Dio

Glossario – Dio

 

Etimo secondo TPS

 

Dal latino deus (derivato da devus/divus), dio. Secondo la maggioranza dei linguisti, il termine deriva dalla radice indoeuropea *DIV-/*DIU-/*DIAU- che esprime l’idea di “splendere”. Infatti in sanscrito divyati significa “brillare”, “splendere”; devas, dio; diva, cielo; Dyjaus è la divinità personificatrice del cielo, del giorno, della luce. In latino deriva dalla stessa radice dies, giorno; in russo den’, giorno. Il greco Zeus deriva da Djeus, e il latino Jovis – caso genitivo di Juppiter, Giove – da Djovis, così come Juno – Giunone – da Djuno. Notiamo che in dies, letteralmente “luce divina”, vi è il binomio di luce e di sacro. L’originaria divinità del cielo, documentata dal nome che indica l’Ente supremo, il “Dio”, avrebbe ceduto il posto a una parola “dies” che esprime il cielo naturistico e il fenomeno diurno: il termine si è insomma laicizzato.

In conclusione, Dio significherebbe letteralmente “Il Risplendente”.

Secondo F. Rendich le radici di riferimento sarebbero due, anche se molto affini:

  • il suono originario div esprimerebbe “si stacca” [v] “dalla luce” [d], “splendere”: sanscrito diva, cielo; greco Zeus; latino divus, dio, e Iuppiter, Giove ( cit., p. 159);
  • il suono originario dī esprimerebbe “il moto continuo” [ī] “della luce” [d], “splendere”: donde il sanscrito dī, splendere; il greco dios, celeste; il latino dius, divino e dies, giorno (DEC, p. 163).

 

Dio significa Lume celeste

 

Nel Lambdoma Vita la definizione è: Dio è il Nome sacro dell’Uno (1.6)


Treccani

 

dio2 (e Dio, soprattutto nel sign. 1) s. m. [lat. dĕus, pl. dĕi e ] (pl. dèi, ant. e dial. dii; al sing. l’art. è il, al plur. gli; la d– iniziale ha sempre, dopo vocale, il raddoppiamento sintattico; v. anche iddio). –

1. a. L’Essere supremo, concepito come perfettissimo, eterno, creatore e ordinatore dell’universo.

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Con il termine Dio si intende indicare un’entità superiore dotata di potenza straordinaria variamente denominata e significata nelle diverse culture religiose.

Lo studio delle sue differenti rappresentazioni e del loro procedere storico è oggetto della scienza delle religioni quindi, ad esempio, della storia e della fenomenologia della religione.

L’esistenza, la natura e l’esperienza di Dio sono oggetto di riflessione delle teologie e di alcuni ambiti filosofici come la metafisica, ma si riscontra anche in altri ambiti culturali, come la letteratura o l’arte, non necessariamente collegati con la pratica religiosa.

 

I nomi di “Dio”: i loro significati e le loro origini

I nomi utilizzati per indicare questa entità sono numerosi quanto numerose sono le lingue e le culture.

– Nelle lingue di origine latina come l’italiano (Dio), il francese (Dieu) e lo spagnolo (Dios), il termine deriva dal latino Deus (a sua volta collegato ai termini, sempre latini, di divus, “splendente”, e dies, “giorno”) proveniente dal termine indoeuropeo ricostruito *deiwos. Il termine “Dio” è connesso quindi con la radice indoeuropea: *div/*dev/*diu/*dei, che ha il valore di “luminoso, splendente, brillante, accecante”, collegata ad analogo significato con il sanscrito dyáuh. Allo stesso modo si confronti il greco δῖος e il genitivo di Ζεύς [Zeus] è Διός [Diòs], il sanscrito deva, l’aggettivo latino divus, l’ittita šiu.

– Nelle lingue di origine germanica come l’inglese (God), il tedesco (Gott), il danese (Gud), il norvegese (Gud), lo svedese (Gud), sono relazionati all’antico frisone, all’antico sassone e all’olandese medievale Got; all’antico e al medievale alto germanico Got; al gotico Gut; all’antico norvegese Guth e Goth nel probabile significato di “invocato”. Maurice O’Connell Walshe lo relaziona al sanscrito -hūta quindi *ghūta (invocato). Quindi forse da relazionare al gaelico e all’antico irlandese Guth (voce) e all’antico celtico *gutus (radice *gut).

– Nella lingua greca, antica e moderna, il termine è Theós (Θεός; pl. Θεοί Theoí). L’origine è incerta. Émile Benveniste, tuttavia, nel suo Le Vocabulaire des institutions indo-européennes collega theós a thes- (relazionato sempre al divino)  e questo a *dhēs che si ritrova nel plurale armeno dikc (gli “dèi”, -kc è il segno plurale). Quindi per Émile Benveniste: «è del tutto possibile – ipotesi già avanzata da tempo – che si debba mettere in questa serie Theós ‘Dio’ il cui prototipo più verosimile sarebbe proprio *thesos. L’esistenza dell’armeno dikc ‘dèi’ permetterebbe allora di formare una coppia lessicale greco armena».

– In ambito semitico il termine più antico è ʾEl (in ebraico אל), corrispondente all’accadico Ilu(m) (cuneiforme accadico ) e al cananaico ʾEl o ʾIl (fenicio ), la cui etimologia è oscura anche se sembrerebbe collegata alla nozione di “potenza”.

Evoluzione del tetragramma biblico YHWH, nome personale del Dio della Bibbia, dall’alfabeto fenicio all’attuale ebraico

– Nell’ambito della letteratura religiosa ebraica i nomi con cui viene indicato Dio sono: il già citato ʾEl; ʾEl ʿElyon (ʿelyon nel significato di “alto” “più alto”); ʾEl ʿOlam (“Dio Eterno”); ʾEl Shaddai (significato oscuro, forse “Dio Onnipotente”); ʾEl Roʾi (significato oscuro, forse “Dio che mi vede”); ʾEl Berit (“Dio dell’Alleanza”); ʾEloah, (plurale: ʾElohim , meglio ha-ʾElohim il “Vero Dio” anche al plurale quindi; ha per distinguerlo dalle divinità delle altre religioni o anche ʾElohim ḥayyim, con il significato di “Dio vivente”); ʾAdonai (reso come “Signore”). Il nome che appare più spesso nella Bibbia ebraica è quello composto dalle lettere ebraiche י (yod) ה (heh) ו (vav) ה (heh) o tetragramma biblico (la scrittura ebraica è da destra a sinistra): traslitterato quindi come YHWH, il nome proprio del Dio di Israele. Gli ebrei si rifiutano di pronunciare il nome di Dio presente nella Bibbia, cioè י*ה*ו*ה (tetragramma biblico) per tradizioni successive al periodo post-esilico e quindi alla stesura della Torah. L’Ebraismo insegna che questo nome di Dio, pur esistendo in forma scritta, è troppo sacro per essere pronunciato. Tutte le moderne forme di Ebraismo proibiscono il completamento del nome divino, la cui pronuncia era riservata al Sommo Sacerdote, nel Tempio di Gerusalemme. Poiché il Tempio è in rovina, il nome non è attualmente mai pronunciato durante riti ebraici contemporanei. Invece di pronunciare il tetragramma durante le preghiere, gli ebrei dicono Adonai, cioè “Signore”. Nelle conversazioni quotidiane dicono HaShem (in ebraico “il nome”, come appare nel libro del Levitico XXIV,11) quando si riferiscono a Dio. Per tale ragione un ebreo osservante scriverà il nome in modo modificato, ad esempio come D-o. Gli ebrei oggi durante la lettura del Tanakh (Bibbia ebraica) quando trovano il tetragramma (presente circa 6000 volte) non lo pronunciano.

Il nome di Dio scritto nella calligrafia araba. Nell’Islam è considerato peccato antropomorfizzare Dio

– Nell’ambito della letteratura religiosa arabo musulmanail nome di Dio è Allāh (الله) riservando il nome generico di ilāh (إله; nel caso del Dio unico allora al-Ilāh il-Dio)per le divinità delle altre religioni. Il termine arabo Allāh viene probabilmente dall’aramaico Alāhā). Nel Corano, il libro, sacro dell’Islam, l’Essere supremo rivela che i suoi nomi sono Allāh e Rahmān (il “Misericordioso”). La cultura islamica parla di 99 “Bei Nomi di Dio” (al-asmā‘ al-husnà), che formano i cosiddetti nomi teofori, abbondantemente in uso in aree islamiche del mondo: ‘Abd al-Rahmān, ‘Abd al-Rahīm, ‘Abd al-Jabbār, o lo stesso ‘Abd Allāh, formati dal termine “‘Abd” (“schiavo di”), seguito da uno dei 99 nomi divini.

– Nella lingua sumerica il grafema distintivo della divinità è (dingir), probabilmente inteso come “centro” da cui la divinità si irradia.

Ideogramma sumerico per esprimere il sostantivo dingir, termine che indica una divinità e per questo veniva utilizzato come classificatore grafico, anteponendolo al nome del dio stesso

– Nella cultura religiosa sanscrita, fonte del Vedismo, del Brahmanesimo e dell’Induismo, il nome generico di un dio è Deva (देवता) riservando, a partire dall’Induismo, il nome di Īśvara (ईश्वर, “Signore”, “Potente”, dalla radice sanscrita īś “avere potere”) alla divinità principale. Il termine Deva è correlato, come ad esempio il termine latino Deus, alla radice indoeuropea già citata richiamante lo “splendore”, la “luminosità”. In tale alveo la divinità femminile si indica con il nome di Devī, termine che indicherà con la Mahādevī (Grande Dea) un principio femminile primordiale e cosmico di cui le singole divinità femminili non sono che manifestazioni.

– Nella cultura religiosa iranica preislamica il termine utilizzato è l’avestico Ahura (“Signore”) che corrisponde al sanscrito Asura; acquisendo il nome di Ahura Mazdā (“Signore Saggio” persiano اهورا مزدا) l’unico Dio del monoteismo zoroastriano.

– Il carattere cinese per “Dio” è 神 (shén). Esso si compone al lato sinistro di 示 ( shì “altare” oggi nel significato di “mostrare”) a sua volta composto da 丁 (altare primitivo) con ai lati 丶 (gocce di sangue o di libagioni). E a destra 申 (shēn, giapp. shin o mōsu) sta per “dire” “esporre” qui meglio come “illuminare”, “portare alla luce”. Quindi ciò che dall’altare conduce alla chiarezza, alla luce, Dio. Rende il sanscrito deva e da questo deriva sia il lemma giapponese di carattere identico ma pronunciato come shin sia quello coreano 신 (sin) e il termine vietnamita thân. Anche il tibetano lha. Quindi 天神 (tiānshén, giapp. tenjin, tennin, coreano 천신 ch’ŏnsin vietnamita thiên thần: Dio del Cielo) dove al già descritto carattere 神 si aggiunge 天 (tiān, giapp. ten) col significato di “cielo”, “celeste”, dove si mostra ciò che è in “alto” è “grande” (大 persona con larghe braccia e grandi gambe ad indicare ciò che è “largo”, “grande”).

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