Azione

Glossario – Azione

 

Etimo secondo TPS

 

Dal latino actio, che aveva un ventaglio di significati più ampio del termine italiano: atto, gesto, recitazione (di oratori e attori), discorso pubblico, iniziativa politica, azione giudiziaria. Varrone nel De lingua latina (VI,6) scriveva, con profonda intuizione: […] Actio ab agitatu facta. […]  L’azione deriva dall’idea di forte movimento. Il termine derivava dal verbo agere, con il fondamentale senso di “condurre”, ma che assumeva una molteplicità di significati ancora più ampia del sostantivo, dalla radice indoeuropea *AJ-, che secondo Franco Rendich esprime l’idea di “avvio [a] del moto dritto in avanti [j], “avanzare”, “condurre”, “guidare”: si vedano il sanscrito aj e il greco ago, che entrambi significano “condurre”. (Dizionario etimologico comparato delle lingue classiche indoeuropee. Indoeuropeo-Sanscrito-Greco-Latino, Palombi Editori, 2010, p. 94).

 

Azione significa moto dell’intento

 

Nel Lambdoma Manifestazione la definizione è: L’Azione è la forza manifesta del Pensiero (7.1)


Treccani

azióne1 s. f. [dal lat. actioonis, der. di agĕre «agire», part. pass. actus]. –

1.a. L’agire, l’operare, in quanto espressione e manifestazione della volontà; s’identifica ora con atto (considerata in questo caso l’azione come atto singolo, rivolto a un determinato fine), ora con attività (considerata nella sua durata e contrapposta spesso a pensiero, oppure a passività, inerzia): far seguire l’a. alle parole; passare all’a. diretta, prendere decisamente l’iniziativa (eufem., passare ad atti di violenza); alcuni verbi esprimono stato, altri a.; il nome «corsa» indica l’a. del correre (per il particolare uso del termine in gramm., v. anche aspetto1). In senso più ampio (riferito cioè non a un singolo atto ma all’agire in generale): pensiero e a.; avere, chiedere, esigere, accordare libertà di a.; uomo d’a., attivo, pronto e deciso nell’operare. In alcune denominazioni: A. Cattolica, organizzazione del laicato cattolico per una speciale e diretta collaborazione con l’apostolato gerarchico della Chiesa; filosofia dell’a., la dottrina filosofica di M. Blondel (1861-1949), che pone come principio fondamentale, sul piano metafisico, pratico e gnoseologico, l’azione intesa come unità di pensiero e volontà; più in generale, ogni dottrina che dà particolare rilievo all’attività pratica dello spirito; partito d’a., partito politico italiano fondato (1853) da G. Mazzini, particolarmente attivo durante l’organizzazione dell’impresa dei Mille; anche, partito politico italiano costituitosi nel 1942 per la confluenza di alcuni gruppi (Giustizia e Libertà, Liberalsocialismo e altri minori) allo scopo di combattere il fascismo e di superare l’antitesi di liberalismo e socialismo.

1.b. In senso più concr. e determinato: a. simboliche (v. simbolico); spec. con riferimento al valore morale: fare una buona a.; commettere una cattiva a.; sarebbe un’a. indegna di te; è stata un’a. infame; premiare le buone azioni.

1.c. Come sinon. di movimento: sono stato in a. tutta la giornata; il motore è in a.; mettere in a. un meccanismo.

1.d. letter. Rendere a. di grazie (traduz. letterale del lat. gratiarum actio), ringraziare solennemente, riferito spec. alle funzioni religiose di ringraziamento.

2.a. Potere o forza determinante: avere a. sopra o su qualcuno, agire sulla sua volontà determinandone gli atti (per es.: le sue suppliche hanno avuto poca a. sull’animo dei giudici, e sim.). Più spesso di cose, capacità di produrre determinati effetti: l’a. della luce, del calore, dell’acqua, dell’umidità, ecc.; la stoffa è scolorita per l’a. dei raggi solari; s’è addormentato sotto l’a. del sonnifero; la febbre è scesa sotto l’a. degli antibiotici; esercitare un’a. frenante, anche in senso fig., rallentare o cercare di rallentare, di fermare un’attività, un movimento, un processo, uno sviluppo.

2.b. Nel linguaggio scient., con accezione generica, il modo con cui determinati agenti, organi, fenomeni influiscono sulle cose, e gli effetti stessi che provocano: a. chimiche, fisiologiche, muscolari, nervose; l’a. degli acidi sul ferro; a. eolica, a. meteorica (v. eolico1, meteorico1). Più in partic., in fisica, il termine è usato talora come sinon., meno preciso, di forza: a. fisiche, elettriche, magnetiche; a. molecolari, per indicare forze come quelle di adesione e di coesione; azioni a distanza, forze che si esplicano tra corpi distanti (la forza di gravitazione universale, le attrazioni elettriche, ecc.); principio di a. e reazione, detto anche principio di reazione o terza legge della dinamica (che viene così enunciato: «a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria»). In meccanica analitica, grandezza uguale al prodotto di un’energia cinetica per un tempo.

3.a. Nel linguaggio milit., l’insieme dei movimenti e manovre tattiche delle truppe durante il combattimento; anche, combattimento, attacco, fatto d’arme in genere, con sign. diverso a seconda del particolare movimento tattico al quale si riferisce: a. di avvicinamento, di sganciamento dal nemico; a. di pattuglia; a. di rastrellamento, ecc.; l’a. si svolse su una linea di dieci km; prendere parte a un’a.; impegnare un’a., iniziare una battaglia; a. navale, combattimento di non grande importanza avvenuto essenzialmente tra le forze navali; a. aerea, qualsiasi forma d’intervento delle forze aeree nella guerra (lotta nel cielo contro aerei nemici, impresa di bombardamento o di mitragliamento, ecc.); a. dimostrativa, manovra tattica per ingannare il nemico, con la quale si finge di attaccarlo da una parte del fronte per colpirlo altrove.

3.b. Nello sport, modo di condotta o fase di una gara, manovra o serie di manovre compiute da un singolo atleta o da un gruppo di atleti o anche da un’intera squadra: a. lenta, veloce, decisa, travolgente; a. di attacco, di difesa, con riferimento a competizioni fra due avversarî, siano essi individui o squadre. In partic., nella scherma, il modo di maneggiare l’arma tendendo a un dato scopo: azioni sul ferro; a. semplici, composte.

4.a. Svolgimento dell’intreccio di un’opera narrativa o drammatica: l’a. del poema, di un romanzo, di una commedia; l’a. si svolge a Parigi; unità d’a., una delle tre unità pseudoaristoteliche, secondo la quale l’azione (cioè l’argomento) principale di un dramma non dovrebbe essere disturbata da episodî secondarî; a. scenica, drammatica, mimica, coreografica, lo stesso che rappresentazione scenica, ecc.; a. sacra, espressione usata nei sec. 17° e 18° per indicare un lavoro drammatico di argomento sacro o un oratorio eseguito con azione scenica.

4.b. In relazione più diretta alle opere destinate alla recitazione, il modo più o meno vivace, rapido o complesso con cui procede lo sviluppo della vicenda e il dialogo fra gli attori: l’a. della commedia (o del film) è vivace, fredda, impacciata, fiacca; l’a., lenta nei primi due atti, si ravviva nel terzo.

4.c. In cinematografia, azione!, ordine del regista agli attori di dare inizio ai movimenti e alle battute di dialogo nelle singole scene del film.

4.d.Con riferimento a un attore (o anche a un oratore), l’atteggiamento e il gesto nel recitare o nel parlare in pubblico (contrapp. a dizione).

5.Nel linguaggio giur., diritto di chiedere processualmente la dichiarazione o il riconoscimento di un proprio diritto violato (propriam. a. civile): avere, non avere a.; a. penale, volta ad accertare in giudizio l’esistenza di un reato (è promossa ed esercitata da un organo ufficiale, il pubblico ministero); reato di a. pubblica, sinon. di reato perseguibile d’ufficio; a. popolare, quella esercitata (eccezionalmente in casi specifici previsti dalla legge) da un privato in sostituzione degli organi di un ente pubblico per far valere le ragioni dell’ente stesso. Nel linguaggio com., anche il mezzo a cui si ricorre per ottenere il riconoscimento di un proprio diritto; quindi causa, processo: intentare un’a.; promuovere un’a. legale.

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Azione (filosofia)

«Ogni pensiero sorge nella mente, nel suo sorgere mira a passar fuori della mente, nell’atto; proprio come ogni pianta, germinando, cerca di salire alla luce.» (Ralph Waldo Emerson)

L’azione è, dal punto di vista filosofico, l’intervento di un ente su un altro ente, così da modificarlo. L’azione, nel senso comune, è però vista anche in contrapposizione al pensiero e all’apparente inerzia della vita dedicata alla riflessione.

I filosofi si sono opposti alla concezione del pensiero come non attivo e lo hanno indicato invece come la forma di azione suprema con gli effetti (sociali, culturali, esistenziali) più duraturi.

Evoluzione storica-filosofica del concetto

L’azione segue alla sostanza

L’azione è una delle categorie a cui Aristotele contrappone quella di passione, con il significato di patire, subire qualcosa.

Nella metafisica classica l’azione è sempre riferita a l’essere che compie un’azione, per cui l’azione è il predicato di una sostanza.

Nell’ambito della Scolastica, l’azione viene definita atto secondo in relazione all’atto primo che è la condizione realizzata di un essere che in origine la possedeva solo in potenza.

Soddisfatta questa possibilità che cronologicamente precede l’atto, ne segue l’azione, appunto atto secondo di un essere che ha già compiuto il passaggio dalla potenza all’atto primo.

L’azione, termine unico

La concezione del passaggio potenza-atto viene capovolta in ambito letterario romantico da Goethe che nel Faust proclama:

«In principio era l’azione»

Questa stessa convinzione viene tradotta filosoficamente da Fichte, fondatore della filosofia idealistica, che, nella Dottrina della scienza, vede l’atto come il primo principio alla base di quella concezione dell’Io assoluto, che non è un ente e neanche una sostanza, ma puro atto di un Io che pensa se stesso e che contrappone sé a se stesso come un ostacolo, un Non-io, su cui esercitare la sua libertà creatrice in un’azione senza fine e progressiva.

Azione e sostanza

L’azione ancora connessa in modo distinto alla sostanza o l’idea che l’essenza della sostanza consista nell’agire, era invece nella posizioni intermedie espresse nel XVII secolo da Spinoza, che concepisce Dio come essenza attuosa, e da Leibniz a proposito delle monadi intese come centri di forza.

Poiesis e praxis

«Chiunque produce qualcosa la produce per un fine, e la produzione non è fine a se stessa (ma è relativa ad un oggetto, cioè è produzione di qualcosa), mentre, al contrario, l’azione morale è fine in se stessa, giacché l’agire moralmente buono è un fine, e il desiderio è desiderio di questo fine… Il fine della produzione è altro dalla produzione stessa, mentre il fine dell’azione no: l’agire moralmente bene è un fine in se stesso.» (Aristotele, Ethica nicomachea)

L’azione propria dell’uomo veniva distinta da Aristotele (Etica nicomachea, libro VI) in due forme:

  • la poíesis (greco ποίησις), che è l’agire diretto alla produzione di un oggetto che rimane autonomo e estraneo rispetto a chi l’ha prodotto;
  • la práxis (greco πρᾶξις), che riguarda un agire che racchiude il proprio senso in se stesso. Tutte le azioni morali, positive o negative, che non sono dirette alla specifica produzione di oggetti, rientrano in questa seconda accezione, che è stata quella prevalente nella gamma di significati del termine azione nelle lingue europee. Agire come pratica, termine equivalente, in questo caso, di morale.

Nella Scolastica, ad esempio in San Tommaso, questo secondo significato dell’azione veniva espresso con actio immanens, azione immanente, che trova il senso all’agire all’interno dell’agire stesso. Riportata al significato di poíesis era invece quella che veniva chiamata actio transiens per la quale l’azione transitava, passava su qualcos’altro.

Azione e volontà

Un’ulteriore distinzione poi nel pensiero tomistico viene fatta a proposito del rapporto tra volontà ed azione:

  • l’azione elicita è quella che coincide con l’atto stesso del volere: la stessa espressione della volontà è un’azione, il volere è di per sé un’azione;
  • l’azione comandata è quella attività diretta da una volontà che tende a realizzare quanto voluto.

Vicine a questo secondo significato sono nel pensiero moderno le concezioni di Hobbes e Locke che vedono l’agire umano sempre diretto da una volontà intesa come causa di ogni comportamento.

Anche Kant distingue l’azione umana come diretta da una libera volontà (causalità attraverso la libertà) dove la causa libera, ma ineliminabile, è la libertà di scelta che prelude al comportamento morale concreto, contrapposta alla causalità del mondo della natura dominato dal meccanismo causa-effetto.

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Azione (linguistica)

L’azione, detta anche azionalità o qualità dell’azione (traduzioni del termine tedesco corrispondente: Aktionsart) è una delle principali categorie del verbo, assieme a modo, tempo e aspetto.

L’azione ci permette di distinguere tra diverse categorie di verbi, a seconda del tipo di evento che essi denotano. È quindi un concetto strettamente legato al significato lessicale del verbo, e non è dipendente dal parlante (come invece aspeto, con cui spesso l’azionalità viene confusa).

Per evitare la confusione, generata dalla corrispondenza terminologica inglese, fra aspetto e azione, i linguisti preferiscono utilizzare il termine tedesco Aktionsart, oppure lexical aspect.

In italiano non sono presenti marche di azionalità, ma non sono rare le lingue (come molti creoli o molte lingue africane) in cui verbi appartenenti a categorie azionali differenti sono contrassegnati da marche morfologiche differenti.

Aktionsart

Il termine di Aktionsart ha origine nella linguistica tedesca. Esso indica il modo in cui un verbo involve la nozione di tempo, in altre parole il modo con cui si svolge l’evento denotato dal verbo.

Uno dei primi autori ad aver cercato sistematicamente di identificare diversi tipi di Aktionsart è Zeno Vendler; egli distingue quattro tipi principali di verbi:

  • “attività”: verbi che denotano eventi che si svolgono in periodi di tempo non delimitati, per esempio camminare
  • “stato”: sono verbi che non denotano eventi, ma che descrivono uno stato di fatto, come ad esempio sapere
  • “realizzazione”: verbi che denotano dei cambiamenti di stato improvvisi, come ad esempio raggiungere la cima della montagna
  • “compimento”: verbi che denotano dei cambiamenti di stato che si svolgono nel tempo, come ad esempio invecchiare.

Queste quattro categorie principali di Aktionsart si possono raggruppare in due gruppi: “verbi telici” e “verbi atelici”. I primi sono i verbi che denotano un evento delimitato dal telos, ossia un evento che ha un punto culminante, una fine. Di questi fanno parte i verbi di realizzazione e i verbi di compimento. Possono essere ingressivi, ossia descrivono l’ingresso di uno degli argomenti in un nuovo stato, oppure egressivi, ossia descrivono l’uscita di uno degli argomenti da uno stato.

I verbi atelici sono verbi che denotano un evento che non è delimitato da alcun telos: di questa categoria fanno parte le attività e gli stati. Possono essere di diversi tipi a seconda del tipo di eventualità denotata: durativi, dinamici oppure iterativi (Duden Band 4, 2006). Nella sua discussione degli aspetti lessicali, Bernard Comrie (1976) ha incluso un’altra categoria, quella degli eventi puntuali come “starnutire”

Tratti azionali

Come nel caso della fonologia si distinguono le diverse entità fonologiche utilizzando i tratti distintivi, anche in semantica diverse categorie possono essere descritte utilizzando uno schema di tratti.

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