Autorità

Glossario – Autorità

 

Etimo secondo TPS

 

Dal latino auctoritas, autorità, comando, legittimità, derivato da auctor, colui che fa nascere, autore, guida, dal verbo augere, transitivo, “aumentare, accrescere, potenziare” e intransitivo, “crescere”. Dalla radice indoeuropea *UG- che si allarga in AUG, che esprime l’idea di accrescere. Sanscrito uksati, crescere, divenire forte. Secondo F. Rendich la radice di riferimento sarebbe uj/oj/auj, composta dai suoni j e u/o/au, ad esprimere l’idea di “andare avanti” [j] con forza [a/o/au]: “far nascere”, “crescere”, “aumentare”. Sanscrito ugra, potente; greco aukso, aumentare; latino augeo, accrescere. È interessante notare che avrebbero la stessa radice anche i termini latini augur, augure – in quanto designerebbe “colui che assicura il crescere di un’impresa”, “colui che dà presagi” – e auxilium, aiuto (DEC, pp. 97-98).

 

Autorità indica la guida a una retta crescita

 

Nel Lambdoma Vita la definizione è: L’Autorità è la legittima sovranità (6.7)


Treccani

 

autorità s. f. [dal lat. auctorĭtasatis, der. di auctororis «autore»; propr. «legittimità»]. –

1a. Nell’ambito giuridico e politico, la posizione di chi è investito di poteri e funzioni di comando, e la cui forza è basata da un lato sulla sintesi del volere con la legge, dall’altro sul riconoscimento ufficiale della forza stessa: l’a. dello stato, del governo, dei ministri, del tribunale, di un funzionario; principio di a., l’affermazione della necessità di un potere sovrano (per un’altra accezione di questa locuz., v. il n. 3 b); fig., l’a. delle leggi.

1.b. Spesso con riferimento diretto alle persone che esercitano un potere legittimo o agli organi che svolgono determinate funzioni pubbliche: l’a. governativa, civile, militare, di pubblica sicurezza, ecclesiastica, marittima, ecc.; a. giudiziaria, il complesso degli organi che esercitano la giurisdizione ordinaria, comprendente sia gli organi giudicanti sia quelli requirenti; a. costituita, riconosciuta e sanzionata dallo stato (con partic. riferimento agli organi e alle persone cui è affidata la tutela dell’ordine pubblico); pubblica a. (o assol. autorità), la pubblica amministrazione in senso lato, con riferimento sia agli organi dello stato sia a quelli degli enti ausiliarî. Di uso frequente la locuz. avv. d’autorità, con provvedimento preso da un potere costituito (o comunque da un pubblico potere) e reso immediatamente esecutivo: demolire d’a. una costruzione abusiva; i veicoli in sosta d’intralcio saranno rimossi d’autorità.

1.c. In senso più concr., e per lo più al plur. (sull’esempio del fr. autorités), gli individui stessi preposti a cariche pubbliche implicanti funzioni di comando: le a. civili e militari; le più alte a. ecclesiastiche; obbedire alle a.; consegnare alle a.; la cerimonia si svolgerà alla presenza (o con la partecipazione) delle più alte a. dello stato.

1.d. Sul modello dell’ingl. authority (v.), nella pubblica amministrazione, organo o ente preposto ad un compito specifico: Autorità per l’informatica, istituita nel 1993 per la realizzazione, progettazione e sviluppo dei sistemi informatici nella pubblica amministrazione.

2. L’azione determinante che la volontà di una persona esercita (per forza propria, per consenso comune, per tradizione, ecc.) sulla volontà e sullo spirito di altre persone: l’a. del padre sui figli, del maestro sugli scolari; avere, godere, acquistare, perdere a.; esercitare un’a.; fare uso, abusare della propria a. (per l’abuso di a. come reato, v. abuso); avere l’a. di fare, di ordinare, d’impedire una cosa; chi ti dà l’a. di giudicarmi?; di propria a., di proprio arbitrio. Riferito a cose astratte, è spesso sinon. di validità, valore: disposizione che ha a. di legge.

3. Per estens.:

3.a. Stima, credito di cui un individuo gode (per età, virtù, scienza, ingegno, ecc., o per particolare competenza in qualche professione o disciplina) nel far fede, consigliare, guidare, proporre: la sua canizie gli conferisce a.; avere a. nel campo degli studî, in fatto di lingua, di medicina; s’è imposto con l’a. del proprio nome, del proprio casato; anche con riferimento a cose astratte: l’a. del senno, dell’esperienza, del sapere.

3.b. Testimonianza o affermazione autorevole: basarsi, appoggiarsi sull’a. di uno scrittore; citare l’a. di un filosofo, di un economista, di un testo di lingua; chi disputa allegando l’a., non adopera lo ’ngegno, ma più tosto la memoria (Leonardo); incomprensibile è per me come si scriva la storia senza allegare le a., si raccontino i fatti senza allegare le fonti (Confalonieri); anche, esempio autorevole, e in partic. (ma quest’uso è raro nella lingua italiana) citazione tratta da un’opera considerata testo di lingua: dei quali modi vivi se mancheranno le a. scritte, i compilatori staranno contenti, come usò la vecchia Crusca, a registrarli aggiungendo una dichiarazione in forma d’esempio (Carducci). Principio di a., principio per cui si riconosce validità assoluta a dottrine, spec. filosofiche o scientifiche, non per il loro fondamento razionale, ma unicamente in base all’autorevolezza e al prestigio di chi le ha avanzate.

3.c. Con sign. concr., persona che ha particolare credito e competenza in qualche disciplina o materia: essere un’a. negli studî giuridici, in fatto di cucina, di sport, ecc.

4. Nel linguaggio sport., facilità nel superare una prova dimostrando maggior classe dell’avversario: i nostri tennisti hanno vinto con autorità.

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Wikipedia

 

Con il termine autorità (dal latino auctoritas, da augeo, accrescere) si intende quell’insieme di qualità proprie di una istituzione o di una singola persona alle quali gli individui si assoggettano in modo volontario per realizzare determinati scopi comuni.

Spesso è usato come sinonimo di potere, ma in realtà i due termini afferiscono ad accezioni diverse. Il “potere” si riferisce all’abilità nel raggiungere determinati scopi mentre il concetto di “autorità” comprende la legittimazione, la giustificazione ed il diritto di esercitare quel potere.

Studi sul concetto di autorità

Le prime riflessioni sul concetto di autorità possono essere fatte risalire al filosofo greco Platone (427 a.C.-347 a.C.) ed agli antichi Romani che distinsero tra auctoritas, potestas ed imperium, ma è stato con la nascita degli stati nazionali che l’indagine si separa da implicazioni di tipo divino, grazie a Il Principe (1513) di Niccolò Machiavelli e al Leviatano (1651) di Hobbes, opere in cui per la prima volta viene affermata una nozione moderna e laica di autorità.

Successivamente fu l’empirista Locke, nei Due trattati sul governo (1690) a continuare la riflessione in proposito, giungendo a concludere che il fondamento dell’autorità debba essere cercato nella libertà e nell’uguaglianza di tutti gli individui. Contro ogni forma di assolutismo fu anche Jean-Jacques Rousseau che, nella sua opera Contratto sociale, (1762), teorizzava un concetto di autorità come emanazione della volontà popolare.

Nel XIX secolo l’autorità, nelle riflessioni di Hegel e di Comte, divenne la guida irrinunciabile del progresso umano. Secondo Marx, invece, nella prospettiva del materialismo storico, l’autorità si configurava come il dominio oppressivo della società capitalistica sulla classe operaia.

Il sociologo Émile Durkheim nel 1893, con l’opera Divisione del lavoro sociale, propose un’idea di autorità come regolamentazione dall’alto del funzionamento complessivo della società, basata appunto sulla divisione del lavoro.

Su questo piano conduce la sua riflessione anche Max Weber che, nel suo saggio Economia e società, distingue tre tipi di autorità:

  1. quella legale, ovvero quella regolata da un sistema ufficiale di leggi;
  2. quella tradizionale, ossia legittimata dalla tradizione;
  3. quella carismatica, legittimata dalle capacità personali (il carisma appunto) del capo.

Gli studi più recenti sul concetto di autorità, condotti nel 1936 da Max Horkheimer, Herbert Marcuse e Erich Fromm (in Studi sull’autorità e la famiglia) e da Theodor Adorno con l’opera La personalità autoritaria (1950), vertono sulla denuncia della degenerazione dell’autorità in autoritarismo.

L’Auctoritas Augustea

Il concetto di Auctoritas, nell’antica Roma, rimane indissolubilmente legato alla figura di Augusto. Lui stesso, nelle Res Gestae Divi Augusti, spiega come l’enorme mole di poteri che gli vennero attribuiti dal senato, li ottenne poiché fu riconosciuto, unanimemente, come il cittadino con la maggiore Auctoritas rispetto agli altri. Augusto, per auctoritas, intendeva lo spessore che ebbe assunto la sua persona, in virtù delle gesta e delle imprese militari nelle quali si rese protagonista e che gli permisero di accumulare un potere personale effettivo, nonostante non ricoprisse cariche politiche ufficiali.

Auctoritas come fonte del sapere medievale

Fuori dal contesto geo-politico, la parola auctoritas aveva anche un valore nel campo religioso-scientifico. L’auctoritas era quella forma di reverenza e di fiducia che si riponeva nelle sacre scritture, quali strumenti della rivelazione divina: esse non potevano essere messe in discussione, ma essendo oggetto di fede, rappresentavano oltre che testi religiosi, le fonti più importanti per qualsiasi campo del sapere. In questo senso l’auctoritas era il principio su cui si basava la conoscenza scientifica prima della rivoluzione scientifica di Galileo e Francesco Bacone (il tutto è riassumibile nella locuzione latino Ipse dixit).

Nel corso del Medioevo l’auctoritas non rimase circoscritta ai testi sacri, ma gradualmente venne estesa ad altri grandi autori del mondo classico (sebbene la filosofia scolastica indicasse anche quale valore dare ai passaggi in apparente contraddizione) e poi alla grande maggioranza degli scritti in genere, pur nella costante convinzione che la ratio fosse superiore all’auctoritas (l’autorità si fonda sulla ragione, ma non la ragione sull’autorità, dice Scoto Eriugena) e che, negli argomenti umani, l’argomento d’autorità fosse, per definizione, il più debole, di fronte ad argomenti di ragione o di tipo empirico (Tommaso d’Aquino).

Alcune posizioni polemiche posteriori, umaniste o illuministe, hanno invece voluto presentare un Medioevo preda della ferma convinzione della totale assimilabilità tra una prova empirica e una testimonianza ritenuta credibile; questo principio, si dice, sarebbe alla base di tutto il sapere medievale e spiegherebbe anche la proliferazione di credenze di sapore più superstizioso e magico. Secondo questa posizione, i primi accenni alla delegittimazione di questa sorta di (usando un termine dispregiativo) “creduloneria” sarebbero avvenuti a partire dall’umanesimo e dalla riscoperta del mondo classico senza il filtro degli autori medievali.

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