Apparenza

Glossario – Apparenza

 

Etimo secondo TPS

 

Dal latino apparentia, “manifestazione”, “comparsa”, “apparenza”, derivato dal verbo apparere, “apparire”, “manifestarsi”, “essere percettibile ai sensi”, composto dal prefisso ad, che indica moto a luogo, scopo, e da pareo, “mostrarsi”, “obbedire” (con dativo). Pareo deriva dalla radice indoeuropea *PAR-, che esprime l’idea di “portare al di là”: si vedano il sanscrito para e il greco pera, “oltre”; i termini italiani “porta” e “partorire”.

 

Apparenza indica la soglia dell’Essenza

 

Nel Lambdoma Manifestazione la definizione è: L’Apparenza è il velo dell’Esistenza (7.6)


Treccani

 

apparènza s. f. [dal lat. tardo apparentia, der. di apparere «apparire»]. –

1. Ciò che appare, che si mostra alla vista; quindi aspetto, e anche contegno, comportamento esteriore: giovane di bella a.; mobili di a. solida; a giudicare dall’a., direi che si vogliono bene; a. degli astri, in astronomia, l’aspetto che gli astri, e in partic. i pianeti, mostrano all’osservazione telescopica. Non com., appariscenza: stoffa di molta a.; uomini di non molto ingegno, bensì di molta a. (Leopardi). Per lo più si contrappone alla sostanza, a ciò che è in realtà: l’a. inganna; lasciarsi guidare dalle a.; tutte le a. (cioè tutti gli indizî esteriori) sono contro di lui; tenere molto alle a., alle manifestazioni esterne e convenzionali; salvare le a., conformarsi alle convenzioni sociali, evitare, nel comportamento esterno, di prestare il fianco a critiche o biasimi. Talora serve a negare addirittura l’esistenza di ciò che appare: la loro felicità, o la loro ricchezza, non è che apparenza. Come locuz. avv., in a., all’a., stando a quanto appare, giudicando da ciò che si vede.

2. Nella metafisica, ciò che è, o può essere, percepito dai sensi ed è oggetto di immediata o riflessa credenza, variamente interpretato nella storia del pensiero ora come ciò che vela e nasconde la realtà, ora come ciò che la manifesta (è per lo più sinon. di fenomeno, contrapp. a sostanza ed essenza): a. sensibile, a. fenomenica; falsa a.; secondo Aristotele, l’a. è il punto di partenza per la ricerca della verità.

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Wikipedia

 

Nella filosofia antica il termine apparenza sta ad indicare un riferimento all’opinione, alla percezione sensibile del fenomeno, ritenendo ambedue i termini significanti incertezza nell’acquisizione di una verità presupposta invece come assoluta. Per questo motivo, il termine apparenza viene spesso inteso in contrapposizione a verità o realtà.

 

Storia e diversi significati

 

Parmenide

Per l’eleatismo di Parmenide, l’autore del poema filosofico Sulla natura o sul non essere, tutto il mondo sensibile è apparenza, non essere, e solo il filosofo è in grado di raggiungere l’unica vera realtà dell’essere nascosto e sconosciuto al volgo, i «mortali bicefali» che seguono l’apparenza per il bisogno che essi hanno di vivere in un mondo artificiale, costruito secondo i loro desideri, non inteso qual esso com’è rivelato dalla ragione.

«Due sole vie di ricerca si possono concepire. L’una è che l’essere è e non può non essere; e questa è la via della persuasione perché è accompagnata dalla verità. L’altra, che l’essere non è ed è necessario che non sia; e questo, ti dico, è un sentiero sul quale nessuno può persuaderci di nulla». [Perciò] «un solo cammino resta al discorso: che l’essere è»

Platone

Meno rigida la concezione platonica. Pur restando tutte le manifestazioni del mondo sensibile attinenti alla sfera dell’apparente, tuttavia alcuni fenomeni, (le icone, come le forme sensibili geometriche-matematiche) conservano la positività di una somiglianza e di un’adeguata proporzione con il vero mondo, perfettamente reale, delle idee. Questo genere di fenomeni permettono l’intuizione anche solo approssimativa del mondo delle idee; al contrario altri fenomeni, sono totalmente iscritti nel registro delle apparenze (i simulacri) perché, invece, risultano non somiglianti e totalmente inaffidabili come criteri di partenza per approssimarsi alla realtà ideale.

Sofisti e Scettici

Per i sofisti e gli scettici non c’è via d’uscita per l’uomo soggetto ai sensi e condannato a vivere in un mondo apparente che muta a seconda del soggetto che lo percepisce.

Aristotele

Aristotele distingue invece un’apparenza del tutto contraria alla realtà, come quella che ci presentano i sogni e un’apparenza da cui può iniziare un processo conoscitivo che porta alla verità. Lo studio della natura parte infatti sempre dai fenomeni, dalle cose come apparentemente appaiono per poi arrivare alle scoperta delle cause che procurano il sapere autentico.

Filosofia medioevale

Nella filosofia medioevale il pensiero cristiano oscilla tra una concezione platonica rivista secondo il neoplatonismo e quella aristotelica dove l’apparenza assume, come in Scoto Eriugena un valore positivo di verità. Il mondo apparente è visto infatti come “manifestazione” del Dio creatore.

Rivoluzione scientifica

Gli sviluppi degli studi sull’ottica e i progressi nell’astronomia originano la necessità di una spiegazione dell’apparenza di fenomeni legati alla rifrazione e alla riflessione e del movimento apparente dei corpi celesti: questi fenomeni infatti, pur misurabili, risultano invece in contrasto con la loro realtà. Per queste questioni non ancora risolte, nei secoli XVII e XVIII la riflessione filosofica si chiede se sia possibile all’uomo raggiungere una verità indubitabile, come sostengono Cartesio, Malebranche, Spinoza, oppure se esso sia destinato ad una conoscenza che si risolve nell’ambito dell’apparenza sensibile.

Empirismo

Il tema dell’apparenza diviene centrale nell’empirismo che si chiede se debba credersi alle cose come appaiono all’uomo o se queste abbiano una loro realtà in sé: alla domanda risponde il meccanicismo stabilendo la differenza tra le qualità delle cose, puramente soggettive (come gli odori, i colori ecc.) e gli aspetti quantitativi della realtà, misurabili e oggettivi, su cui si può avere invece conoscenza certa.

Hobbes

Hobbes è convinto della ineliminabile soggettività delle percezioni sensibili apparenti, e che la conoscenza umana sia limitata entro l’orizzonte fenomenico. Kant accentuerà questa posizione dell’empirismo con la concezione del noumeno, la cosa in sé, pensabile ma non conoscibile, contrapposta all’aspetto fenomenico della realtà. Per questo sarà necessario distinguere anche terminologicamente quella apparenza del tutto falsa (Schein) da quella connessa allo stesso fenomeno che contraddistingue il limite ineliminabile del sapere umano (Erscheinung) che è condizionato dalla nostra stessa struttura mentale spazio-temporale che ci rende impossibile cogliere la realtà in sé.

Hegel

Per Hegel l’Erscheinung non ha a che fare con la soggettività umana ma è la manifestazione dell’essenza. Esiste infatti una struttura dialettica tale che inizia con l’essere, colto nella sua immediatezza, a cui si oppone antiteticamente l’essenza e che si conclude con il termine che comprende sinteticamente i due gradi precedenti e che è appunto l’Erscheinung, che ci permette di cogliere la realtà dell’essenza nel fenomeno.

Fenomelogia ed Esistenzialismo

Concezione quest’ultima, priva della mediazione dialettica e con un significato diverso di “essenza”, ripresa da Edmund Husserl ed accentuata in senso antisoggetivistico da Martin Heidegger.

Schopenhauer

Ben nota infine è la visione dell’apparenza del mondo reale offuscato dal “velo di Maya” di cui tratta Arthur Schopenhauer che riprende la dottrina platonica e quella kantiana per trarne una dottrina tutta ispirata a un pessimismo cosmico.

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