Radice

Glossario – Radice

 

Etimo secondo TPS

 

Dal latino radix, radice, origine, il cui etimo è incerto: secondo alcuni studiosi, origina dall’etimo indoeuropeo *RAD-, derivato da *VRAD-, che esprimerebbe l’idea del diramarsi attraverso la flessibilità; secondo altri, invece, il termine si ricollega alla radice sanscrita VARDH, con l’idea di crescere, elevarsi. Secondo F. Rendich, l’etimo indoeuropeo di riferimento sarebbe “vṛdh”, affine al secondo sopra citato, in cui individua le componenti [v] “si stacca”, [ṛdh] “per crescere”: “crescere”, “aumentare”: si vedano il sanscrito vardha, crescita; il greco rhadiks, ramo, fronda; il latino ramus (in origine *radmus), (DEC, p. 416).

È in ogni caso evidenziata l’espansione della potenza vitale.

 

Radice significa fondamento dell’energia vitale

 

Nel Lambdoma Modello la definizione è: La Radice è la base causale (6.1)


Treccani

 

radice s. f. [lat. radixīcis]. –

1.a. In botanica, uno dei tre organi caratteristici delle cormofite, che manca in generale di clorofilla e, a differenza del fusto, non porta le foglie: si forma nell’embrione dove prende il nome di radichetta, e si sviluppa penetrando nel suolo per il suo geotropismo positivo; ha la funzione di fissare la pianta al substrato (fatta eccezione delle piante acquatiche galleggianti), di assorbire l’acqua e i nutrienti in essa disciolti, di accumulare sostanze di riserva, in partic. nelle radici tuberizzate. Il suo sviluppo in lunghezza è dovuto all’attività di cellule meristematiche apicali, protette dalla caliptra o cuffia o pileoriza (la cui gelatinizzazione agevola la penetrazione della radice nel suolo); segue una regione di accrescimento in lunghezza e quindi una regione pilifera, coperta di peli radicali destinati a facilitare l’assorbimento; nell’interno (cilindro centrale) decorrono i fasci fibro-vascolari che si collegano con quelli del fusto nella regione del colletto. Similmente a quanto si osserva nel fusto, anche nella radice si può avere una struttura primaria o secondaria. In relazione all’origine, alla morfologia, ecc., le radici si distinguono in: r. principale o r. primaria, quella che si sviluppa dalla radichetta dell’embrione; r. secondaria, ogni radice che prende origine direttamente da quella principale; r. laterale, qualsiasi radice che si sviluppa ai lati di quella principale; r. avventizie, quelle che si formano in sedi improprie (per es., sulle foglie o sui fusti); r. fittonata o a fittone (v. fittone), la radice principale che si sviluppa prevalendo, soprattutto in spessore, sulle laterali; r. fascicolate, le radici sottili, tutte simili per lunghezza e spessore, di solito riunite in un fascio più o meno lasso (come, per es., le radici avventizie delle graminacee); r. tuberizzate, quelle ingrossate, come un tubero, per accumulo di sostanze di riserva, tipicamente in asfodelo, dalia, ecc. (v. tubero e tuberizzazione); r. epigee o aeree, quelle che si sviluppano al di sopra del suolo (v. pneumatoforo) o sospese nell’aria, come quelle delle orchidee epifite. Con riguardo all’utilizzazione: r. commestibili, usate per l’alimentazione umana (carota, ecc.); r. da foraggio, quelle, come la barbabietola, che servono da foraggio. Scherz., mettere le r. al sole, di una pianta, sradicarla dal terreno, abbatterla: quattro contadini, con le zappe in aria, che principiavano a scalzar la pianta, per metterle le r. al sole (Manzoni).

1.b. Nel linguaggio com., la parola è spesso usata invece di rizoma (per es., radice di gramigna); inoltre, spec. nell’uso tosc., è sinon. di ramolaccio e di ravanello.

1.c. Nell’uso commerciale, r. brasiliana, sinon. di ipecacuana; r. colubrina o viperina, sinon. di r. di serpentaria; r. gialla, sinon. di curcuma.

2. estens. e fig.

2.a. Di una montagna, la parte più bassa, i piedi: a le radici Del gran monte Gargano (Caro); meno com., le r. di una torre, di un castello, ecc., le fondamenta.

2.b. In anatomia (e a volte anche nell’uso comune), il termine può indicare sia la porzione d’impianto di un organo in continuo accrescimento (r. del pelo, r. dell’unghia), sia l’elemento morfologico che dà fissità a un organo (r. del dente, della lingua) o che ne costituisce il tratto iniziale (r. di un nervo), sia infine, con criterio funzionale, organi che possono essere considerati origine di altri (r. della vena porta, le vene splenica, mesenterica superiore e mesenterica inferiore). Radici dei nervi, i tronchi nervosi in diretto rapporto con il midollo spinale, costituiti da fibre nervose che, con modalità varia a seconda si tratti dei nervi spinali o dei nervi cranici, penetrano nel sistema nervoso centrale (fibre sensitive delle radici posteriori) o ne emergono (fibre motrici delle radici anteriori). Con sign. più generico, nell’uso com. e letter.: la r. di un callo; arrossì fino alla r. dei capelli; da la radice Sveller si sente il cor dal lato manco (Ariosto); Il colse Penelèo sotto le ciglia Dell’occhio alla r. (V. Monti).

2.c. Nella filosofia antica, principio o causa materiale di tutte le cose: così per Empedocle sono radici i quattro elementi fondamentali della realtà (terra, acqua, aria, fuoco). Più genericam., nell’uso com. e letter., principio, origine, causa: la r. del male; colpire il vizio alla r.; andare alla r. delle cose, di una questione; alla r. delle lotte cittadine in Firenze antica era l’inimicizia di alcune famiglie; O del dolce mio mal prima radice (Petrarca). In antitesi con frutto (inteso come conseguenza, effetto), nel proverbio le r. della virtù sono amare, i frutti dolci.

2.d. In geologia strutturale, territorio di origine, accertato o ipotizzato, di una coltre alloctona di ricoprimento trasportata tettonicamente. In geotettonica, r. di un orogene, la porzione di materiale crostale sialico risucchiato in profondità nella zona assiale dell’orogene stesso, sino a una profondità superiore a quella media della litosfera (60-65 km).

2.e. Nell’uso letter. o elevato, progenitore, capostipite o genitore (talora, entrambi i genitori o progenitori, collettivamente): Qui fu innocente l’umana r. (Dante), Adamo ed Eva; a questo sign. traslato contribuisce anche la tradizionale raffigurazione della genealogia mediante la figura di un albero, a cui è fatto talora un esplicito riferimento analogico: O fronda mia in che io compiacemmi Pur aspettando, io fui la tua r. (Dante), parole di Cacciaguida, trisavolo del poeta.

3. Locuz. più com., in senso proprio e fig.: mettere radice o radici, o le r., di piante, affondare nel terreno e quindi prosperare; in senso fig., di usi, costumi, idee, dottrine, penetrare e diffondersi profondamente, stabilirsi con solidità; anche di sentimenti: la superbia, il dubbio, il sospetto aveva messo radici nel suo cuore (e analogam.: la fede, la virtù, oppure il vizio, ecc., aveva salde r. in lui, nel suo cuore, nell’animo suo); di persona, piantare, mettere le r. in un luogo, stabilirvisi definitivamente, non andarsene più: la sua famiglia era giunta parecchi anni prima nel paese e vi aveva ormai messo radici; l’ospite pareva avere messo radici in casa loro; strappare, svellere, estirpare dalle r., propr. di piante o anche di denti; in senso fig., distruggere, eliminare completamente, soprattutto un male, un vizio, o convinzioni, pregiudizî, ecc.

4. In linguistica, elemento costituito da uno o più fonemi, non ulteriormente analizzabile né riducibile morfologicamente e semanticamente, presente come nucleo concettuale centrale in tutte le parole di una stessa famiglia etimologica o anche, caso più raro, in una parola isolata: così, in italiano, nella famiglia di parole correre, corrente, corridore, corriere, corsa, corsaro, córso, si può isolare una radice corr/cors-, cui corrisponde sul piano sincronico in francese la radice cour/cours– della famiglia courir, courant, coureur, courrier, course, cours, e per l’una e per l’altra si può risalire, sul piano diacronico, alla radice latina cŭrr– di currere, currus, curriculum, cursus, e di qui ricostruire, per mezzo della comparazione con altre lingue indoeuropee, una comune radice più antica *kers-. Le radici sono individuabili in tutte le lingue flessive (come quelle indoeuropee e semitiche) e anche in quelle agglutinanti, ma non nelle lingue monosillabiche; nelle lingue indoeuropee le radici possono essere monosillabiche o bisillabiche, e possono variare per l’azione dell’apofonia (v.) qualitativa e quantitativa; nelle lingue semitiche le radici sono normalmente costituite da un gruppo di tre consonanti (v. triconsonantismo).

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Radice (botanica)

La radice è l’organo della pianta specializzato nell’assorbimento di acqua e sali minerali dal terreno, fondamentali per la vita delle piante. Ha anche funzioni principali di ancoraggio e di produzione di ormoni (citochinine e gibberelline) che segnano il forte legame tra lo sviluppo della radice e lo sviluppo del germoglio.

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Radice (linguistica)

La radice, nella linguistica, è quell’elemento irriducibile (non ulteriormente suddivisibile) che esprime il significato principale della parola. Per limitare ambiguità, nella grammatica descrittiva si definisce radice un morfema che sia contemporaneamente legato e lessicale. Il termine radice viene usato anche per definire la rima e come sinonimo di tema a cui si possono aggiungere affissi (prefisso o suffisso/desinenza).

Grammatica tradizionale

Nella grammatica tradizionale, la radice è quell’elemento linguistico a cui vanno aggiunte poi le desinenze ed eventuali prefissi o suffissi che servono a specificarne il significato.

Data quindi una parola – o un lemma -, essa potrà essere suddivisa separando il tema dalla desinenza, e quindi individuando nel tema la radice: la radice sarà quell’elemento irriducibile (cioè che non può essere ulteriormente suddiviso) e parte fondamentale di una famiglia di parole.

Ad esempio: nel verbo “amare” si può individuare la desinenza flessiva “-re” = infinito presente separandola dal tema “ama”; a sua volta il tema si può analizzare come unione della radice “am-” e della vocale tematica “-a-” = 1ª coniugazione. La radice “am-” ci permette di identificare il verbo come appartenente alla stessa famiglia del sostantivo “amore”, radice che esprime appunto il concetto di amare.

Per fare un esempio in lingua ido: una volta definita la radice “frat-” che rappresenta il concetto di essere figli degli stessi genitori, si può applicare il suffisso “-ul-” che significa “maschile” o il suffisso “-in-” che significa “femminile”, e infine la desinenza “-o” che significa “sostantivo singolare”, per ottenere le parole “fratulo” ossia “fratello” e “fratino” ossia “sorella”. Applicando invece la desinenza “-a” ossia “aggettivo” direttamente alla radice, si ottiene “frata” che significa “fraterno”.

La definizione tradizionale di “radice” ha difficoltà di applicazione nelle parole composte; in questo caso occorre prima scomporre la parola nelle varie componenti (per esempio “portaborse” diventa “porta” + “borse”) e poi si individuano le varie radici, una in ogni componente (“port-” e “bors-“).

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