La liturgia e il sorriso della solennità

In ambito etimosofico, l’esplorazione che proponiamo di compiere insieme nel primo articolo* di ogni anno è quella rivolta a scoprire l’essenza delle parole che ne designano la Meta, allo scopo di contribuire a vivere il nuovo ciclo in modo più consapevole: è la “Liturgia creativa del gruppo e del lavoro” a designare questo settimo anno del quinto Settennio della Tavola del Piano.

Affrontiamo dunque la parola “liturgia”. Nella descrizione della Meta 5.7, nel testo Le Mete lontane, si afferma che la parola […] designa anche l’insieme delle operazioni di una società umana, necessarie alla sua vita e alle sue attività. Così l’intendevano i Greci, che la coniarono. In questo senso si può parlare di liturgia del Sistema. Il termine è adatto per indicare sia la varietà del suo lavoro che la sacralità del suo ritmo […] Qualsiasi creatura che disponga di ordini diversi collaboranti in una gerarchia di funzioni ha una sua LITURGIA vitale. […] L’”Universo”, il massimo dei Sistemi, “ha una sua liturgia” che risulta evidente dal suo splendido ordinamento, e lo stesso può dirsi del Sistema solare e del planetario. È certamente ben fatto ormeggiare di proposito i ritmi di qualunque attività umana a quelli, maestosi e solenni, dello Spazio gerarchico solare che li ospita e li nutre. [1]

Abbiamo riportato questa illustrazione di “liturgia” perché ha il potere, oltre che di innalzarci d’un balzo ad un ampio respiro di significato, di sgombrare in modo istantaneo qualsiasi fraintendimento di senso, e ciò è importante, perché è una di quelle parole la cui lucentezza originaria è stata offuscata dalla polvere del tempo.

Attualmente, ma da tanti secoli, la parola indica in primo luogo il complesso delle cerimonie di un culto, e si parla quindi di liturgia cristiana, giudaica, musulmana ecc. Nella Chiesa cattolica le spinte alle riforme liturgiche sono state varie, incidendo nella società e talora destando clamore, come accaduto quando, negli anni immediatamente successivi al Concilio Vaticano II, sono state adottate nella Messa le lingue nazionali in sostituzione del latino.

Quale uso estensivo attuale del termine poi, si osserva il fenomeno curioso e contradditorio per cui l’espressione, da un lato, indica in modo riduttivo la modalità stereotipata di determinate attività – ad es., la “liturgia della politica” – dall’altro innalza, con un tocco fintamente “ieratico”, i procedimenti più materiali – ad es. la “liturgia” di una qualche degustazione.

Come evidenziato all’inizio, a noi qui interessa rilevarne il “conio” originario, molto più ampio e pregnante rispetto a quello successivo limitato al culto: deriva dal termine greco leitourghìa, “servizio di utilità pubblica”, “opera per la comunità”, ed è composto da leiton, il “luogo degli affari pubblici” e da érgon, “opera”.

Leiton deriva dal greco laòs, popolo. L’etimo è di origine sconosciuta: alcuni linguisti ipotizzano che sia di derivazione indoeuropea, connesso all’ittita lahh-, “campagna militare” e all’irlandese arcaico laech, “guerriero”; secondo altri, invece, il suffisso in –it porterebbe a presumere un’origine precedente agli influssi indoeuropei. È certo comunque che il termine laòs, popolo, è antichissimo, attestato già in Omero, dove ha l’accezione di “esercito”, “popolazione civile”, “comunità”.

È interessante notare che il termine “laico” deriva dal latino laicus, “comune”, “non consacrato”, connesso al greco laòs, a ribadire che il significato originario non era connesso solo al culto, seppure lo comprendesse in una più ampia visione, come vedremo tra breve.

Èrgon, opera, deriva dalla radice indoeuropea *VṚJ-, che esprime l’idea del fare, dello svolgere un’attività. Secondo il linguista F. Rendich, l’etimo è composto da tre elementi sonori: “muovere [] staccando [v] in avanti [j]”, “fare”, “agire”: si vedano il sanscrito varga, che si muove; il latino vergo, volgere verso. In greco la J indoeuropea passa di regola a G: notiamo ancora che dalla stessa radice deriva il termine òrganon, organo, strumento, osservazione che ci riconduce a quanto suggerito all’inizio, al fatto che qualunque creatura che disponga di una gerarchia di organi dedicati a determinate funzioni vive una sua liturgia. [2]

L’idea che la parola etimologicamente trasmette è dunque quella di un operato, offerto con fervore alla comunità: oltre 2500 anni fa, in tutte le città dell’antica Grecia – anche se naturalmente siamo informati soprattutto su Atene – i cittadini più abbienti si assumevano l’onere e l’onore, sotto il controllo degli Organi di governo, di finanziare vari servizi a beneficio della comunità (festeggiamenti, opere pubbliche). Le manifestazioni della comunità cittadina erano vissute quali riti con valenza sacrale, per cui liturgie come la coregia, l’apprestamento di cori per i pubblici spettacoli – che in quella società rivestivano il ruolo di un rito di purificazione collettiva – o la ginnasiarchia, l’addestramento dei giovani atleti e la provvista di materiali per i giuochi ginnici, erano sostenute senza distinzione da quelle offerte per l’organizzazione di varie feste in onore delle divinità (Dionisie, Panatenee ecc.). Di tutt’altra natura erano le liturgie “straordinarie”, quali l’armamento di una trireme, che erano assunte in contingenze quali le guerre.

Per comprendere più profondamente la natura della parola greca ergon è necessario pensare che il termine suscitava echi di particolare risonanza e nobiltà, sia a livello popolare sia a livello aristocratico: basti pensare al nome Licurgo, il mitico legislatore spartano, che significava “creatore di luce” – leucòs ergon – o al Demiurgo della filosofia platonica, “l’artefice dell’universo” – démos ergon, creatore/ordinatore della comunità cosmica.

Il retaggio della parola era davvero antico e un’opera la custodiva ed esaltava nel titolo, un’opera la cui linfa continuava a nutrire potentemente la cultura del tempo, poiché per ordine d’importanza veniva subito dopo i canti omerici dell’Iliade e dell’Odissea: Erga kai Emèrai, Le opere e i giorni  – erga è il plurale di ergon – del poeta Esiodo, vissuto tra l’VIII e il VII secolo a.C., nella quale sono illustrate le attività del lavoro agricolo e indicati i giorni dell’anno nei quali è necessario compierle.

Lo spirito del poema è didascalico, ma è anche estremamente affascinante, perché racconta con incantata semplicità di uomini, dei e stelle. Subito dopo l’invocazione alle Muse, sono cantate le origini mitiche della necessità del lavoro, ergon, con il racconto delle cinque stirpi umane create dagli dei, da quella dell’oro a quella del ferro, e si esprime l’idea che le opere, erga, pur essendo faticose, sono il mezzo di riscatto per esercitare la giustizia e farla fiorire sulla Terra, quale testimonianza del regno di Zeus, a beneficio dell’intera comunità umana.

Tutto il lavoro è orientato e diretto dagli astri: […] Quando sorgono le Pleiadi, figlie di Atlante, comincia la mietitura […] Quando si acquieta la forza del sole che brucia, e il potente Zeus manda le piogge autunnali […] in quel tempo la stella di Sirio occupa una piccola porzione del giorno […] Quando Zeus abbia fatto passare sessanta giorni invernali dopo il solstizio, l’astro di Arturo, lasciata la sacra corrente di Oceano, tutto splendente s’innalza al far della sera […] tu pota le viti… [3]

Anche le liturgie – figlie di una cultura nella quale il profilo del “sacro” sfumava in quello del “profano”, ancora riscaldata dal fuoco dei Misteri – erano cicliche, encùcloi, scandite da un calendario che onorava parimenti feste di divinità e ricorrenze della comunità cittadina.

È per questo motivo, e non per successive commistioni con cerimonie clericali, che la liturgia di conio greco è ritmica, sacra e solenne.

[…] La SOLENNITA’ non è la pomposità orgogliosa e paludata esibita da certi funzionari, dello Stato o del Clero, che ammantati di sussiego si mostrano piccini. È l’atto spontaneo del cuore che riconosce il rapporto con la Vita e le sue leggi luminose. È simile a un sorriso, più che a un cipiglio; esprime la gioia calma e serena. [4]

“Solennità” deriva dal latino solemnitas, e si compone di due termini: sollus, intero, ogni, dalla radice indoeuropea *SAR-: si vedano il sanscrito sarvas e il greco òlos: tutto; annus, anno, da *atnus, dalla radice indoeuropea *AT-, che esprime l’idea di “muovere da un punto ad un altro” [5].

“Solenne” significa letteralmente “che ricorre tutti gli anni”, ad indicare una ritualità parte integrante della vita, connessa ai cicli annuali, all’avvicendarsi delle stagioni, al corso del sole, all’intima facoltà di sentire lo sfioramento del sublime e dell’eterno nel ciclico divenire della natura e delle vicende quotidiane.

In sintesi, dunque, liturgia significa servizio offerto alla comunità, con fervore, ritmo, e solenne sacralità. La comunità può essere quella di un atomo, di un gruppo, di un insieme di gruppi, del pianeta, del sistema solare, dell’universo.

L’opera/ergon che siamo chiamati a compiere con particolare consapevolezza e sorridente rigore quest’anno, designata dalla meta “Liturgia creativa del gruppo e del lavoro”, è dunque contrassegnata dall’intento di offrire un servizio che attesti nella comunità della terra, così soffondendola di sacralità, i ritmi della Comunità celeste.

Ci dice un passo dell’Agni Yoga:

Partecipare comunque alla costruzione del nuovo Mondo è sempre bello: e questo è il vero regno del Cuore. Questa desiderabile purificazione della vita conferisce quella solennità che è come una Luce inestinguibile. [6].

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[*] Oggi, come succede ad intervalli di circa tre mesi, avviene la congiunzione eliocentrica tra Mercurio e Nettuno, associata all’armonia del linguaggio.

[1] Enzio Savoini Primo Vertice, Le Mete lontane, Nuova Era, 2017, p. 137

[2] Franco Rendich, Dizionario Etimologico comparato delle lingue classiche indoeuropee. Indoeuropeo- Sanscrito-Greco-Latino, Palombi Editori, 2010, p. 415

[3] ESIODO. TEOGONIA / LE OPERE E I GIORNI Traduzione di Daniele Bello su licenza Progetto Bifröst.

[4] Enzio Savoini, Op. cit., p. 138

[5] Franco Rendich, Op. cit., p.115

[6] Cuore, § 593

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2 risposte a La liturgia e il sorriso della solennità

  1. Bianca V. dice:

    Il Settimo Raggio, dell’ Ordine e Cerimoniale, svolgerà preminentemente le sue funzioni nell’Era dell’Acquario che ci accingiamo a vivere, e che segue l’Era dei Pesci appena terminata.
    Le sue qualità sono il Potere di Creare, il Potere di Pensare, il Potere Mentale, il Potere di Organizzare.

    È il raggio del Cerimoniale, che fa sì che un uomo si diletti di “ogni cosa compiuta in modo decoroso e ordinato”, e secondo le regole e le procedure; favorisce la creazione di cerimonie, rituali e liturgie che rappresentano l’allineamento ordinato, il ritmo universale e l’unione tra il Divino e l’umano.

    E’ il raggio della Legge e dell’Ordine in quanto precipita le Leggi del Piano Divino entro la Materia svolgendo la funzione di sistemare e ordinare le forme nella materia.

    È detto anche “il raggio della Magia cerimoniale” poiché, mediante cerimonie e rituali, concretizza l’atto sacro della creatività. Il rituale rappresenta sempre, seppur nella sua sintesi e simbolicità, l’allineamento e unione tra il Divino e l’umano; tra il Sopra e il Sotto; tra il proposito e la forma.

    Vien detto dalla Sapienza antica che “Dio geometrizza”; applicare l’immaginazione creativa attraverso la visualizzazione di punti e linee di luce, che connettendosi, precipitano il progetto Divino in forme organizzate e coerenti significa agire quali cocreatori e partecipare al progetto della divina Creazione.

  2. Grande è il potere della Parola. Illuminante esposizione.

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