Alla radice del gruppo

Nello scorso articolo etimosofico abbiamo cominciato ad analizzare le parole che designano la Meta di quest’anno 5.7, dedicato a celebrare la “Liturgia creativa del gruppo e del lavoro”, esplorando l’essenza del termine “liturgia”, che significa “operato offerto con fervore alla comunità”.

Desiderando ora continuare l’analisi dei termini della Meta, e visto che “creatività” e “lavoro” sono già reperibili nel Glossario, vogliamo qui cogliere l’occasione per dedicarci alla parola “gruppo”, perché è il perno che regge tutto il nostro impegno. “Iniziazione di Gruppo” è la terza delle sette Mete che vivificano la diagonale della Tavola del Piano, e la parola contribuisce a definire il contenuto di ben altre nove Mete. [1]

Da un punto di vista linguistico, si tratta di una sfida, poiché l’etimo di “gruppo” è incerto, e dovremo armarci di spirito investigativo e di pazienza, per farci esploratori della radice della parola, anche se in ogni caso può rivestire qualche interesse lo stesso metodo d’indagine che si applica in glottologia.

L’ipotesi più diffusa è che la “nostra” parola derivi dalla radice protogermanica *Kruppaz, che indica un grumo, un nodo, una massa rotonda (nel tedesco odierno, Kruppe significa “groppa”), ma vedremo che questa ricostruzione non ci sembra per nulla convincente.

È importante premettere che, in ogni caso, l’uso della parola “gruppo” – non la radice, come indicato sopra – è concordemente attribuito dai linguisti a un’origine italiana, attestato per la prima volta nel mondo dell’arte nel 1500, e che il termine fu successivamente mutuato in francese (groupe), in spagnolo (grupo), in inglese (group) e nello stesso tedesco, poiché anche la parola germanica per gruppo, Gruppe, risulta traslata dalla Francia.

Per molti studiosi, la prima testimonianza del termine potrebbe essere documentata in Dante, nella Commedia, in tre passi dell’Inferno, di cui ne descriviamo a scopo esemplificativo solo uno, limitandoci a citare gli altri:

E poi che forse li fallìa la lena,

di sé e d’un cespuglio fece un groppo.

ove quest’ultima parola del verso indica un groviglio.

Dante si trova nel secondo girone del settimo cerchio, nel quale sono puniti i violenti contro sé stessi, suicidi e scialacquatori: è in un bosco dove crescono solo cespugli intricati, abitato da creature mostruose. Il dannato per dissipazione, cui “forse mancava il fiato”, inseguito da nere cagne fameliche, è Giacomo di Sant’Andrea, che per nascondersi, invano, “di sé e di un cespuglio fece un groviglio”. [2]

Un “groppo” o “nodo” di lacrime ghiacciate è quello che si forma nel nono e ultimo cerchio infernale sugli occhi dei traditori degli ospiti, impedendo ogni sfogo al pianto [3], mentre “groppo” è usato in modo figurato per significare la “difficoltà che lega la mente” del Poeta nel comprendere in che modo l’usura offenda gravemente la bontà divina. [4]

In Boccaccio, che scrisse il Decameron alcuni decenni dopo, non troviamo traccia della “nostra” parola: è “brigata” il termine da lui utilizzato per indicare la schiera delle sette donne e dei tre uomini che durante la peste si ritirano in una villa fuori Firenze e si raccontano a turno straordinarie novelle.

Fu Giorgio Vasari, artista e grande storico dell’arte, vissuto nel 1500, ad utilizzare il termine “gruppo” per indicare un insieme ordinato di figure artistiche, termine che fu poi ripreso da Galileo in modo più esteso per designare insiemi di cose e persone. Poco più tardi, come anticipato sopra, la parola fu traslata in Francia, in Germania, in Spagna e in Inghilterra, mantenendo a lungo, in inglese, il senso particolare di “composizione di figure o oggetti nella pittura e nel disegno che formano un insieme armonioso”.

Ci fa anche un po’ sorridere pensare che le moderne “foto di gruppo” possano aver conservato una nota del retaggio di composizioni artistiche…

Per completezza della ricerca storica, citiamo anche il fatto che, quando verso la metà del XIX secolo si volle dare un nome a un pioneristico studio sulle equazioni polinomiali, elaborato dal geniale quanto precoce matematico francese Évariste Galois, lo si denominò “teoria dei gruppi”. Fervente repubblicano, famoso anche per aver brindato al re con un coltello, incarcerato, morì appena ventenne in seguito a ferite riportate in un duello. Presago della propria morte imminente, scrisse un coraggioso testamento matematico. Questi studi algebrici avrebbero avuto un grande sviluppo, con applicazioni in geometria e in vari ambiti di ricerca: a livello divulgativo, ad es., formano un “gruppo” anche le mosse del “cubo di Rubik”.

Sappiamo che il termine, a partire dal 1800, sarebbe stato destinato a incontrare una grande fortuna in ogni ambito dello scibile, estendendosi dalle discipline artistiche e scientifiche alle scienze sociali e psicologiche. A noi in particolare stanno naturalmente a cuore le indicazioni evolutive sull’essenza del gruppo date dal Maestro Tibetano e dall’Agni Yoga, e gli studi e le sperimentazioni che stiamo portando avanti, che costituiscono la nostra stessa vita.

Ci domandiamo: qual è la radice di “gruppo”, che ne esprime l’essenza sonora? come è possibile che dal “groviglio” e “nodo” dantesco, attribuito da alcuni a una radice germanica, si sia arrivati a designare la composizione armonica del Vasari, ispirandosi a un’idea di bellezza, e in generale sistemi ordinati nel campo dell’arte e della scienza? Siamo così sicuri che non esista nel latino classico un termine con una radice affine che possa indicare un insieme ordinato? Visto che la storia della parola è linguisticamente piuttosto recente, e che il preteso etimo protogermanico *Kruppaz è isolato, senza corrispondenze in altre lingue, perché non cercare la comparazione con una radice affine nel greco e soprattutto nel sanscrito, lingue che maggiormente conservano tracce delle antiche matrici indoeuropee?

Queste domande nascono dalla consapevolezza che molto spesso, in etimosofia, l’anima di una parola è nascosta da un’apparenza che la nasconde e che solo formalmente l’apparenta ad una determinata famiglia linguistica, mentre la sua affinità è da rintracciare in un altro ceppo.

Su ispirazione delle ricerche del glottologo Rendich – che però non tratta del termine “gruppo” – il quale ha ideato un metodo interpretativo nuovo, associando ogni suono a un’idea, proviamo a esplorare direttamente i suoni iniziali della parola, che di norma indicano le tracce della radice: g, r.

A proposito del primo suono, Rendich scrive: ‘È il nome indoeuropeo Agni, il dio del fuoco che in origine impersonava il bagliore del lampo, a indicarci il tipo di moto espresso dalla consonante g. […]. Il suono g designava infatti il moto tortuoso del lampo.”

Sul secondo suono scrive: “In indoeuropeo la consonante r […] significa “muovere verso”, “andare, venire incontro”, “giungere”, “raggiungere”. [5]

Ecco che allora riusciamo a individuare una radice indoeuropea che ha affinità con la nostra parola “gruppo”: *GRĀ-, che esprime l’idea di “muoversi da ogni parte [g] per acquisire un risultato [rā], “riunirsi in gran numero”, “vivere in comunità”. Con gioia apprendiamo che nascono dalla stessa radice, come rami dal ceppo, il sanscrito grāma, che indica la comunità, e pure il greco agorà, che significa il luogo di riunione. Potentemente rivelatoria è poi l’appartenenza a questo stesso ceppo del termine latino grex, che in italiano avrebbe mantenuto solo l’accezione di “gregge” [6]. In realtà nel latino classico grex designava non solo il branco di pecore o capre, come superficialmente si potrebbe pensare, bensì si articolava in molteplici significati: schiera, gruppo, circolo di filosofi, compagnia di attori, gruppo di cose. Soprattutto il latino, dunque, ci dà la chiave del significato della nostra parola! Altri termini latini come il verbo congrego, riunirsi, o l’aggettivo e sostantivo gregarius, gregario, appartengono alla stessa matrice linguistica, e sono chiaramente collegati all’idea del gruppo.

Inoltre, nello stesso Dante si trova testimoniato più volte il termine gregge con il senso di “schiera”! Anche in questo caso citiamo solo un passo, laddove nel terzo girone del settimo cerchio infernale, il Poeta vede i bestemmiatori, ed esclama:

[…] D’anime nude vidi molte gregge. [7]

È però anche bella e suggestiva l’immagine evocata dalla lingua greca, del “gruppo” quale adunanza su un’agorà, un luogo, simbolico e fisico, di scambio comune. Ai tempi omerici l’agorà era l’assemblea degli uomini liberi, e successivamente passò a significare il luogo in cui si radunavano, che s’identificò con il centro politico, sacro ed economico della polis greca.

Se la nostra ipotesi è corretta, nell’etimo della parola “gruppo” guizza quindi il fuoco del lampo e l’idea espressa è la vita in comune.

Il “groppo” dantesco, il “groviglio”/“nodo”, potrebbe davvero originare dalla radice protogermanica che esprime l’idea di “grumo”, ma nulla avrebbe in comune con il più antico etimo indoeuropeo di “gruppo”, seppure si possano ipotizzare nel trascorrere dei secoli contaminazioni fonetiche che spesso operano maggiormente sulle desinenze dei termini, come documentato in molti casi nell’evoluzione delle lingue: è comunque importante risalire alla purezza della matrice originaria, vista l’importanza della “nostra” parola.

Una cosa è certa, e non viene mai posta in risalto: “gruppo” è una parola che, nel suo utilizzo primario connesso all’arte, è in modo inequivocabile un bellissimo dono del Rinascimento italiano.

Ci si presenta una riflessione, che nasce proprio da questo laborioso excursus sulla “nostra” parola: la terminologia di “gruppo a stella” è potentemente innovativa, perché corrisponde alla proposta di sperimentare in modo libero e ordinato un lavoro di gruppo che s’ispira a un modello universale, nel quale la scienza dei sette Raggi, leggi numeriche e geometriche si coniugano con quelle del suono, da applicare alla vita interiore, alla ricerca comune strutturata e al progetto di una nuova cultura/civiltà. [8]

Concludiamo con un passo [9], che fa intuire come il lavoro di gruppo sia prima di tutto uno stato di coscienza, di cui si è partecipi nel momento in cui ci si impegna per il Bene comune, un modo di vivere nell’infinita “agorà” cosmica:

Il discepolo che ha risposto all’Insegnamento e arde con tutti i fuochi della devozione collabora davvero con le forze Cosmiche. Avendole accresciute con le sue azioni, e adornato con esse il pensiero dello spazio, non è forse un creatore? E la sapienza delle età non sarà l’ornamento più bello? La vastità del Cosmo, del Fuoco spaziale, assegna il destino migliore all’umanità che cerca.

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 [*] Oggi, come succede ad intervalli di circa tre mesi, avviene la congiunzione eliocentrica tra Mercurio e Nettuno, associata all’armonia del linguaggio.

[1] Enzio Savoini Primo Vertice, Le Mete lontane, Nuova Era, 2017, p. 8

[2] XIII Cantica, vv. 122-123

[3] XXXIII Cantica, v. 97

[4] XI Cantica, v. 96

[5] Franco Rendich, Dizionario Etimologico comparato delle lingue classiche indoeuropee. Indoeuropeo- Sanscrito-Greco-Latino, Palombi Editori, 2010, pp. 61, 333

[6] Franco Rendich, Op. cit, p. 75

[7] XIV Cantica, v. 19

[8] Enzio Savoini Primo Vertice, Il Gruppo a Stella, Nuova Era, 2016

[9] Collezione Agni Yoga, Agni Yoga § 649

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