Tempo

Glossario – Tempo

Etimo secondo TPS

 

Dal latino tempus, tempo, che deriva dalla radice indoeuropea *TAM-, che esprime l’idea di dividere, di scandire. Secondo F. Rendich, la radice indoeuropea “tam” esprime l’idea di “misura, limite [m] del moto tra due punti [t]”, “spazio delimitato (ritagliato)”, per cui il tempo venne considerato un “frammento di luce”. Ha la stessa radice della parola tempio, che indicava il recinto sacro. Si vedano il sanscrito tam, fermarsi; il greco temno, tagliare; il latino templum, spazio consacrato agli dei (Franco Rendich, Dizionario etimologico comparato delle lingue classiche indoeuropee. Indoeuropeo-Sanscrito-Greco-Latino, Palombi Editori, 2010, p. 122).

 

Tempo significa lo scandire ritmico dell’eterno

 

Nel Lambdoma Ordine la definizione è: Il Tempo è il persistere ciclico dell’Intento divino (1.3)


Treccani

 

tèmpo s. m. [lat. tĕmpus -pŏris, voce d’incerta origine, che aveva solo il sign. cronologico, mentre quello atmosferico (cfr. al n. 8) era significato da tempestas -atis]. –

1. L’intuizione e la rappresentazione della modalità secondo la quale i singoli eventi si susseguono e sono in rapporto l’uno con l’altro (per cui essi avvengono prima, dopo, o durante altri eventi), vista volta a volta come fattore che trascina ineluttabilmente l’evoluzione delle cose (lo scorrere del t.) o come scansione ciclica e periodica dell’eternità, a seconda che vengano enfatizzate l’irreversibilità e caducità delle vicende umane, o l’eterna ricorrenza degli eventi astronomici; tale intuizione fondamentale è peraltro condizionata da fattori ambientali (i cicli biologici, il succedersi del giorno e della notte, il ciclo delle stagioni, ecc.) e psicologici (i varî stati della coscienza e della percezione, la memoria) e diversificata storicamente da cultura a cultura: l’idea, il concetto, la nozione del t.; il fluire, lo scorrere, il trascorrere del t.; il decorso del t…

In partic. nel pensiero filosofico e scientifico tale nozione ha costituito un problema costante e basilare della riflessione fin dalle trattazioni mitologiche (Crono come padre di tutte le cose): così nel pensiero antico il tempo, dapprima collegato al movimento del Sole e del cielo in generale, viene considerato, spec. dai pitagorici, sia un continuo divenire, per lo più ciclico (il ritmo del cambiamento cosmico), sia la misura della durata; per Parmenide, invece, non è che un’illusione e, per Zenone, un assurdo, come il movimento stesso, essendo l’Essere, considerato la vera essenza delle cose, immutabile; il concetto del tempo come gerarchicamente inferiore all’eternità ritorna in Platone per cui solo nel mondo materiale corruttibile hanno senso il passato e il futuro, mentre alla sostanza eterna compete un eterno presente immobile; il pensiero aristotelico riconcilia queste concezioni, da un lato assumendo il movimento perfetto dei cieli come riferimento per la misura del tempo, dall’altro ponendo il primo motore immobile fuori dal tempo e quindi eternamente presente. Con il pensiero cristiano, spec. in Agostino, abbandonata la concezione ciclica, si ha una decisa interiorizzazione del tempo e una sua riduzione a «estensione dell’anima», successione di stati di coscienza in quanto ricordo del passato («presente del passato»), aspettazione del futuro («presente del futuro»), ma anche il presente come passaggio, come tensione lineare e progressiva verso la perfezione e la liberazione, una volta dissolto il tempo nell’eternità spirituale (tale concezione del tempo come concreta esperienza interiore, come durata, verrà ripresa dal filosofo fr. H. Bergson verso la fine dell’Ottocento, in polemica con il tempo spazializzato – v. spazializzare – della fisica). Con la rivoluzione scientifica del ’600 (e, in partic., in Galileo) il tempo diviene parametro misurabile del movimento e, da Newton in poi, prende corpo la distinzione tra il t. assoluto, che forma, insieme allo spazio assoluto, lo scenario metafisico (definito come Sensorium Dei) di ogni evento naturale, e il t. relativo, riferito cioè a particolari sistemi di misurazione in determinati sistemi di riferimento. Con Kant, lo spazio e il tempo assoluti divengono le forme a priori di ogni esperienza possibile, e il carattere irreversibile della successione temporale degli eventi viene connesso alla relazione, anch’essa irreversibile, tra causa ed effetto. Il concetto di tempo della fisica classica viene profondamente rivisto nella teoria della relatività einsteiniana, che non solo nega l’esistenza dell’etere, ossia dell’unico ente capace di costituire un sistema di riferimento assoluto sia per lo spazio sia per il tempo, ma asserisce anche il carattere relativo della simultaneità (due eventi che avvengono contemporaneamente in punti diversi di un sistema di riferimento non sono simultanei in un altro sistema di riferimento in moto rispetto al primo) e il fenomeno della dilatazione del t., per cui la durata di un qualsiasi processo fisico è minima nel sistema di riferimento in cui il corpo che subisce tale processo è in quiete (il tempo misurato in tale sistema è definito come t. proprio, o t. locale, o meglio, t. proprio del sistema di riferimento); non ha più senso quindi parlare di tempo assoluto, ma solo di tempo relativo e la misura del tempo risulta correlata alle coordinate spaziali, per cui si parla di coordinata temporale nello spazio-tempo a quattro dimensioni (v. la voce spaziotempo). L’altro aspetto intuitivo del concetto di tempo – il suo scorrere sempre in una direzione – è stato affrontato nella fisica moderna come problema della reversibilità del t., considerando il comportamento delle equazioni che esprimono l’evoluzione temporale di un determinato fenomeno sotto l’operazione di inversione del t., ossia del cambiamento di segno della variabile temporale; in partic., mentre le leggi della meccanica sono invarianti per inversione del t., i processi termodinamici reali non godono di questa proprietà, ossia sono fondamentalmente irreversibili, come espresso per altro dal fatto che l’entropia di un sistema isolato tende sempre ad aumentare (freccia del t.: v. entropia), donde il problema centrale della meccanica statistica di ricondurre l’irreversibilità dei fenomeni macroscopici alle leggi reversibili valide per i processi microscopici; in tempi moderni sono stati osservati fenomeni di non invarianza per inversione temporale anche alla scala microscopica delle interazioni delle particelle elementari (violazione dell’invarianza temporale: v. violazione), che non risulterebbero quindi completamente reversibili.

2.a. Successione di istanti, intesa sempre come una estensione illimitata, ma tuttavia capace di essere suddivisa, misurata, e distinta, in ogni sua frazione o momento; è in genere in questa accezione di grandezza misurabile che viene considerato il tempo in fisica: esso può essere assunto come coordinata per lo studio dell’evoluzione temporale dei fenomeni solo quando ne sia stata definita l’unità di misura, scelta riferendosi a fenomeni naturali periodici che siano al massimo grado riproducibili e invariabili: dal primitivo riferimento al moto apparente del Sole, poi precisato nel t. solare, che ha come unità di misura l’anno (di cui il secondo è un sottomultiplo), all’attuale, definizione del t. fisico, che assume il secondo come unità fondamentale del Sistema Internazionale (SI), legandolo alla frequenza di una particolare radiazione dell’atomo di cesio (per cui è detto anche t. atomico, e si indica ufficialmente come IAT, sigla dell’ingl. International Atomic Time,,,

2.b. Serie più o meno ampia di istanti, compresa entro limiti definiti o vaghi, corrispondente alla durata di qualche cosa: un anno, un mese, un giorno di t.; in espressioni generiche: periodo, spazio, intervallo di t.; per molto o per lungo t., per poco o per breve t.; ….

2.c. Con riferimento all’età della vita: quanto t. ha il bambino?; … è adoperato tempo trattandosi di bambino vane la cui età non si può ancora valutare in anni)…

2.e. Durata di un’operazione, di un’attività o di un processo; intervallo di tempo stabilito o previsto per il compimento di un’azione: t. di lavorazione, nell’organizzazione del lavoro, soprattutto industriale, l’intervallo di tempo ritenuto necessario, e ottimale, per l’esecuzione di una lavorazione e di ciascuna delle sue fasi (t. di preparazione, t. per le operazioni accessorie, ecc.);

2.f. In senso ampio, in geologia, t. geologico, l’intervallo cronologico della storia della Terra entro il quale sono possibili datazioni, o di tipo relativo (sulla scorta di fossili, di avvenimenti geologici particolari) o di tipo assoluto (di solito in base a metodi isotopici). L’unità di t. geologico è di regola il milione di anni, ma per l’era quaternaria si può scendere anche al migliaio di anni….

2.g. Con uso più generico, intervallo di una certa durata entro il quale un’attività viene espletata o qualche fatto si estende: ci metti tanto t. a vestirti?; come mai hai impiegato tanto t. a tornare?; quanto t. ci vuole per … (cucire un abito, riparare un motore, fabbricare uno strumento, costruire un palazzo, ecc.)?

2.h. Riferendosi a intervalli chiusi entro limiti assegnati: la consegna dev’essere fatta entro questi termini di t.; il debito deve essere saldato nel t. di un mese; è finito il t., è scaduto il termine assegnato; t. legale, quello fissato o consentito dalla legge….

2.i. Parte della giornata assegnata a un determinato impiego: il t. dello studio, del lavoro, della ricreazione; aumentare, allungare, diminuire, abbreviare il t. del riposo; rubare il t. al sonno, accorciarlo per poter lavorare di più o per impiegarlo diversamente; parte della giornata (o anche di più lungo periodo) che si assegna o sia disponibile per qualche attività: far buon uso, cattivo uso del t.; saper distribuire, sfruttare il proprio t.; hai un po’ di t. libero?; hai un po’ di t. per me?; puoi dedicarmi un po’ del tuo t.?

2.l. In sociologia, t. libero, la parte della giornata che resta libera dagli impegni di lavoro e disponibile per il lavoratore: il t. libero è diventato un complesso problema nelle società moderne; l’organizzazione sociale del t. libero, l’intervento degli enti locali per organizzare il t. libero (con attività artistiche e culturali, sportive e turistiche, con corsi varî, ecc.)…. Nel rapporto di lavoro dipendente, impiego a t. pieno (meno com. a pieno t.), o a t. parziale o definito o determinato (e assol.: fare il t. pieno, lavorare a t. definito, scegliere il t. determinato)…

3.a. Intervallo di tempo più o meno prolungato, che per motivi o caratteri particolari si distingua con una fisionomia propria, senza collocarsi in un determinato momento presente, passato o futuro: in t. di pace, di guerra, di carestia, di fame….

3.b. Spazio dell’anno (o comunque ricorrente), di una certa durata (che può essere fissa o no), dotato di proprie caratteristiche: t. d’estate; in t. di vacanze, di carnevale; in t. di luna piena; nel t. dei bagni; nell’anno liturgico, t. quaresimale o di quaresima; t. pasquale; il t. d’avventoil t. della mietitura, della vendemmia; al t. dell’uva, dei fichi, delle ciliegie..

3.c. Intervallo di tempo, anche di brevissima durata, nel quale qualche cosa va fatta o accade; quindi, momento stabilito, o proprio, adatto, opportuno: rinviare a t. indeterminato, contratto a t. indeterminato, di cui non è prefissato il termine; t. utile, per la presentazione di documenti, di una domanda, di un ricorso, ecc., e, in diritto, quello durante il quale possono essere compiuti alcuni atti giuridici; ogni cosa va fatta a t. debito, al momento adatto e dovuto (per la locuz. t. debito, nei contratti di compravendita, v. debito, n. 21); a suo t., al momento giusto: ogni cosa va fatta a suo t. (o, più brevemente, ogni cosa a suo t.); lo saprai a suo t., te lo dirò a suo t., quando sarà giunto il momento; prima del t., prima dei termini stabiliti o normali: sei venuto prima del t.; è nato prima del t. (e precisando: 15 giorni, due mesi prima del t.)…

4.a. Periodo o momento della progressione temporale, concepita non nel suo movimento ma staticamente, per determinare cioè non il quanto, la durata, ma il quando (alcuni esempî di quest’uso si trovano però anche nel numero che precede): il t. presente, passato, futuro (anche nomi di forme grammaticali: v. oltre); nel t. attuale; gli uomini del t. antico (e spesso del buon t. antico)…

4.b. In linguistica e grammatica, tempo, il momento in cui si svolge o sussiste l’azione e la situazione espressa dal verbo…

4.c. Con più preciso riferimento a epoche storiche: al t. dei Romani, al t. delle crociate; nel t. della prima guerra mondiale…

5. In musica:

5.a. Indicazione agogica che prescrive un movimento più o meno rapido cui attenersi nell’esecuzione di un pezzo: t. lento, veloce, largo, ecc., in genere indicato con didascalie di preciso valore (Adagio, Andante, Presto, Allegro, Vivace, ecc.)…

5.c. Unità di durata nel sistema ritmico-metrico di un pezzo (che anche si dice unità di tempo).

5.d. Il termine è talora usato anche come sinon. meno com. di metro o misura o battuta (t. in 4/4, in 3/8, ecc.) o di ritmo (t. binario, ternario, quinario, ecc.).

5.e. In alcune frasi, si fondono insieme i sign. a e d; per es.: battere il t.; a t. di valzer, di marcia, di minuetto; andare a t., seguire esattamente il movimento e il ritmo dovuti …

6. Con sign. affini a quelli musicali (o a taluno di essi), e in genere derivati per estens. da quelli: a. Nella metrica classica, misura equivalente al valore di una vocale breve: la sillaba lunga ha due tempi; t. forte e t. debole, le parti del piede corrispondenti rispettivam. all’arsi e alla tesi (in cui cioè cade o non cade l’ictus).

6.b. Ciascuna delle parti in cui è suddivisa un’opera teatrale o una proiezione cinematografica (suddivisione che oggi ha per lo più sostituito quella tradizionale in atti): commedia in due t. e sette quadri; film in due t.; una volta, al cinema, si poteva entrare anche all’inizio del secondo tempo.

6.c. Ciascuno dei movimenti di cui è formata un’azione complessa: passo di danza eseguito in tre t.; azione schermistica in quattro t.; il caricamento del fucile va eseguito in tre, quattro, sei t., ecc. ..

6.d. Nel ciclo di funzionamento di un motore termico, ciascuna delle trasformazioni che subisce il fluido motore: motore a due t., a quattro t. (v. motore2, n. 1 b).

6.e. Nelle gare sportive di velocità, la punta massima di velocità raggiunta da un corridore: il miglior t. è stato …; o più genericam. una media alta di velocità: tenere un buon tempo.

6.g. Nell’andatura degli animali domestici, l’intervallo fra una battuta e l’altra.

7. ant. Stagione, spec. nell’espressione primo t., o nuovo t., la primavera (cfr. il fr. printemps); In guisa di pastor ch’al nuovo tempo Faccia zampogne a risonar le valli (L. Alamanni).

8. Per estens., l’insieme delle condizioni fisiche atmosferiche (cioè quello che più propriam. dovrebbe chiamarsi stato meteorologico, e che viene anche detto stato del tempo o tempo meteorologico), caratterizzato dalle condizioni meteorologiche (temperatura, stato del cielo, umidità, pressione atmosferica, vento, ecc.).

9. Locuzioni avv. e agg.:

9.a. A tempo, lo stesso che in tempo, nelle espressioni essere a t., fare a t., per indicare che c’è ancora possibilità, che non è tardi per fare qualche cosa…

9.b. Al t. stesso, contemporaneamente, insieme: è al t. stesso giusto e sbagliato; può essere al t. stesso utile e dilettevole.

9.c. A un t., contemporaneamente, insieme, nello stesso momento (anche col sign. della locuz. prec.): fra le acute Voci di dame cicalanti a un t. (Parini); si sentiva a un t. triste e felice.

9.d. Per tempo, presto, sollecitamente, di buon’ora: alzarsi, mettersi in cammino per t…

9.e. Nel linguaggio comm. e burocr., a far tempo da, a partire da, cominciando da: per un periodo di tre mesi, a far t. dal 1° gennaio.

10. Con iniziale maiuscola, il Tempo, personificazione del tempo, rappresentato di solito come un vecchio dalla lunga barba bianca

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Wikipedia

 

Il tempo è la percezione e rappresentazione della modalità di successione degli eventi e del rapporto fra essi (per cui avvengono prima, dopo o durante altri eventi). Da un punto di vista scientifico è una grandezza fisica fondamentale.

La complessità del concetto è da sempre oggetto di studi e riflessioni filosofiche e scientifiche.

Tempo e cambiamento

 

Statua del Tempo di Giuseppe Benetti (1873), scultura nel Cimitero monumentale di Staglieno (Genova)

Dalla coscienza umana emergerebbe l’esperienza conosciuta come “il trascorrere del tempo”, che caratterizza i fenomeni e i cambiamenti materiali e spaziali della nostra esperienza. Tale concetto non trova una corrispondenza univoca nella fisica, dove non è possibile sequenziare in modo assoluto, ma solo localmente l’apparente successione degli eventi secondo l’osservazione umana. Tutto ciò che si muove nello spazio e/o si trasforma è descritto dalla mente umana a livello temporale. Alcuni esempi tra i più immediati dell’apparente correlazione tra tempo e moto sono la rotazione della Terra attorno al proprio asse, che determina l’alternanza del giorno e della notte, e il suo moto di rivoluzione intorno al Sole, che determina le variazioni stagionali e la durata dell’anno solare.

Il dato dell’esperienza umana è che tutto ciò che interessa i nostri sensi sia ciò che appare come energia o materia, ovvero, le loro trasformazioni. La materia, come più intuibile riferimento, “è”, e (contestualmente) “diviene” (ossia assume altra forma). L’ovvietà di questa asserzione non tragga in inganno: essa sottende una contraddizione, perché l’essere di un oggetto è certificato dalla sua identità (nel tempo), ovvero dal suo permanente esistere; il divenire, invece, presuppone la trasformazione, ovvero la diversità (della forma), per cui impone un “prima” e un “dopo”, vale a dire un (intervallo di) “tempo” che scientificamente invece è senza spiegazione. In filosofia occidentale il tempo trae origine dalla trasformazione.

Statua del Tempo di Giuseppe Benetti (1873), scultura nel Cimitero monumentale di Staglieno (Genova)

La percezione umana del “tempo” è la proiezione che la coscienza costruisce in modo che la realtà di cui siamo parte si sarebbe materialmente modificata. Se una persona osserva una formica che si muove, la diversità delle posizioni assunte, o se un uomo presta attenzione al susseguirsi dei pensieri di un individuo o ai battiti del suo cuore, fatti fisiologici, e in ultima analisi, fisici, ciò appare ad una mente umana che è trascorso un “intervallo di tempo”, tempo che però presuppone una logica circolare poiché la sua spiegazione è anche la sua definizione. Si evidenzia “intervallo”, apparente in una cornice temporale, a significare che il tempo è apparentemente una “durata” (unico sinonimo di tempo), e come tale ha un inizio e una fine come assioma ma senza alcuna dimostrazione.

Molto di ciò che riguarda la percezione del tempo sembra dipendere dalla mente: il passato è un ricordo, derivato dalla memoria del vissuto; il presente una comprensione, una lettura del reale secondo il “linguaggio dei valori” adottato dal soggetto al momento della percezione; il futuro una previsione, una proiezione dei costrutti intellettuali, sia razionali sia passionali, da cui spesso ci si lascia guidare, mentre scientificamente tutto il tempo esiste simultaneamente e continuamente senza distinzione tra passato e futuro, mentre il presente formalmente non esisterebbe in quanto ogni atto necessita di una latenza come minimo del lasso della velocità-luce.

Simultaneità e causalità

 

Eventi distinti tra loro possono essere apparentemente simultanei oppure apparire distanziarsi in proporzione a un certo numero di cicli di un determinato fenomeno soggettivo e locale, per cui sembrerebbe possibile quantificare in che misura un certo evento avvenga dopo un altro, ma in realtà ciò è fisicamente impossibile, l’istante è indefinibile, la simultaneità è solo apparente e gli eventi accadono in ordine diverso per osservatori differenti. Il tempo misurabile, solo localmente nella stessa cornice temporale, che separa i due eventi corrisponde all’ammontare dei cicli intercorsi in una data cornice temporale, ma per altri osservatori l’ordine degli eventi potrebbe avere diversi cicli temporali o anche essere invertito. Convenzionalmente tali cicli si considerano, per definizione, periodici entro un limite di errore sperimentale e solo localmente. Tale errore sarà percentualmente più piccolo quanto più preciso sarà lo strumento (orologio) che compie la misura e relativa alla posizione vicino ad una massa in cui è posizionato e relativamente alla sua velocità, accelerazione e direzione. Nel corso della storia dell’uomo gli orologi sono passati dalla scala astronomica (moti del Sole, della Terra) a quella quantistica (orologi atomici) raggiungendo progressivamente precisioni crescenti fino a evidenziare che il tempo scorre differentemente sulla terra anche a poca distanza di altezza.

Uno dei modi di definire il concetto di dopo è basato sull’assunzione della causalità apparente all’esperienza umana. Il lavoro compiuto dall’umanità per incrementare la comprensione della natura apparente del tempo e della misurazione relativa del tempo, con la creazione e il miglioramento dei calendari e degli orologi, è stato uno dei principali motori della scoperta scientifica che nell’ultimo secolo ha portato alla soppressione del concetto di tempo universale e fondamentale.

La misura del tempo

 

Una clessidra

L’unità di misura standard del Sistema Internazionale è il secondo. In base a esso sono definite misure più ampie come il minuto, l’ora, il giorno, la settimana, il mese, l’anno, il lustro, il decennio, il secolo e il millennio. Il tempo può essere misurato, esattamente come le altre dimensioni fisiche. Gli strumenti per la misurazione del tempo sono chiamati orologi. Gli orologi molto accurati vengono detti cronometri. I migliori orologi disponibili sono gli orologi atomici.

Esistono svariate scale temporali continue di utilizzo corrente: il tempo universale, il tempo atomico internazionale (TAI), che è la base per le altre scale, il tempo coordinato universale (UTC), che è lo standard per l’orario civile, il tempo terrestre (TT), ecc. L’umanità ha inventato i calendari per tenere traccia del passaggio di giorni, settimane, mesi e anni.

Distanze misurabili con il tempo

Nel linguaggio di tutti i giorni spesso si usa il tempo come misuratore di distanze, per indicare la durata di un percorso (come ad esempio: “mezz’ora d’automobile”, “un giorno di viaggio”, “10 minuti di cammino”). …

Tecnicamente, però, espressioni come “un anno luce” non esprimono un intervallo di tempo, ma una distanza avendone nota la velocità: infatti più precisamente l’anno luce si può esprimere come “la distanza percorsa dalla luce in un anno”, conoscendone esattamente la velocità (appunto la velocità della luce), anche se la luce in sé non ha esperienza di tempo in quanto i fotoni a quella velocità non scorrono nel tempo. In questi casi particolari, una locuzione contenente riferimenti al tempo indica quasi sempre distanze precise nello spazio, al punto da assurgere al ruolo di unità di misura.

Il tempo nella filosofia e nella fisica

 

Importanti questioni filosofiche, metafisiche e fisiche sul tempo comprendono:

Il tempo senza cambiamento è concettualmente impossibile?

Il tempo scorre, oppure l’idea di passato, presente e futuro è completamente soggettiva, descrittiva solo di un inganno dei nostri sensi?

Il tempo è rettilineo o lo è solo nel breve spazio di tempo che l’uomo ha sperimentato e sperimenta?

Concetti e paradossi nell’antichità classica

Rappresentazione del paradosso di Achille e la tartaruga secondo la descrizione di Borges. Sull’asse sono indicate le distanze (in metri) percorse da Achille e dalla tartaruga

I paradossi di Zenone (che molti secoli dopo sarebbero stati di aiuto nello sviluppo del calcolo infinitesimale) sfidavano in modo provocatorio la nozione comune di tempo. Il paradosso più celebre è quello di Achille e la tartaruga: secondo il suo ragionamento, attenendosi strettamente alle regole logiche, l’eroe greco (detto “pié veloce” in quanto secondo la mitologia greca era “il più veloce tra i mortali”) non raggiungerebbe mai una tartaruga. L’esempio è molto semplice: supponiamo che inizialmente Achille e la tartaruga siano separati da una distanza x e che la velocità dell’eroe corrisponda a 10 volte quella dell’animale. Achille comincia a correre fino a raggiungere il punto x dove si trovava la tartaruga ma essa, nel frattempo, avrà percorso una distanza uguale a 1/10 di x. Achille prosegue e raggiunge il punto “x + 1/10 di x” mentre la tartaruga ha il tempo di compiere una distanza di 1/100 di x (1/10 di 1/10 di x), distanziando nuovamente l’inseguitore. Continuando all’infinito Achille riuscirà ad avvicinarsi sempre di più all’animale il quale però continuerà ad avere un sempre più piccolo ma comunque sempre presente distacco. La paradossale conclusione di Zenone era: Achille non raggiungerà mai la tartaruga.

La posizione di Parmenide è assai diversa da quella dell’allievo Zenone: questi infatti sosteneva che l'”ancoraggio metafisico” del reale, l’essenza stessa della realtà, fosse eterno e che, dunque, il tempo fosse una posizione della doxa (‘opinione’), di quella sapienza che non è propria di chi sa veramente. In seno all’essere (che è l’essenza del mondo), in sintesi, non c’è tempo né moto.

Anche Platone è stato influenzato da questa concezione. Secondo la sua celebre definizione il tempo è “l’immagine mobile dell’eternità”. Per Aristotele, invece, è la misura del movimento secondo il “prima” e il “poi”, per cui lo spazio è strettamente necessario per definire il tempo. Solo Dio è motore immobile, eterno e immateriale.

Secondo Agostino il tempo è stato creato da Dio assieme all’Universo, ma la sua natura resta profondamente misteriosa, tanto che il filosofo, vissuto tra il IV e il V secolo d.C., afferma ironicamente: “Se non mi chiedono cosa sia il tempo lo so, ma se me lo chiedono non lo so”. Agostino critica una concezione del tempo aristotelica inteso come misura del moto (degli astri): nelle “Confessioni” afferma che il tempo è “distensione dell’animo” ed è riconducibile a una percezione propria del soggetto che, pur vivendo solo nel presente (con l’attenzione), ha coscienza del passato grazie alla memoria e del futuro in virtù dell’attesa. Per Agostino, insomma, il tempo è un’entità soggettiva. Tuttavia ne riconosce anche una dimensione oggettiva quando, nella “Città di Dio”, il santo di Ippona lo definisce, ad esempio, “divenire del movimento secondo il prima e il poi, dato che le sue parti non possono essere simultaneamente”, oppure quando afferma che senza creatura non esiste il tempo giacché non esiste alcun essere mutevole e che l’eternità, propria di Dio, al contrario, è l’assenza assoluta della mutabilità, del movimento, concludendone che il tempo non preesiste al mondo ma è stato creato con esso perché questi è sottoposto alla caducità, al cambiamento, in una parola, al divenire. Inoltre, nel tentativo di spiegare come gli angeli sono sempre esistiti, eppure non sono coeterni al Creatore, il santo di Ippona giunge ad affermare esplicitamente che è ragionevole sostenere che esisteva il tempo prima dell’uomo e di Abramo, e che gli angeli sono sempre esistiti, ma nel tempo perché senza i loro movimenti, soggetti al futuro e al passato, era impossibile che si avesse il tempo, ribadendo la differenza tra eternità che non diviene e tempo che muta e mostrando così chiaramente come egli non vincoli il tempo alla sola percezione/esistenza dell’uomo.

Da sant’Agostino in poi nel pensiero cristiano il tempo è concepito in senso lineare-progressivo e non più circolare-ciclico come nel mondo pagano. Dalla caduta di Adamo l’escatologia cristiana procede verso la “consumazione del tempo”, il riscatto dell’uomo verso Dio, il Giudizio Universale e l’eternità spirituale.

L’epoca moderna: il dibattito tra tempo assoluto e tempo illusorio

Il tempo è stato considerato in vari modi nel corso della storia del pensiero, ma le definizioni di Platone e Aristotele sono state di riferimento per moltissimi secoli (magari criticate o reinterpretate in senso cristiano), fino a giungere alla rivoluzione scientifica. Di questo periodo è fondamentale la definizione di Isaac Newton (1642-1727), secondo il quale il tempo (al pari dello spazio) è “sensorium Dei” (senso di Dio) e scorrerebbe immutabile, sempre uguale a sé stesso (una concezione analoga è presente nelle opere di Galileo Galilei). Degna di nota è la contesa tra Newton e Leibniz, che riguardava la questione del tempo assoluto: mentre il primo credeva che il tempo fosse, analogamente allo spazio, un contenitore di eventi, il secondo riteneva che esso, come lo spazio, fosse un apparato concettuale che descriveva le interrelazioni tra gli eventi stessi. John Ellis McTaggart credeva, dal canto suo, che il tempo e il cambiamento fossero semplici illusioni.

Dal tempo soggettivo alla teoria della relatività

È stato il filosofo tedesco Immanuel Kant a cambiare radicalmente questo modo di vedere, grazie alla sua cosiddetta nuova “rivoluzione copernicana”, secondo la quale al centro della filosofia non si deve porre l’oggetto ma il soggetto: il tempo diviene allora, assieme allo spazio, una “forma a priori della sensibilità”. In sostanza se gli esseri umani non fossero capaci di avvertire lo scorrere del tempo non sarebbero neanche capaci di percepire il mondo sensibile e i suoi oggetti che, anche se sono inconoscibili in sé, sono collocati nello spazio. Quest’ultimo è definito come “senso esterno”, mentre il tempo è considerato un “senso interno”: in ultima analisi tutto ciò che esiste nel mondo fisico viene percepito e ordinato attraverso le strutture a priori del soggetto e ciò che, in prima battuta, viene collocato nello spazio viene poi ordinato temporalmente (come dimostra la nostra memoria).

Un grande contributo alla riflessione sul problema del tempo si deve al filosofo francese Henri Bergson il quale, nel suo Saggio sui dati immediati della coscienza osserva che il tempo della fisica non coincide con quello della coscienza. Il tempo come unità di misura dei fenomeni fisici, infatti, si risolve in una spazializzazione (come ad esempio le lancette dell’orologio) in cui ogni istante è oggettivamente rappresentato e qualitativamente identico a tutti gli altri; il tempo originario, invece, si trova nella nostra coscienza che lo conosce mediante intuizione; esso è soggettivo, e ogni istante risulta qualitativamente diverso da tutti gli altri.

Un cambiamento radicale del concetto di tempo in fisica è stato invece introdotto dalla teoria della relatività (“ristretta” nel 1905 e “generale” nel 1916) di Einstein. Secondo la relatività ristretta, la misura degli intervalli di tempo non è assoluta, ma relativa all’osservatore. Quello che è uguale per tutti gli osservatori in sistemi di riferimento inerziali è, infatti, il valore dalla velocità della luce: c = 299792458 m/s che è dunque una costante fisica fondamentale. Le quantità invarianti per tutti gli osservatori non sono quelle relative separatamente allo spazio e al tempo, bensì quelle definite nello spaziotempo quadridimensionale. La decomposizione di quest’ultimo in tre dimensioni spaziali e una temporale è invece relativa a ciascun osservatore. A sua volta, la presenza del campo gravitazionale determina una curvatura dello spaziotempo, capace di deflettere la luce e di rallentare il tempo (teoria della relatività generale).

Secondo la relatività ristretta l’intervallo di tempo fra due eventi misurato da un osservatore differisce da quello misurato da un altro osservatore per un fattore moltiplicativo, che dipende dalla velocità relativa dei due osservatori.

Alcuni effetti previsti dalla teoria della relatività furono inizialmente considerati come paradossi. Uno dei più noti è il cosiddetto paradosso dei gemelli. La premessa del paradosso è che esistano due gemelli, di cui uno parte per un viaggio interstellare con un’astronave capace di andare a una velocità prossima a quella della luce, mentre l’altro rimane sulla Terra. In base all’effetto di dilatazione degli intervalli temporali descritto dalle formule di Lorentz, il gemello rimasto sulla Terra dovrebbe aspettarsi che il tempo sia trascorso più lentamente per il gemello astronauta, e quindi che quest’ultimo apparirà più giovane quando i due si incontreranno nuovamente sulla Terra. Ma il gemello astronauta, facendo lo stesso ragionamento nel suo sistema di riferimento, si aspetta invece di trovare più giovane il gemello rimasto sulla Terra: in questo consisterebbe il paradosso. In realtà la situazione descritta non si può ricondurre a una singola trasformazione di Lorentz che connetta i due osservatori: se i due gemelli si allontanano fra loro e successivamente si riavvicinano, non possono essersi mossi di moto rettilineo uniforme l’uno rispetto all’altro. In presenza di moti accelerati, il calcolo del tempo trascorso per ciascuno dei due deve essere fatto mediante il calcolo del tempo proprio lungo la sua traiettoria spaziotemporale (linea di universo): la differenza fra i due valori del tempo proprio trascorso lungo le due traiettorie (valori che non dipendono dal sistema di riferimento considerato) fornisce la differenza di età finale fra i due gemelli, senza alcuna ambiguità o paradosso. Si può dimostrare che il tempo proprio trascorso fra due eventi è massimo per una traiettoria inerziale rispetto a ogni altra traiettoria possibile fra gli stessi due eventi.

La teoria della relatività cambia radicalmente la nozione di simultaneità (due eventi possono avvenire contemporaneamente per un osservatore ma non per un altro). Proprio la revisione del concetto di simultaneità – dovuta al fatto (sperimentalmente osservato) che la velocità della luce è la stessa per tutti gli osservatori – permise a Einstein di spiegare l’origine delle formule di Lorentz e dei conseguenti effetti di contrazione delle misure di lunghezza e dilatazione delle misure di tempo quando si confrontano osservatori in moto l’uno rispetto all’altro.

Poiché due eventi A e B, simultanei per un dato osservatore, non lo saranno per altri (e vi saranno osservatori per cui A avviene prima di B, e altri per i quali B avviene prima di A), il principio di causalità – che afferma che un evento passato può influenzare un evento futuro, ma non viceversa – deve essere necessariamente riformulato. Si afferma quindi che un evento A può influenzare un evento B solo se A precede temporalmente B per qualunque osservatore inerziale: questo si verifica se B è contenuto nel cono luce futuro di A, ossia se B può essere raggiunto a partire da A da un corpo che viaggi a velocità inferiore a quella della luce, o al più da un segnale che viaggi alla velocità della luce.

Se esistesse un corpo in grado di viaggiare a velocità maggiore di quella della luce, rispetto a qualche osservatore esso apparirebbe viaggiare all’indietro nel tempo. La stessa teoria della relatività prevede, d’altra parte, (1) che una particella di massa nulla possa solo viaggiare alla velocità della luce, e (2) che sia impossibile accelerare un corpo massivo fino alla velocità della luce, poiché occorrerebbe un’energia infinita per farlo. Si può inoltre ricavare facilmente che per una particella di massa nulla, che viaggia alla velocità della luce, il tempo proprio non trascorre.

La dilatazione degli intervalli temporali descritta dalle formule di Lorentz viene spesso descritta, nei testi scolastici o divulgativi, dicendo che “un osservatore sulla Terra vede rallentare un orologio posto su un’astronave che viaggi a grande velocità”: ma quest’affermazione si presta a essere interpretata scorrettamente. Ciò che l’osservatore sulla Terra misurerebbe se osservasse l’orologio dell’astronave con un ipotetico telescopio, infatti, non sarebbe l’intervallo di tempo misurato da quell’orologio, bensì l’intervallo di tempo fra la ricezione (al telescopio) di segnali luminosi consecutivi emessi dall’orologio. La dilatazione che si osserverebbe non sarebbe quella data dal solo fattore \gamma di Lorentz, ma quella data dall’effetto Doppler relativistico.

Anche il concetto fisico di simultaneità, la cui revisione da parte di Einstein destò inizialmente un certo disorientamento, è in realtà distinto dall’idea ingenua che se ne ha usualmente. Noi tendiamo a pensare, ad esempio, che ciò che vediamo attorno a noi in un certo istante, o ciò che vediamo raffigurato in una fotografia, sia l’immagine di una collezione di eventi simultanei. In realtà non è così: l’immagine retinica e la fotografia non riproducono tutti gli oggetti così come si trovavano nello stesso istante, ma come si trovavano nell’istante in cui hanno emesso i segnali luminosi che sono poi arrivati simultaneamente alla retina, o all’obiettivo dell’apparecchio fotografico. Finché nell’immagine compaiono solo oggetti vicini, la differenza è impercettibile. Ma se si osserva o si fotografa il cielo stellato è facile rendersi conto che le immagini dei corpi celesti corrispondono a segnali emessi molto tempo fa, in momenti diversi, tanto più indietro nel tempo quanto più l’oggetto è lontano dall’osservatore. Ciò che l’immagine retinica e quella fotografica a fotografia rappresentano, dunque, non è una porzione dell’insieme degli eventi simultanei in un dato istante, ma è invece precisamente una porzione del cono luce passato. La differenza fra spazio di simultaneità e cono luce, a causa del valore molto grande della velocità della luce, è impercettible alla scala delle distanze terrestri, mentre diventa evidente quando si confrontano i due insiemi su distanze astronomiche (come nel caso del cielo stellato). Due osservatori, in moto uno rispetto all’altro, che in un certo istante vengano a trovarsi nella stessa posizione, in quell’istante vedono attorno a sé esattamente la stessa immagine dello spazio fisico circostante (e se scattassero entrambi una fotografia, otterrebbero esattamente la stessa fotografia), anche per oggetti molto lontani, dato che il cono luce spaziotemporale di un evento è il medesimo per tutti gli osservatori. Viceversa, l’insieme degli eventi simultanei (che non corrisponde a una percezione istantanea, ma è una costruzione matematica derivante dall’attribuzione, da parte di ciascun osservatore, di una coordinata temporale a ciascun evento dello spaziotempo) sarebbe diverso per i due osservatori.

Ulteriori sviluppi: il tempo come percezione, l’intangibilità

Einstein ebbe alcune discussioni sul tempo con grandi pensatori della sua epoca, tra cui il filosofo francese Henri Bergson, che attribuisce grande importanza agli stati di coscienza piuttosto che al tempo spazializzato della fisica (si veda “Durata e simultaneità” del 1922). Per Bergson il tempo concretamente vissuto è una durata “reale” a cui lo stato psichico presente conserva da un lato il processo da cui proviene (attraverso la memoria), ma naturalmente costituisce anche qualcosa di nuovo. Dunque non c’è soluzione di continuità tra gli stati della coscienza: esiste una continua evoluzione, un movimento vissuto che la scienza non può spiegare pienamente con i suoi concetti astratti e rigidi, nonostante il riconoscimento dei suoi grandi progressi.

L’ingegnere J. W. Dunne sviluppò una teoria del tempo nella quale considerava la nostra percezione del tempo come simile alle note suonate su un piano. Avendo avuto alcuni sogni premonitori, decise di tenerne traccia, e trovò che contenevano eventi passati e futuri in quantità equivalenti. Da questo concluse che nei sogni riusciamo a sfuggire al tempo lineare. Pubblicò le sue idee in An Experiment with Time del 1927, cui fecero seguito altri libri.

Possiamo chiederci:

“Che cos’è il tempo?”

“Come se ne definisce un’unità di misura, prescindendo dalla comune opinione?”

È nel tentativo di dare una risposta rigorosa a queste domande che ci si accorge delle difficoltà e dei pregiudizi. L’unico modo convincente di rispondere alla domanda “Che cos’è il tempo” è forse quello operativo, dal punto di vista strettamente fisico-sperimentale: “Il tempo è ciò che si misura con degli strumenti adatti”. Un’analisi microscopica del problema tuttavia mostra come la definizione di orologio sia adatta solo a una trattazione macroscopica del problema e quindi non consenta di formulare una definizione corretta per le equazioni del moto di particelle descritte dalla meccanica quantistica.

Se si segue coerentemente sino in fondo questa definizione, si vede facilmente come tutti gli strumenti di misura del tempo (“orologi”) si basino sul confronto (e conseguente conteggio) tra un movimento nello spazio (ad esempio la rotazione o la rivoluzione terrestre) e un altro movimento “campione” (meccanico, idraulico, elettronico), con sufficienti caratteristiche di precisione e riproducibilità. Si noti che il campione di movimento deve essere sempre un moto accelerato (rotazione, oscillazione lineare o rotatoria), mentre non è campione idoneo il moto rettilineo uniforme.

Si noti anche come il metodo di confronto del movimento con il campione si fondi necessariamente sulla trasmissione di segnali elettromagnetici (es. luminosi, ma non solo), le cui proprietà influiscono direttamente sulla misura: da ciò conseguono in modo quasi ovvio le formulazioni della interdipendenza tra coordinate spaziali, asse temporale e velocità della luce espresse della relatività ristretta.

In base a queste osservazioni, data la totale sovrapponibilità degli effetti operativi, si potrebbe addirittura assumere quale definizione del tempo, in fisica, l’identità con il movimento stesso. In questo senso, l’intero Universo in evoluzione si può considerare il vero fondamento della definizione di tempo; si noti l’importanza essenziale della specifica “in evoluzione”, ossia in movimento vario, accelerato: senza movimento, senza variazione anche il tempo scompare.

L’idea che una teoria fondamentale non debba contenere il concetto di tempo tra le sue primitive risale a Bryce DeWitt ed è stata sviluppata successivamente da Carlo Rovelli, Craig Callender e Julian Barbour.

Il tempo nella fisica moderna

Nello spaziotempo di Minkowski, ogni evento O individua un cono di luce che divide lo spazio tempo in regioni distinte: il futuro (insieme dei punti che possono essere influenzati da O), il passato (eventi che hanno influenzato O) e il presente (eventi che non hanno correlazione causale con O)

In fisica moderna, il tempo è definito come distanza tra gli eventi calcolata nelle coordinate spaziotemporali quadridimensionali. La relatività speciale mostrò che il tempo non può essere compreso se non come una parte del cronotopo (altra parola per definire lo spaziotempo, una combinazione di spazio e tempo). La distanza tra gli eventi dipende dalla velocità relativa dell’osservatore rispetto a essi. La relatività generale modificò ulteriormente la nozione di tempo introducendo l’idea di uno spazio-tempo capace di curvarsi in presenza di campi gravitazionali. Un’importante unità di misura del tempo in fisica teorica è il tempo di Planck.

Tempo quantizzato

Il tempo quantizzato è un concetto sviluppato a livello teorico. Il tempo di Planck è il tempo che impiega un fotone che viaggia alla velocità della luce per percorrere una distanza pari alla lunghezza di Planck. Il tempo di Planck (~5,4×10−44 s) è la più piccola quantità di tempo tecnicamente misurabile, nonché potrebbe essere la più piccola quantità ad avere un significato fisico nell’effettivo caso di tempo parcellizzato.

In fisica, nel modello standard il tempo non è quantizzato ma viene trattato come continuo.

Concetto di tempo in geologia

 

Il concetto di tempo in geologia è un argomento complesso in quanto non è quasi mai possibile determinare l’età esatta di un corpo geologico o di un fossile. Molto spesso le età sono relative (prima di …, dopo la comparsa di …) o presentano un margine di incertezza, che cresce con l’aumentare dell’età dell’oggetto. Sin dagli albori della geologia e della paleontologia si è preferito organizzare il tempo in funzione degli organismi che hanno popolato la Terra durante la sua storia: il tempo geologico ha pertanto struttura gerarchica e la gerarchia rappresenta l’entità del cambiamento nel contenuto fossilifero tra un’età e la successiva.

Solo nella seconda metà del XX secolo, con la comprensione dei meccanismi che regolano la radioattività, si è incominciato a determinare fisicamente l’età delle rocce. La precisione massima ottenibile non potrà mai scendere al di sotto di un certo limite in quanto i processi di decadimento atomico sono processi stocastici e legati al numero di atomi radioattivi presenti all’interno della roccia nel momento della sua formazione. Le migliori datazioni possibili si attestano sull’ordine delle centinaia di migliaia di anni per le rocce con le più antiche testimonianze di vita (nel Precambriano) mentre possono arrivare a precisioni dell’ordine di qualche mese per rocce molto recenti.

Un’ulteriore complicazione è legata al fatto che molto spesso si confonde il tempo geologico con le rocce che lo rappresentano. Il tempo geologico è un’astrazione, mentre la successione degli eventi registrata nelle rocce ne rappresenta la reale manifestazione. Esistono pertanto due scale per rappresentare il tempo geologico, la prima è la scala geocronologica, la seconda è la scala cronostratigrafica. In prima approssimazione comunque, le due scale coincidono e sono intercambiabili.

La percezione del tempo

 

Karl von Vierordt alla fine dell’Ottocento, scoprì il cosiddetto “punto di indifferenza” del tempo, ovvero il punto in cui il tempo soggettivo e il tempo fisico coincidono che è situato sotto i tre secondi, passati i quali il tempo soggettivo si accorcia[9]. A volte si percepisce il passare del tempo come più rapido (“il tempo vola”), significando che la durata appare inferiore a quanto è in realtà; al contrario accade anche di percepire il passare del tempo come più lento (“non finisce mai”). Il primo caso viene associato a situazioni piacevoli, o di grande occupazione, mentre il secondo si applica a situazioni meno interessanti o di attesa (noia). Inoltre sembra che il tempo passi più in fretta quando si dorme. Il problema della percezione del tempo si trova in stretta correlazione con i problemi relativi al funzionamento e alla fisiologia del cervello. Un esempio di ciò è la cronostasi, un’illusione che sembra far durare più di quanto realmente è avvenuta un’immagine che precede un rapido movimento dell’occhio.

Nelle diverse culture

Il tempo, così come lo spazio, è una categoria a priori ma non per questo non gli viene dato un significato e una rappresentazione diversa in ogni cultura. Si può affermare, in maniera generale, che esso venga percepito come il variare della persona e delle cose. Sempre generalmente, vi sono due idee fondamentali del tempo:

Pensiero cronometrico occidentale

Il tempo viene visto come un’entità lineare e misurabile. Questa visione risponde alla necessità di ottimizzare il proprio tempo e dipende dall’organizzazione economica.

Tempo ciclico e puntiforme

Nelle società tradizionali il tempo viene scandito attraverso il passare delle stagioni o secondo eventi contingenti (es. il mercato della domenica). Molte società possono essere comunque considerate “a doppio regime temporale”. C’è quindi un tempo qualitativo, legato all’esperienza, che dipende dalla necessità di alcune società di frazionare il tempo per contingenza, e un tempo quantitativo, astratto e frazionabile, che sta man mano, con la globalizzazione, diventando dominante. L’antropologo Christopher Hallpike, rifacendosi agli studi dello psicologo Jean Piaget, affermò che a seconda della cultura il tempo viene percepito come operatorio e pre-operatorio (percezione del tempo fino agli otto anni). La visione operatoria del tempo consente di coordinare i fattori di durata, successione e simultaneità. Per dimostrare la sua tesi egli fece osservare a degli aborigeni melanesiani due macchinine su due piste concentriche facendole partire e fermare nello stesso tempo e di seguito domandando quale delle due macchinine avesse percorso più spazio. Gli aborigeni non seppero rispondere a quella domanda e per questo motivo egli pensò che mancasse loro la capacità di coordinare i tre fattori. In Melanesia vengono fatte delle corse di cavalli su piste concentriche e di conseguenza la mancanza di una correlazione non-lineare e quantificabile del tempo sembra non escludere la capacità di coordinare durata, successione e simultaneità.

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