Sul Sentiero

Il Desiderio e il Cuore

La Legge inerente alla Manifestazione, e che dà senso al tutto, è l’evoluzione da forme inferiori a forme superiori; ciò è valido per i regni di natura e per gli esseri umani, per il microcosmo e per il macrocosmo. L’evoluzione dell’uomo avviene per lungo tempo in modo “automatico”; l’individuo non risvegliato è trasportato dalle forze della vita e dai suoi più immediati bisogni e desideri. Ma, pervenuto ad uno stadio più avanzato, l’uomo comincia a guidare il proprio destino, a ragionare, a discriminare e a scegliere; in questa capacità di autodeterminarsi sono la nostra responsabilità e la nostra dignità.

In ciò è anche il valore e il significato delle nostre esistenze.

Chi inizia il Sentiero ha camminato a lungo, inseguendo i desideri, uno dopo l’altro; nei primi stadi dell’evoluzione ha ricercato la soddisfazione di bisogni legati alla sfera fisica: sicurezza, cibo, sesso…; poi l’esaudimento di desideri riguardanti il piano emotivo: comprensione, calore, simpatia…; infine, l’appagamento di aspirazioni di ordine più elevato: filosofiche, intellettuali, estetiche…

“Esso (il desiderio) si trova a metà strada e, partendo da questo punto, la via conduce da un lato verso l’alto, da quello opposto verso il basso. Esso è la base dell’azione ed è ciò che muove il volere. Come dicevano gli antichi ermetici “Dietro il volere sta il desiderio”. Infatti, tanto se vogliamo fare del bene quanto del male, è necessario che destiamo in noi il desiderio di simili azioni.
L’uomo retto il quale diventa pure saggio, dovette pure una volta, nel corso delle sue molte vite, bramare la compagnia di santi uomini e dovette tener vivo in sé il desiderio verso il progresso allo scopo di continuare per quella via….
Così egualmente dall’altro lato l’uomo malvagio si creò in molte vite successive desideri bassi, egoisti e scellerati, degradando questo principio invece di purificarlo”.
(William Q. Judge, L’Oceano della Teosofia)

Dopo tali peregrinazioni nei vari giri della spirale evolutiva, il Desiderio scopre il suo vero volto di agente al servizio dell’evoluzione; il suo “obiettivo”è stato quello di:

  • insegnare l’azione e la persistenza;
  • potenziare capacità;
  • rafforzare doti e inclinazioni;
  • raffinare l’uomo, elevandone gradualmente le aspirazioni;
  • temprare la volontà, elemento necessario per tutti i conseguimenti, e, in misura maggiore, per quelli spirituali.

Il gioco è stato scoperto, la maya è divenuta manifesta, e l’uomo è “vuoto”.

All’aspirante-ricercatore numerose attività in cui gli uomini usano applicarsi per buona parte della loro vita appaiono fatue e, talvolta, insane.
La vita, così come finora egli l’ha intesa – e gli sembrava l’unica e ovvia maniera d’intenderla – gli appare priva di senso.
La sua aspirazione si fa più intensa e profonda ed egli si rivolge infine al suo Sé, del quale ricerca la voce, spesso sommersa dal vano rumore del “mondo”:

“Colui che lascia questo mondo senza conoscere il suo Sé interiore ha condotto una vita senza significato. Non ha vissuto affatto la sua vita”. (Brihad Aranyaka Upanishad).

Infine l’unico desiderio che gli appare degno di essere perseguito è quello di espandere il Cuore, affinché diventi sempre più includente, onnicomprensivo, condividente ed operativo.
Gli appaiono vane le infinite teorizzazioni sul Cuore che non trovino pronto e generoso riscontro nell’agire quotidiano; che non si esplicitino nella chiarezza delle relazioni; che non risplendano in una amorevole Cooperazione; che non si manifestino empaticamente ed integralmente al servizio dell’Uomo.

Che il nostro desiderio, elevando sempre più le sue vibrazioni, diventi aspirazione all’ampliamento del Cuore, che palpiti nell’atmosfera carica di freschi sensi della Nuova Era:

“Vedere con gli occhi del cuore; udire con le orecchie del cuore il fragore del mondo; penetrare il futuro con la comprensione del cuore; ricordare gli accumuli del passato mediante il cuore; così bisogna avanzare, con impeto, sulla via dell’ascesa. La capacità creativa ha in sé una potenzialità ignea, ed è intrisa del sacro fuoco del cuore. Pertanto sulla via della Gerarchia, del grande Servizio e della Comunione, la sintesi è la via luminosa del cuore”. (Collezione Agni Yoga, Cuore, § 1)

 

Il Silenzio

La mentalità comune ritiene che silenzio sia semplicemente la mancanza di parola; la nostra società, presa dal vortice delle parole, teme il silenzio, che appare invece spesso utile e necessario, e, in alcune circostanze, saggio e sacro.

La parola è estremamente importante nei gruppi umani ma ha anche dei limiti: non arriverà mai ad esprimere perfettamente ciò che vorremmo perché ogni espressione verbale, per quanto possa apparire significativa, è sempre, almeno in parte,  una cristallizzazione del nostro retaggio culturale. Le esperienze più alte sono sempre indicate, da mistici e illuminati, come “ineffabili”, proprio perché stra-ordinarie e dirompenti.

Ecco perché il vero silenzio interiore può contribuire a farci percepire meglio il senso e la funzione di ogni parola, ad avvertirne la pertinenza o l’inutilità e, spesso,  a collegarci con maggiore intensità e consapevolezza con ciò che ci circonda:

“La persona solitaria, ben lontana da chiudersi in se stessa, diventa una con tutti. Partecipa della solitudine, della povertà, dell’indigenza di ogni essere umano”.  (ThomasMerton)

E’ nel silenzio che riusciamo a trascendere ogni forma di linguaggio stereotipato. In esso entriamo nella dimensione del meta-linguaggio, il quale ci aiuta a padroneggiare meglio la situazione per non scadere nei luoghi comuni e lasciarci incoscientemente  condizionare dalla mentalità corrente. Poiché:

“È solo nella solitudine e nel silenzio che la nostra vita è realmente presente, che noi rispondiamo veramente al battito del cuore dell’universo e siamo liberi di contemplare il miracolo dell’esistenza. Forse non il mondo della strada ma il mondo del qui ed ora”. (John Lane, Lo spirito del silenzio)

Il vero silenzio interiore consiste nel non dare per scontati concetti, immagini, e persino il valore attribuito a termini acquisiti sin dall’infanzia; esso pertanto è uno dei principali motori del progresso civile ed etico e di ogni operazione che richieda cambiamento di regole e schemi sentiti come ormai inaridenti e cristallizzanti.                                                                            Affermava il poeta e scrittore francese Alfred de Vigny: “Solo il silenzio è grande; il resto è debolezza”. Nel linguaggio mistico del passato, “andare nel deserto” significava rientrare in se stessi per fronteggiare meglio le situazioni esterne; i monasteri di clausura usano ancora l’espressione “fare deserto” a proposito della necessità del silenzio interiore in cui l’anima può vibrare all’unisono con il Cosmo. Per far nascere realmente in noi stessi questo “fiore del deserto” sono richieste vigilanza, saggezza e determinazione, perché la nostra mente è avida di contenuti e il nostro piccolo sé teme il vuoto, nel quale potrebbe perdere la sua illusoria identità:

“L’Intelligenza cosmica ha messo i suoi tesori là dove il rumore non può avere accesso.
Per raggiungere quelle regioni, bisogna staccarsi dal livello delle passioni ordinarie e dalle loro grandi oscillazioni, e aumentare l’intensità delle vibrazioni della propria anima. È introducendo il silenzio nella sua anima che il discepolo si innalzerà fino a quelle regioni in cui l’Intelligenza cosmica ha posto la felicità” (Omraam Mikhaël Aïvanhov,  Pensieri quotidiani)

 E l’iniziato Dante conferma che le esperienze più alte non si possono “ridire”:

“Nel ciel che più della sua luce prende
fui io e vidi cose che ridire
né sa né può chi di lassù discende” (Paradiso, canto I)

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Nota: Questo articolo viene pubblicato in occasione della congiunzione fra Mercurio, Signore dell’Armonia (4° Raggio) e Giove, Signore dell’Amore (2° Raggio) nel segno di Sagittarius (4°, , 6° Raggio

 

 

 

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