Bellezza

GlossarioBellezza

 

Etimo secondo TPS

 

Sostantivo derivato dall’aggettivo “bello”, dal latino bellus che significava, se riferito a persona, “amabile”, “grazioso” e, se riferito a cosa, “buono”, “eccellente”. I linguisti presumono che bellus sia derivato da *duenulus*/buenulus, diminutivo di duenus/buenus, forma arcaica di bonus, attraverso i passaggi *benulus – benlus – bellus: era un termine che designava l’essere “grazioso” in ambito familiare, lontano dall’ufficialità del pulcher e della pulchritudo, “bellezza”, “splendore.

L’aggettivo bellus testimoniava la connessione sottile, in riferimento a persone, tra la bontà e la grazia e, per le cose, tra la funzionalità e l’armonia.

La radice di bonus è dibattuta, poiché sarebbe da individuarsi: per alcuni nell’indoeuropea *DVE-, che alcuni linguisti ritengono la stessa del latino beo (di etimo incerto), rendere beato; per altri nell’indoeuropea *DIV-, che esprime l’idea dello splendere.

In ogni caso la radice mostra l’identità fra Bontà e Bellezza, con un richiamo o alla beatitudine o allo splendore divino.

 

Bellezza significa identità con il Bene

 

  Nel Lambdoma Modello la definizione è: La Bellezza è il segno dell’Essere (1.7)


Treccani

 

bellézza s. f. [der. di bello]. –

1. L’essere bello, qualità di ciò che è bello o che tale appare ai sensi e allo spirito: la b. è una specie di armonia visibile che penetra soavemente nei cuori umani (Foscolo). In partic.:

1.a. Di persona (e talora anche di animale): b. fisica; la b. del volto, delle membra, delle forme; per i Greci Venere rappresentava l’ideale della b. femminile, Apollo della b. maschile; donna bella di una b. tutta spirituale; b. schietta, artificiosa; b. verginale, matronale; b. serena, mesta; b. florida, appassita; la vera b. è sempre misteriosa: si sente, ma non si può dire (Goffredo Parise); b. greca, di lineamenti che ricordano le grandi opere della scultura greca; un cane, un gatto di grande b., una tigre di maestosa b.; crescere in b.; perdere la b.; concorsi di b. (femminile, infantile, e anche per cani e gatti). Si riferiscono sempre alla persona, le locuz.: prodotti di b., istituto di b. (espressione che ricalca il fr. institut de beauté), per la cura estetica del corpo. B. dell’asino, la bellezza e freschezza che sono proprie della gioventù, anche quando manchi una vera e propria bellezza di lineamenti (l’espressione è ritenuta, forse a torto, un’erronea traduz. del fr. beauté de l’age «bellezza dell’età»).

1.b. Di cose: contemplare la b. di un paesaggio; ammirare la b. di un’opera d’arte; sentire la b. di un verso; b. di colori, di suoni, ecc. E in senso morale: la b. di un gesto, di un sentimento; la b. della modestia, del perdono.

2. concr.

2.a. Persona o cosa bella, piacevole: una ragazza, un bimbo che è una b.; che b. quel micino!; che b. queste pesche!; b. mia!, come appellativo affettuoso. Spesso ironiche le espressioni: addio, b.; senti, b.; ascolta, b., e sim. Frequente in frasi enfatiche: un giardino che è una b.; il ragazzo cresce che è una b.; ci si sta comodi che è una b.; e come esclam., che bellezza, per esprimere gioia, soddisfazione: due giorni di vacanza, che bellezza!

2.b. Al plur., aspetti esteticamente notevoli di opere d’arte o della natura: le b. del creato, di un paesaggio, di una città; b. naturali, tutelate da particolari norme giuridiche in quanto considerate oggetto d’interesse pubblico; illustrare le b. della Divina Commedia; anche di persona, e spec. di donna, le parti del corpo e i lineamenti del volto che più concorrono a renderla bella e attraente: cantare, o decantare, le b. della donna amata.

3. Locuz. speciali:

3.a. Per b., per ornamento, per abbellimento: s’è messa un fiore nei capelli per bellezza.

3.b. Bere le b. di qualcuno, bere al suo bicchiere; è espressione popolare scherz., o di gentile galanteria spec. quando si beve al bicchiere già usato da una signora: bevo le sue bellezze.

3.c. La b. di …, per indicare quantità notevole; m’è costato la b. di mille euro; è stato in giro per il mondo la b. di sei mesi. Così, che b. di …, per esprimere abbondanza: guarda che b. di pesche su quell’albero.

3.d. Morire in b. (ricalcato sul fr. mourir en beauté), morire serbando dignità, compostezza; per estens., finire in b., concludere la propria attività (professionale, sportiva, ecc.) con qualche bel gesto, con un atto che lasci un buon ricordo, e sim.; scherz., concludere, terminare in b., un discorso, uno scritto, o altra manifestazione, con frasi, azioni o gesti di effetto; nel linguaggio sport., vincere in b., vincere bene e anche con una certa facilità.

Leggi la definizione direttamente sul dizionario


Wikipedia

 

Ninfa con fiori di convolvolo, dipinto di Jules Joseph Lefebvre

La bellezza è l’insieme delle qualità percepite tramite i cinque sensi, che suscitano sensazioni piacevoli che attribuiamo a concetti, oggetti, animali o persone nell’universo osservato, che si sente istantaneamente durante l’esperienza, che si sviluppa spontaneamente e tende a collegarsi a un contenuto emozionale positivo, in seguito a un rapido paragone effettuato consciamente o inconsciamente, con un canone di riferimento interiore che può essere innato oppure acquisito per istruzione o per consuetudine sociale.

Nel suo senso più profondo, la bellezza genera un senso di riflessione benevola sul significato della propria esistenza dentro il mondo naturale.

Introduzione

Va distinto il concetto di bellezza oggettiva da quello di bellezza soggettiva.

Sebbene in molte culture questi due concetti siano facilmente scindibili, la bellezza oggettiva è l’unica con la quale si possa impostare un discorso concreto. La definizione di concetti non oggettivi porta, infatti, all’influenza su di essi del gusto personale. Risulta così impossibile discutere obiettivamente su di un argomento, senza essere influenzati dal proprio senso e gusto. Sebbene nella vita comune spesso si indichi con la bellezza anche il gusto estetico, si tratta di un abuso di linguaggio. Si può però definire bellezza soggettiva quella dipendente dal proprio senso estetico. Quella oggettiva invece, è “la bellezza definita come un insieme di qualità rispondenti a dei canoni”. La bellezza oggettiva è funzione del tempo e alla propria cultura, poiché tali canoni cambiano nel tempo ma restano validi per il periodo indicato. La bellezza comporta la cognizione degli oggetti come aventi una certa armonia intrinseca oppure estrinseca, con la natura, che suscita nell’osservatore un senso ed esperienza di attrazione, affezione, piacere, salute. Spesso si afferma che un “oggetto di bellezza” è qualsiasi cosa nel mondo percepito che riveli un aspetto significativo per la persona riguardo alla “bellezza naturale”. La presenza del sé in qualsiasi contesto umano, indicherebbe che la bellezza è naturalmente basata sul sentimento che suscita negli esseri umani, anche se la “bellezza umana” è soltanto l’aspetto dominante di una più grande e incalcolabile “bellezza naturale”. Il contrario di bellezza è bruttezza, intesa come la percezione di un’assenza di bellezza o accumulo d’imperfezioni, che suscita indifferenza o scarso gradimento estetico e genera una percezione negativa dell’oggetto.

Secondo il testo Attaccamento e amore (come altri testi) [senza fonti], la bellezza umana (e animale, è noto come in tutte le specie le femmine rifiutino determinati maschi), univoca e non opinabile, corrisponde alla cosiddetta “sezione aurea” (presente anche in opere architettoniche, tra cui il Partenone), e quindi a una struttura cranica delineata in linee architettoniche di tensione idealmente resistenti alle sollecitazioni meccaniche; questa, unitamente ad altri segnali (esterni al cranio) che indichino comunque salute fisica e assenza di difetti genetici (esperimenti su animali indicano chiaramente che i maschi rifiutati risultano tendenzialmente portatori di svariati difetti nel DNA).

Secondo il testo Storia della bellezza di Umberto Eco invece, la bellezza non è mai stata un assoluto e immutabile ma è mutata a seconda del periodo storico e del luogo e questo non è vero solo per la bellezza fisica (si pensi alla Venere di Willendorf, alla Venere con Cupido di Lucas Cranach o alle Tre grazie di Rubens) ma anche per la bellezza di Dio e dei santi o come idea.

Se in alcuni studi attuali la bellezza ha una qualche relazione positiva con la simmetria (o più propriamente con un’armonia di proporzioni), ci sono esempi di asimmetrie come l’eterocromia (che quando congenita è dovuta ad “alterazioni genetiche”) e lo strabismo di Venere ritratta nella Primavera del Botticelli, che hanno invece un impatto positivo sulla bellezza e che rendono i meccanismi sottostanti la percezione della bellezza fisica non chiari; a rendere il quadro ancor più complesso, secondo uno studio sull’attrattività facciale, gli aspetti dell’apparenza del viso non sono completamente oggettivi ma dipendenti da preferenze: se un tratto comunica un qualche beneficio per l’osservatore, ci si aspetterà che gli individui classificabili in quel sottogruppo di popolazione, possano trovare in quel tratto un indicatore positivo di attrattività (questo potrebbe confermare le differenti rappresentazioni nella storia dell’arte della bellezza fisica).

Gli insegnamenti religiosi e morali spesso mettono a fuoco la “virtù” e la “divinità” della bellezza, per delineare la bellezza naturale come un aspetto di una “bellezza spirituale” (ovvero “verità”) e definire tutte le pretese egocentriche e materialistiche basate sull’ignoranza. L’antica storia di Narciso, per esempio, tratta la distinzione fra bellezza e vanità. Nel contesto moderno, l’utilizzo della bellezza come mezzo per promuovere un’ideologia o un dogma è stato fulcro di dibattiti sociali che trattano argomenti come pregiudizio, etica e diritti umani. L’utilizzo della bellezza a fini commerciali è un aspetto controverso della “guerra culturale”, all’interno del quale il femminismo tipicamente afferma che tale utilizzo promuove una percezione dogmatica (cioè Il Mito del Bello) piuttosto che virtuosa della bellezza.

“Bellezza” e “gusto” dell’osservatore sembrano termini inscindibili, in quanto concepire una bellezza indipendente da un qualche osservatore che stia lì per goderne la vista, equivale a pensare a un dipinto bellissimo dimenticato in una cassaforte da decenni. Oppure a un fiore che cresce in mezzo a una foresta invalicabile da umani e animali (mancando un osservatore, esiste allora la bellezza?). Tali oggetti “possono” essere senz’altro concepiti, ma mancano del tutto di quel carattere d’interazione “pratica” (di azione e reazione) con un’intelligenza percettiva, che tendenzialmente riconosciamo al “bello”.

Il concetto aristotelico del “Bello” corrispondente al “Vero”

Il bello per Aristotele e Platone è il “Vero”. Nell’età moderna, Giambattista Vico afferma un altro criterio, secondo cui il vero è il “fatto” (verumfactum). Unificando questi due criteri ricaviamo la forma occidentale della bellezza, che è inevitabilmente l’arte. Il bello è nell’arte e la possibilità che la bellezza sia propria della natura è esplicitamente ammessa da Kant nella Critica del Giudizio dove definisce il bello naturale come “bello d’arte” e il “bello d’arte” come il bello di natura. Essenzialmente, nella cultura filosofica dell’Occidente il bello si definisce in funzione del giudizio che lo esprime, mentre il “bello in sé” è assolutamente chimerico.

Il “bello” come corrispondente al “regno delle idee”

Nel tardo Impero romano, il filosofo Plotino, ristabilendo il collegamento tra opera d’arte e regno delle idee, espone ampiamente il concetto di visione interiore già proposto da Platone, che permette all’artista di attingere da una forma ideale del bello, non esistente nella res extensa (mondo reale) ma soltanto nella res cogitans (mondo delle idee), e che presto o tardi sfocerà in una rappresentazione materiale. Si può applicare a mai creati dipinti, architetture, forme di governo, sculture, strategie, modelli matematici, ecc. oppure a un ipotetico essere umano: “il più bello nella storia” ancora non nato.

I rischi di un’estetica radicalmente empirista

Va altresì chiarito dove si nasconda il rischio di un’estetica radicalmente empiristica: questo consiste nel fatto che essa dovrebbe, a rigore, parlare prioritariamente se non esclusivamente degli organi di senso, o della coscienza, che riceve e unifica i “dati” di bellezza; ma ciò significa trascurare e, alla fine, ignorare completamente gli oggetti cui si accorda o rifiuta lo statuto di bellezza; il che, particolarmente nel caso delle arti umane, risulterebbe oltraggioso per gli artefici e finalmente assurdo, come assurda può essere solo una scienza dell’arte che mostri indifferenza verso le opere.

Tuttavia la tendenza a considerare la bellezza di un oggetto intrinsecamente connessa con un soggetto che lo contempla, il quale “applica” il giudizio all’oggetto e lo ritiene bello in grazia del concetto di bellezza che porta in sé, appare tanto dubbia quanto insopprimibile, nella nostra cultura estetica.

Al riguardo, Kant, nella sua Critica del Giudizio analizza il bello dandone quattro definizioni, che ne delineano altrettante caratteristiche:

  • il “disinteresse”: secondo la categoria di qualità un oggetto è bello solo se è tale disinteressatamente quindi non per il suo possesso o per interessi di ordine morale, utilitaristico ma solo per la sua rappresentazione;
  • l'”universalità”: secondo la quantità il bello è ciò che piace universalmente, condiviso da tutti, senza che sia sottomesso a qualche concetto o ragionamento, ma vissuto spontaneamente come bello;
  • la “finalità senza scopo”: secondo la categoria di relazione un oggetto è da considerarsi bello senza che la sua contemplazione sia mirata a uno scopo preciso, ovvero la sua rappresentazione è finalizzata unicamente a sé stessa;
  • la “necessità”: secondo la categoria di modalità è bello qualcosa su cui tutti devono essere d’accordo necessariamente ma non perché può essere spiegato intellettualmente; anzi, Kant pensa che il bello sia qualcosa che si percepisce intuitivamente: non esserci quindi “principi razionali” del gusto, tanto che l’educazione alla bellezza non può essere espressa in un manuale, ma solo attraverso la contemplazione stessa di ciò che è bello.

Intellettualizzazione dell’opera d’arte

È peraltro la sintesi di quel processo d’intellettualizzazione dell’opera d’arte che rappresenta la più cospicua novità nell’arte di questi ultimi due secoli, dal Romanticismo in poi. L’arte moderna e contemporanea, la hegeliana arte romantica, è segnata dal confronto con l’osservatore – critico in modo profondissimo, tale da non consentire più in alcun modo la spontaneità creativa, l’innocenza primaria del dipinto di Gustave Courbet, L’origine del mondo – innocenza peraltro sapientissima – se non nel ghetto/riserva/colonia penale del genere naïf. Da quel momento l’opera d’arte è “operazione” sul corpo dell’arte; ogni nuova opera è osservatrice della totalità della tradizione artistica; chiama in causa la filosofia dell’arte; si fa meta-arte e in molteplici correnti si traduce in una discesa agli inferi dei materiali dell’arte, fino a congiungersi con il residuale, con l’immondizia.

Criteri obiettivi nella valutazione di un’opera d’arte

Uomo Vitruviano, proporzioni del corpo umano.

  • Criteri classici: armonia nella composizione, rispetto del canone, corrispondenza al vero, chiaroscuro, conformità teologica, perfezione, prospettiva, rispetto delle proporzioni vitruviane, presenza della curva sigma di Hogarth, simbolismo, simmetria, rispetto dello stile che si è scelto.
  • Criteri moderni: accettazione da parte della critica, asimmetria controllata, astrattismo, contrasto, deformità (in Francis Bacon), iperrealismo, parziale imperfezione che dà l’idea del reperto, impressionismo, messaggio sociale, novità, onirismo, provocazione, simbolismo, stilizzazione, surrealismo.

Criteri oggettivi nella valutazione della bellezza corporea

  • Criteri puramente estetici: armonia nella composizione, omogeneità, spiccata rappresentazione del sesso a cui appartiene l’oggetto, proporzioni vitruviane, simmetria.
  • Criteri di tipo riproduttivo: armonia nella composizione, caratteri sessuali secondari, conformità allo standard genetico e etnico, forza, giovinezza, grandezza dei genitali, salute.
  • Criteri di tipo genetico: completamento delle proprie lacune o eccessi fisici o mentali, diversità etnica, simmetria.

Criteri obiettivi nella valutazione della bellezza matematica

Anche le formule Anche matematiche possono essere considerate belle (anche se spesso si preferisce il termine eleganti). La formula di Eulero: ein + 1 = 0 è comunemente considerata uno dei più bei teoremi della matematica (vedi Identità di Eulero).

La poetessa Edna St. Vincent Millay scrisse che “soltanto Euclide ha guardato nella nuda bellezza”, alludendo all’austera bellezza che molte persone trovano nel ragionamento matematico connesso alla Geometria euclidea.

Altro legame tra matematica e bellezza che ha giocato un ruolo prominente nella filosofia di Pitagora era la possibilità di disporre e arrangiare i toni musicali in sequenze matematiche, che si ripetono a intervalli regolari chiamati “ottave”.

La cosiddetta “proporzione aurea”, rappresentata dalla lettera greca Phi(Φ), e approssimativamente uguale a 1,618, è stata considerata da molti “bella”. Viene anche chiamata la “divina proporzione” ed è spesso riscontrata in natura. Per esempio, nella conchiglia di un nautilus, il rapporto tra sezioni successive è circa 1,618.

Possiamo trovare parallelismo tra la bellezza matematica e le altre:

  • Corrispondenza al vero, p. es. nelle equazioni che descrivono accuratamente un fenomeno fisico.
  • Per le equazioni di Benoît Mandelbrot si è visto che spesso determinano grafici con proporzioni di tipo vitruviano, oppure si possono graficare in modi che sono simili a generici alberi, montagne, nubi, ecc.
  • Perfezione (intesa come non violazione della regola che tiene insieme il tutto), come nel Quadrato Panmagico di Nasik o nel Cubo magico 5x5x5.

Leggi la definizione direttamente su Wikipedia

I commenti sono chiusi.