.

Quando invece il Cristianesimo risentiva dell’influsso neoplatonico ispirato ad una divaricazione del rapporto tra l’uomo e Dio nella storia e nella realtà terrena, allora era il simbolo a prevalere come più adatto a significare i valori e gli elementi ideali della divinità. Così è la visione simbolica di Dio descritta dalla scuola di Alessandria con Filone, Clemente e Origene e dallo stesso Sant’Agostino.

Il simbolo e l’allegoria nell’estetica

Nella filosofia moderna il simbolo trova espressione non più nella teologia ma nell’estetica classicistica come quella che ha in Hegel la sua primitiva definizione e che prosegue fino a György Lukács (1885–1971). Il simbolo qui rappresenta l’opera d’arte realizzata nella sua totale unitaria compiutezza.

Nelle estetiche che originano dal romanticismo – da Friedrich von Schlegel (1772-1829) sino a Walter Benjamin (1892-1940) – torna invece l’uso dell’allegoria, non come espressione intellettuale retorica ma come manifestazione di quella separazione, già notata nell’arte barocca, tra l’umano e il divino, tra la forma estetica e il contenuto materiale.

Il simbolo nelle scienze umane

La scoperta vichiana del simbolismo nelle società primitive troverà ampia applicazione nella antropologia culturale e nelle riflessioni romantiche sul mito per arrivare al simbolismo dei sogni nella psicoanalisi di Freud e nella psicologia del profondo di Jung.

Ernst Cassirer

Una riflessione specifica sul simbolo è stata condotta da Ernst Cassirer (1874-1945) incentrata sul concetto della “funzione simbolica”. Lo spirito umano è in grado di sintetizzare il molteplice sensibile tramite attività naturali come il linguaggio, il mito, la conoscenza razionale. Cassirer conduce poi un’analisi fenomenologica della logica e del linguaggio comune che lo porta a scoprire nel simbolo quello che egli chiama “un più di senso”, un accumulo di significati, che lo rendono molto più significante rispetto al segno e quindi impossibile da utilizzare nella logica formale ed astratta.

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