Invocazione

Glossario – Invocazione

 

Etimo secondo TPS

 

Il termine deriva dal latino invocatio, invocazione, che originava dal verbo invocare, il quale aveva due accezioni: a) “invocare”, “chiamare in aiuto”; b) “chiamare per nome”, “nominare”.

È composto dal prefisso in, che significa “in direzione di”, “verso”, e dal verbo vocare, che aveva numerosi significati: “chiamare”, “convocare”, “invocare gli dei”, “sfidare”, “provocare”, “chiamare in giudizio”, “chiamare alla fede”, “chiedere”.

Il verbo vocare deriva dalla radice indoeuropea *VAC-, che secondo Rendich si compone dei seguenti elementi sonori: “si diffonde [v] tutt’intorno [ac]”, “voce”, “parola”, “suono”: si vedano il sanscrito vacas, voce; il greco épos, parola, il latino vox, voce.

Il suono [ac/ak] esprimeva l’avvio di un moto curvilineo, l’idea del cerchio, perché il sacerdote, nel corso delle sue cerimonie diurne, si rivolgeva alla luce del sole, seguendone il moto circolare: lo stesso termine “pregare”, prach in sanscrito e precor in latino, nasce dalla composizione della radice *PRA-, che esprime l’idea dell’andare avanti, con questa stessa radice *AC- “tutt’intorno” che abbiamo individuato in *VAC-.

Si rileva che in sanscrito Vāc è la “Parola divina”. Vach è la personificazione mistica della parola, del Logos femminile, che è uno con Brahma, il quale la creò da una metà del suo corpo.

Ancora, è degna di nota la vicinanza semantica, in latino, tra il termine vox, voce e voveo, “fare un voto”. (Dizionario etimologico comparato delle lingue classiche indoeuropee. Indoeuropeo-Sanscrito-Greco-Latino, Palombi Editori, 2010, pp. XL, 388, 504).

Si rileva in sintesi una vasta area semantica che si compone di alcuni termini che tutti evidenziano l’aspetto sonoro del rapporto tra la terra e il Cielo, un’espressione che vuole in qualche modo superare i confini dell’indicibile, sia nella poesia ricordiamo l’Invocazione alle Muse della tradizione poetica sia nella preghiera.

Il Cantico di frate Sole di Francesco, che è il fondamento della poesia italiana, esprime il connubio tra l’istanza poetica e quella religiosa, con quel suo esordio invocativo: Altissimu, onnipotente, bon Signore […]

Citiamo ancora La Grande Invocazione, trasmessa dal Maestro Tibetano ad Alice Bailey nell’aprile 1945 in un messaggio per tutti gli uomini di buona volontà. (Alice A. Bailey, Esteriorizzazione della Gerarchia, Editrice Nuova Era, Roma, 1985), che la scrittrice introduce così: “Questa Invocazione o preghiera non appartiene ad alcuno né ad alcun gruppo, ma a tutta l’Umanità. […]” (p. 13)

Inoltre, la Scienza dell’Invocazione e dell’Invocazione è uno dei capisaldi dell’Insegnamento tradizionale: si veda in particolare il testo di Alice A. Bailey, Telepatia e il Veicolo Eterico, Editrice Nuova Era, Roma, 1977.

Nei testi dell’Agni Yoga leggiamo:

Dov’è la preghiera?

Dov’è il mantra?

Dove l’incantesimo?

Dove l’invocazione?

[…] Ed ora la mia invocazione

   “Signore, non lasciarmi.

   Ti troverò. Conosco tutte le Tue dimore.

   Tu sei in tutto!” […]

(Collezione Agni Yoga, Foglie del Giardino di Morya, Appello, ed. Nuova Era, § 342)

Si opina che la preghiera sia estranea alla vita, mentre ne è la base stessa. Sconnessa dal Mondo superiore l’umanità sarebbe impensabile, e peggiore delle belve! Il legame con quel Mondo è dunque la vera fondazione dell’Essere. Non importa in quale lingua si pronunci l’invocazione. Essa non ha una sua lingua, ma pervade ogni cosa. (Collezione Agni Yoga, Aum, ed. Nuova Era, § 42)

 

Invocazione significa il solenne Appello al Cielo


Treccani

 

invocazióne s. f. [dal lat. invocatioonis]. –

1. L’atto di invocare, come richiesta o implorazione di soccorso, di aiuto, di protezione: l’i. di Dio o del nome di Dio; le i. dei fedeli, dei miseri a Dio; la Vergine esaudirà le nostre i. di aiuto; essere insensibili alle i. della povera gente.

2. Più spesso, le parole o le grida con cui si invoca: si sentivano lontane i. di soccorso. In partic.:

2.a. Nei documenti pubblici e privati del medioevo, formula (i. verbale) o simbolo consistente per lo più in un chrismon o in un segno di croce (i. simbolica), con i quali si usava iniziare l’atto nel nome della divinità.

2.b. Parte della protasi di un poema nella quale il poeta chiede ispirazione e assistenza alla musa o alla divinità.

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Wikipedia

Un’ossessa liberata dall’invocazione di San Gennaro

 

Il termine invocazione, utilizzato in ambito religioso, spirituale, e talora nel contesto della magia e dell’occultismo, designa una richiesta rivolta ad una potenza divina superiore, implorandola affinché fornisca un aiuto, un sostegno, o una protezione.

A seconda dei casi, può essere sinonimo di supplica o di preghiera, oppure indicare l’incantesimo con cui si impartisce un comando o si effettua un rituale di evocazione, o ancora può significare la chiamata con cui si auspica una forma di possessione.

                                                                                                                                                                                                                                                                         

Un’invocazione a Imhotep, dio egizio della medicina

Differenze con l’evocazione

Il termine, derivante dal latino in-vocare, «chiamare dentro», andrebbe propriamente distinto dall’evocazione (da ex-vocare, «chiamare fuori»), sebbene possa essere talora utilizzato come sinonimo di quest’ultimo.

Mentre infatti l’invocazione consiste spesso in una vera e propria forma di preghiera espressa a un livello puramente interiore verso un’entità divina, o un angelo, un santo, un patrono, l’evocazione al contrario si prefigge di stabilire un contatto esteriore, su un piano sensibile e manifesto, con gli spiriti dei trapassati, con quelli erranti, o di natura infera.

L’evocazione mira in definitiva a far discendere un’anima dall’aldilà, l’invocazione invece a elevare il praticante stesso.

Esempi storici di invocazione

Invocazione di Vesta da parte di una sacerdotessa romana

Invocazione di Vesta da parte di una sacerdotessa romana

L’invocazione delle divinità nel mondo antico seguiva generalmente delle formule di rito già fissate e prestabilite. Oltre all’ambito religioso, esempi in tal senso abbondano nella letteratura greca e romana, nelle quali l’intervento soprannaturale delle Muse era ritenuto indispensabile per ispirare i poeti e infondere capacità di elevazione alla loro arte, impossessandosi di loro stessi.

Diverse modalità di invocazione, chiamata in greco epiclesi, commiste al genere dell’inno, sono presenti nel proemio dell’Iliade, dell’Odissea, e dell’Eneide, nel De rerum natura di Lucrezio, nella Tebaide e nell’Achilleide di Stazio, nelle Metamorfosi di Ovidio, in Boezio, ecc. fino a Dante, che all’inizio di ognuna delle tre cantiche della Divina Commedia, e in altri punti, invoca l’assistenza delle Muse, oppure di Apollo, anche come garanzia di legittimità del livello di conoscenza e di verità contenuto nei propri versi.

Invocazione a Maometto, tra le illustrazioni di Gustave Doré della Storia delle Crociate (1883)

«O Muse, o alto ingegno, or m’aiutate; o mente che scrivesti ciò ch’io vidi, qui si parrà la tua nobilitate.» (Inferno, canto II, 7-9 )

Nel cristianesimo, durante il momento culminante della messa, si invoca la potenza dello Spirito Santo nella preghiera eucaristica detta anafora, perché avvenga il fenomeno della transustanziazione che converta il pane e il vino nel Corpo e Sangue di Cristo.

Nel Medioevo, riprendendo usanze pagane, si usava introdurre i documenti ufficiali con formule invocative, del tipo «in nomine Dei» («in nome di Dio»): oltre che verbale, tale invocazione poteva anche essere simbolica, riportando solamente il monogramma di Cristo, o altri glifi.

Analoga funzione svolge in ambito islamico l’invocazione Bismillah («In nome di Dio il Misericordioso»), con cui si aprono tutte le sure del Corano.

Altri esempi di invocazione si hanno nei rituali magici, come la teurgia o più recenti pratiche cerimoniali; nell’orfismo assumevano la forma di inni, utilizzati da alcune sette religiose del III secolo d.C., e ripresi dall’umanista Marsilio Ficino a scopi terapeutici dell’anima e dei corpi sottili.

Nella goezia l’evocazione di uno spirito, che consiste nel tracciare un cerchio magico, si abbina alla fase dell’invocazione, nella quale il mago entra fisicamente all’interno di questo. Attraverso tali pratiche, dalle più semplici alle più complesse, egli mira in un certo senso a fondersi e diventare un tutt’uno con le manifestazioni della divinità, ricevendone una sorta di possessione per acquisirne le doti emotive e intellettuali. I rituali codificati delle tradizioni occulte, a ogni modo, prevedono solo l’invocazione di esseri che siano ben disposti verso il mago.

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