Glossario – Sostanza
Etimo secondo TPS
Dal latino substantia, essenza, esistenza, derivato da substare, composto dalla preposizione sub, sotto, e dal verbo stare, stare, letteralmente “stare sotto”: ciò che c’è sotto l’apparenza. Stare deriva dalla radice indoeuropea *STHA-, col senso originario di essere stabile, fisso, saldo (è ad es. la stessa radice di stele). In filosofia s’intende ciò che si mantiene stabile nei processi di cambiamento e quindi ciò che propriamente è elemento costitutivo di ogni cosa, distinguendolo da ciò che è accessorio, contingente.
Sostanza significa sostrato della Realtà
Nel Lambdoma Generatore la definizione è: La Sostanza è la base dello Spirito (5.2)
Treccani
sostanza (ant. sustanza e sustànzia) s. f. [dal lat. substantia «essenza, realtà; mezzi di sussistenza», der. di substare «stare sotto», sul modello del gr. ὑπόστασις]. –
1.a. Termine che, fin dalle origini del pensiero filosofico, designa genericam. ciò che permane al di sotto delle mutevoli apparenze; tale concetto assume nella filosofia greca del periodo classico un contenuto più specifico, indicando la realtà necessaria e perfettamente determinata, che è espressa più propr. con il gr. οὐσία (cui corrisponde etimologicamente il lat. essentia «essenza»); in partic., nella filosofia platonica, è individuata nell’idea, concepita come la vera realtà, eterna, indipendente dalle condizioni spazio-temporali; nella filosofia aristotelica, la sostanza (οὐσία) è, dal punto di vista ontologico, l’individualità determinata, cioè il sinolo (v.), definito anche come s. prima, in quanto costituisce il sostrato di ogni accidente; la sostanza così concepita è, dal punto di vista logico, la categoria prima (ὑποκείμενον), in quanto assume esclusivamente la funzione di soggetto (v. soggetto2, n. 4 b) cui le altre categorie si riferiscono come predicati, necessarî (s. seconde, ovvero i generi e le specie) o contingenti (accidenti: v. accidente, n. 3); sempre nella filosofia aristotelica, l’espressione s. prima designa anche la sostanza divina o assoluta, che, a differenza delle s. sensibili o finite, realizza sé stessa in quanto attività pura, indipendentemente da qualsiasi potenzialità. Nella scolastica si distingue tra s. trascendentale, attribuibile a Dio in quanto consiste dell’unità di essenza ed esistenza, e s. predicamentale, in cui l’essenza è distinta dall’esistenza e che pertanto è attribuibile agli enti finiti; analogam., nella filosofia cartesiana, la s. divina, la cui esistenza non dipende da altro che da sé stessa, è distinta dalla s. creata (costituita di s. pensante e s. estesa), che per sua natura dipende da Dio che la crea e la conserva nell’esistenza; nella filosofia spinoziana l’unica sostanza è quella divina, mentre gli enti creati sono suoi attributi o modi. L’empirismo sottopone il concetto di sostanza a una critica radicale, riducendola a sostrato inconoscibile delle qualità (Locke) o a una mera finzione dell’immaginazione (Hume), mentre nella filosofia kantiana viene a designare la categoria di relazione che determina ciò che permane nel mutevole contenuto dell’intuizione spazio-temporale; nella filosofia hegeliana, la sostanza è l’idea logica concepita nella forma ancora inadeguata dell’oggettività necessaria, cioè di una realtà assoluta contrapposta a quella solo relativa degli enti finiti, cui pertanto difetta l’effettiva comprensione della libera soggettività, che sola costituisce la vera realizzazione dell’idea stessa. Nella filosofia di Rosmini sostanza è l’idea pura e universale dell’essere, realizzata in ogni ente concreto e teoreticamente fondata sul principio di s., secondo cui tale nozione si deduce dalla conoscenza degli accidenti (attraverso il principio di non contraddizione).
1.b. Nell’uso corrente, ciò che costituisce l’elemento o l’aspetto essenziale di qualche cosa, contrapp. a ciò che è accessorio e marginale: bisogna badare alla s. delle cose e non alle apparenze; non si espresse con queste precise parole ma questa fu la s. del suo discorso; la sostanza e l’anima delle opere loro è pur sempre la vita italiana d’allora (Carducci); frequente la locuz. avv. in sostanza, badando a ciò che ha importanza fondamentale ed escludendo ciò che è secondario; spesso però questa locuz. ha il sign. attenuato di insomma, in conclusione: in s. vorresti convincermi a rinunciare all’impresa.
2.a. Materia di determinata composizione chimica che le conferisce particolari caratteristiche o proprietà, specificate con un attributo: s. omogenee o eterogenee, a seconda che siano o meno di una singola specie chimica; s. liquide, solide, gassose, in relazione allo stato di aggregazione; s. alimentari, s. medicinali; s. velenose; s. coloranti; s. tanniche; s. semplici, non decomponibili in altre sostanze più semplici; s. inerte, priva di azione chimica; s. secca, il residuo di una sostanza dopo l’eliminazione dell’acqua in essa contenuta.
2.b. In biologia e in anatomia, materia organica e organo che hanno per lo più aspetto omogeneo e limiti ben definiti: s. bianca e s. grigia, le due componenti fondamentali del sistema nervoso centrale, così denominate, la prima per il colore delle fibre mieliniche di cui è ricca, e la seconda per il colore dei pigmenti presenti nei neuroni; s. corticale e s. midollare, in alcuni organi a struttura non omogenea (rene, surrene, ovaie, ecc.), la parte periferica e, rispettivam., quella centrale; s. nera (più comunem. denominata con le locuz. del lat. scient. substantia nigra o locus niger), formazione pigmentata del mesencefalo facente parte del sistema extrapiramidale. Con valore più generico, s. vivente, dotata di capacità biologica, di vita; s. di riserva, prodotto della nutrizione non assimilato immediatamente; s. fondamentale di un tessuto, quella parte del tessuto che circonda le cellule, la cui composizione può variare considerevolmente a seconda dei tessuti considerati; s. basofila, eosinofila, metacromatica, ecc., piccoli ammassi di natura chimica spesso non definita che presentano particolari affinità tintoriali. c. In fisiopatologia, denominazione di composti, la cui precisa composizione chimica spesso non è nota, che svolgono particolari attività fisiologiche: per es., s. istaminosimili, composti chimici che hanno una struttura diversa da quella dell’istamina ma svolgono funzione analoga, ecc.
3. Nel linguaggio corrente, con riferimento ad alimenti, potere nutritivo: la s. di un cibo; carne di scarsa s.; questi legumi hanno poca s. (o anche, poca s. nutritiva).
4. Il complesso dei beni posseduti da un singolo o da una famiglia, da un ente (per lo più al plur.): tutta la sua s. è costituita da quel campicello; ha ereditato tutte le s. dello zio; dilapidò gran parte delle sue s. al gioco; Armi e sostanze t’invadeano ed are E patria … (Foscolo, alludendo agli stranieri che invasero l’Italia). Anticam., in Firenze, la ricchezza censita al catasto senza deduzione delle annualità passive; talora ebbe anche il sign. di riserva: per es., fondo di sostanza del Banco di San Giorgio.
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Sostanza (filosofia)
«[…] E sostanza [οὐσία] è il sostrato [ὑποκείμενον], il quale, in un senso, significa la materia (dico materia ciò che non è un alcunché di determinato in atto, ma un alcunché di determinato solo in potenza), in un secondo senso significa l’essenza e la forma (la quale, essendo un alcunché di determinato, può essere separata con il pensiero), e, in un terzo senso, significa il composto di materia e di forma […]» (Aristotele, Metafisica, VII, 1042a, traduzione di G. Reale)
In filosofia per sostanza, dal latino substantia, ricalcato dal greco ὑποκείμενον (hypokeimenon), letteralmente traducibile con “ciò che sta sotto”, si intende ciò che è nascosto all’interno della cosa sensibile come suo fondamento ontologico. La sostanza è quindi ciò che di un ente non muta mai, ciò che propriamente e primariamente è inteso come elemento ineliminabile, costitutivo di ogni cosa per cui lo si distingue da ciò che è accessorio, contingente, e che Aristotele chiama accidente. Per sostanza, in altre parole, si intende ciò che è causa sui, ovvero ha la causa di sé in se stessa e non in altro.
Il termine “sostanza” e l’aggettivo “sostanziale” vengono spesso utilizzati, nel linguaggio comune, come sinonimi di essenza ed “essenziale”: ciò che è fondamentale alla costituzione di ciò a cui ci si riferisce. In effetti l’origine etimologica e il significato filosofico dei due termini, apparentemente simili, sono diversi:
- al termine “sostanza” (dal greco ὑποκείμενον), introdotto da Aristotele, corrisponde la definizione sopra citata.
- il termine “essenza” (dal greco οὐσία), già presente in Platone, vuol dire ciò che realmente è, ciò per cui una cosa è quel che è anziché un’altra cosa.
In senso più specifico: «alla sostanza, che è la realtà individuale nella sua autonoma esistenza e sussistenza, l’essenza si contrappone come la forma generale», «l’universale natura delle singole cose appartenenti allo stesso genere o specie.»
Traduzioni latine del termine ousia
La parola ουσία viene tradotta in italiano indifferentemente come essenza o come sostanza. Questa ambiguità dipende dal fatto che molti termini filosofici greci sono stati tradotti erroneamente nella versione latina
- Secondo Seneca, Cicerone sarebbe stato il primo (in un testo che non ci è pervenuto) a tradurre ‘ousia’ con essentia;
- Boezio la traduce come essentia in Contra Eutychen (dove traduce «ousiôsis» con subsistentia e «hypostasis» con substantia) mentre invece nella traduzione delle Categorie di Aristotele traduce ousia con substantia
La scuola ionica
Le prime teorie sulla sostanza, anche se non esplicitamente formulate come tali (il concetto di sostanza nascerà infatti con Aristotele) nascono con i presocratici. Essi pensarono che, pur essendo apparentemente diversi, i fenomeni naturali fossero omogenei, della stessa natura fondamentale. Si trova nelle loro teorie una ricerca di un punto di riferimento comune che metta ordine nella molteplicità caotica dei fenomeni. Se quindi, si riuscirà a identificare la causa prima di tutti questi fenomeni, quell’elemento comune a tutte le cose, che soggiace (“hypokeimenon”) a tutto, nascosto al loro interno, per cui una cosa è quella che è nella variabilità di ciò che appare, si avrà la chiave di spiegazione unica di tutto il cosmo, cioè dell’universo come ordinato e armonioso.
Quindi i primi filosofi presocratici ricercheranno quest’elemento primordiale, la causa di tutto, da cui tutto si è generato e a cui tutto ritorna: l’archè, il principio apparso per primo nel tempo e scopriranno così la sostanza dandole una pluralità di significati, come ente che:
- permane nei mutamenti
- rende unitaria la molteplicità
- rende possibile l’esistenza della cosa
Nella cosiddetta Scuola di Mileto inizia allora la ricerca della sostanza identificata o in un elemento naturale (Talete ed Anassimene) o nella iniziale mescolanza originaria e caotica di tutte le cose (l’ápeiron, l’infinito-indefinito di Anassimandro).
Ad essere esatti il termine utilizzato dai primi pensatori ionici era quello di archè come ci dice il primo storico della filosofia, Aristotele.
«La maggior parte di coloro che per primi filosofarono ritennero che i soli principi di tutte le cose fossero quelli di specie materiale, perché ciò da cui tutte le cose hanno l’essere, da cui originariamente derivano e in cui alla fine si risolvono , pur rimanendo la sostanza ma cambiando nelle sue qualità, questi essi dicono è l’elemento, questo il principio (arché) delle cose e perciò ritengono che niente si produce e niente si distrugge, poiché una sostanza siffatta si conserva sempre.» (Aristotele, “Metafisica”, I, 3, 983b)
Nella scuola pitagorica la sostanza diviene il numero. La sostanza infatti non può essere caratterizzata dalle qualità sensibili che mutano poiché essa permane sempre identica a se stessa. Se dunque gli elementi naturali sono variabili per la qualità, in questi stessi permane però un aspetto immutabile che è la quantità e questa è misurabile e quindi traducibile in numeri. Il numero quindi è all’origine di tutte le cose.
La filosofia posteriore di Eraclito presenta notevoli difficoltà di interpretazione. Da Platone per primo viene considerato il filosofo del “divenire” per cui egli viene solitamente contrapposto agli eleati, sostenitori dell’essere immobile ed immutabile. Nella filosofia di Eraclito il principio fondamentale è riconducibile a Polemos (” La guerra è madre di tutte le cose “), la contesa che tiene uniti gli elementi discordi, ovvero nel Logos,(solo in seguito il termine identificherà la ragione discorsiva) che lascia essere i contrari nella loro armonia, senza sopprimere la loro differenza.Il dibattito tra le tesi contrapposte di chi sostiene che la vera realtà del mondo sia il divenire e chi invece l’immutabilità dell’essere, (Parmenide, Zenone, Melisso di Samo), tra l’esperienza e la ragione, dopo i tentativi dei pluralisti (Empedocle, Anassagora e Democrito) di conciliare le due dottrine, ha termine con l’avvento della sofistica che lo giudica inconcludente e che invece sostiene che ciò che importa nella riflessione filosofica sia l’uomo misura di tutte le cose.
La sostanza in Aristotele
Con Aristotele torna l’interesse per la riflessione sulla sostanza che viene trattata per la prima volta nelle Categorie che sono le caratteristiche fondamentali dell’essere. Esse sono la qualità (ad es. bello o brutto), la quantità (alto, basso) la relazione (vicino, lontano), posizione, condizione, agire, patire, dove, quando e, infine, la sostanza (ad es: essere uomo). Di tutte le categorie la più importante è la sostanza perché tutte le altre la presuppongono, la qualità è sempre qualità di qualche cosa, così la quantità è sempre quantità di qualche cosa e questo qualche cosa è la sostanza per cui essa è il polo di riferimento di tutte le altre: quindi la sostanza-essere non ha un unico significato e neppure molti completamente diversi tra loro, ma è il denominatore comune di molteplici significati per cui ogni cosa può essere detta essere in quanto esprime la sostanza. Cosa c’è di comune in tutti questi aspetti della sostanza-uomo? che “è” , quindi la sostanza si identifica con l’essere. Allora se l’essere si identifica con le categorie
- che sono “divisioni” o “generi supremi” dell’essere
- e le categorie poggiano tutte sulla sostanza
- allora per rispondere alla domanda che cos’è l’essere bisogna rispondere a quella che chiede che cos’è la sostanza.
Egli distingue tre tipi di sostanze:
- 1) la sostanza sensibile ma eterna (i corpi celesti)
- 2) la sostanza sensibile ma corruttibile (i corpi del mondo terreno: le piante, gli animali ecc.)
- 3) la sostanza immutabile.
I primi due tipi di sostanze sono composte da parti diverse e quindi bisogna capire quale di queste parti che le compongono sia quella fondamentale ed ineliminabile. Bisogna allora scegliere tra quattro diverse particolarità di sostanze che sono:
- I) il soggetto o sostrato materiale (l’hypokeimenon);
- II) il genere (ghenos) e la specie;
- III) l’universale (kathòlou);
- IV) l’essenza (ti estì).
Per Aristotele è appunto l’essenza la sostanza in senso proprio, o specie formale immanente in ogni individuo che come sostanza – essenza è altresì sinolo, unione indissolubile di materia e forma.
La sostanza nel pensiero medioevale
Nell’età medioevale sulle tracce di Aristotele, la filosofia scolastica si riferisce spesso al concetto di sostanza. Ad esempio si parla di “sostanza trascendentale” riferito alla sostanza divina – per la quale non vale la distinzione di essenza ed esistenza – che viene distinta dalla “sostanza predicamentale” che riguarda i generi e le specie a cui si riferiscono gli enti finiti e creati.
Cartesio: il dibattito metafisico sulla sostanza
Con l’età moderna prese avvio un percorso sia di approfondimento che di dissoluzione del concetto di sostanza.
Il cogito ergo sum di Cartesio introduceva la necessità che il pensiero chiaro e distinto, evidente, trovasse la sua corrispondenza nella realtà. Solo questo assicurava che si trattasse di vera razionalità e soltanto questo permetteva di superare il cosiddetto dubbio scettico che sosteneva di essere certo del proprio pensiero (come si può dubitare di se stessi?) ma dubitava appunto che al pensiero corrispondesse la realtà: la realtà infatti si acquisisce attraverso i sensi che ci danno una falsa visione della realtà, come avevano insegnato gli antichi sofisti come Protagora.
Ora il criterio dell’evidenza, il punto di partenza del metodo cartesiano, ha sconfitto sì il dubbio scettico ma ha fatto nascere la necessità dell’esistenza di due mondi, quello del pensiero (cogito) e quello della realtà (sum). E ciascuno di questi due mondi deve necessariamente far capo a una sostanza. Ma ecco che con Cartesio le sostanze sono due: la res cogitans (pensiero) e la res extensa (la realtà).
Questa si può intendere come una incoerenza: la sostanza è una e non può essere altro che una.
Cartesio pensa di superare questa difficoltà sostenendo che in effetti la sostanza è veramente unica: essa è Dio creatore sia della realtà che del pensiero. Insomma la res cogitans e la res extensa hanno un denominatore comune che è Dio di cui Cartesio si premura di mostrare razionalmente l’esistenza.
Ma la pretesa dimostrazione cartesiana di Dio non funziona: egli si serve del “cogito ergo sum”, delle regole del metodo (premessa) per dimostrare l’esistenza di un Dio perfetto e veridico (conclusione) e quindi la conclusione (esistenza di Dio di verità) gli dimostra la validità della premessa (la verità del cogito ergo sum). È questo quello che è stato definito il “circolo vizioso” cartesiano dove la premessa giustifica la conclusione e questa a sua volta giustifica la premessa.
Si riapre allora inevitabilmente il dibattito sulla sostanza che affondava le sue radici nell’origine stessa della filosofia, negli antichi filosofi greci della natura.
La scelta della materialità di Hobbes
Hobbes fa la sua scelta coerente con la scuola di pensiero inglese tutta rivolta alla realtà empirica e materiale. La sostanza unica è la materia. Tutto è materia compreso lo stesso pensiero. Cos’è il pensiero se non linguaggio oggettivato? Quindi dall’analisi del linguaggio possiamo dedurre l’origine di tutto e il termine più semplice ed originale è corpo con la sua caratteristica accidentale che è il moto. Il corpo infatti può essere in movimento ma anche in stato di quiete. E su questa sostanza corporea Hobbes costruisce il suo sistema materialistico meccanicistico deterministico onnicomprensivo. Dal corpo quindi partono dei movimenti che vanno a colpire i nostri organi di senso che compressi reagiscono con un contromovimento che mette in azione l’immaginazione che crea immagini che si vanno a sovrapporre ai corpi da cui è venuto il moto iniziale. Ogni corpo è quindi coperto da un’immagine che non ci fa cogliere la vera realtà della cosa. Ma non basta: noi traduciamo ogni immagine in un nome, che è convenzionale ed arbitrario. Quindi dalla vera realtà della cosa in sé ci separano due schermi: quello dell’immagine e quello del nome. Ecco allora che l’esigenza di certezze materiali che ispira la dottrina di Hobbes che vive nel turbolento periodo delle due rivoluzioni inglesi approda al fenomenismo, cioè all’impossibilità di conoscere la cosa stessa, la sostanza. Una conclusione non diversa da quella dei sofisti per i quali la realtà, appresa attraverso i sensi, era semplice apparenza.
La definizione “geometrica” della sostanza in Spinoza
Quando studiamo geometria noi non usiamo solo la ragione ma prevalentemente l’intuizione. La prima nozione geometrica necessaria per lo studio della geometria ad esempio è quella di punto e da questa si prosegue costruendo un intero edificio da un primo mattone che abbiamo accettato per vero ma che nessuno mai ci dimostrerà come vero. Questo non sarà mai possibile perché da un punto di vista razionale il punto è un’assurdità: è qualcosa che ad esempio costruisce con altri infiniti punti il segmento ma non ha una sua estensione reale. Il punto geometrico lo accettiamo solo intuitivamente.
Diamo allora una definizione della sostanza come facciamo per il punto geometrico e vediamo se è accettabile.
«La sostanza è ciò che è in sé e viene concepita per sé.» (dall’Ethica more geometrico demonstrata)
- “Ciò che è in sé“: vuol dire che è tutta in se stessa ossia non dipende da un’altra cosa, perché se dipendesse da un’altra cosa non sarebbe più sostanza;
- “E viene concepita per sé“: vuol dire che quando penso la sostanza la devo pensare con un concetto che riguarda lei e soltanto lei, non posso passare per altri concetti, come in una mediazione razionale, per arrivare a lei, perché altrimenti significherebbe che questi molteplici concetti, che rimandano a più realtà, farebbero sì che la sostanza non sarebbe più un’unica realtà come essa è: quindi la sostanza può essere concepita solo intuitivamente, con un’apprensione immediata, e non razionalmente mediata, della sua esistenza.
«La sostanza deve avere in sé e non in un’altra cosa il principio della sua intelligibilità.»
La sua esistenza non dipende dal fatto che ci sia io a parlarne o a pensarla: la sostanza è una realtà oggettiva, indipendente dall’esistenza del soggetto.
La sostanza è una realtà oggettiva concepita per se stessa. Se questa sostanza può essere definita come ciò che è in sé e viene concepita per sé, allora è causa sui (causa di sé stessa): in lei coincidono in un unico punto causa ed effetto, lei è nello stesso tempo madre e figlia — altrimenti sarebbe effetto di una causa che viene prima di lei, e lei allora non sarebbe più la prima, come deve essere per la sostanza.
Causa sui cioè se dovessi fare una distinzione tra l’essenza e l’esistenza, tra pensiero e realtà, per la sostanza questa distinzione non vale perché essa non appena pensa immediatamente esiste.
«La sua essenza implica necessariamente l’esistenza.»
Se l’essenza è il mondo del pensare, e l’esistenza è quella della realtà, non appena appare la sostanza nel pensiero nello stesso originario atto, essa esiste.
Non ci può essere la distinzione tra il pensiero della sostanza come una realtà distinta dalla realtà dell’esistenza della sostanza. Altrimenti ci sarebbero due realtà mentre la sostanza è un’unica realtà.
Se la sostanza è causa sui, allora è: unica; e, non essendoci altra realtà che possa limitarla, è infinita e indivisibile (perché, se fosse divisibile, non sarebbe più unica). Se dunque l’essenza della sostanza implica l’esistenza, allora pensiero e realtà coincidono.
Se la definizione della sostanza è tale per cui essa è:
- causa sui
- pensiero e realtà creatisi in un unico originario atto (essenza ed esistenza)
- unica, infinita, indivisibile,
allora la sostanza può essere identificata con Dio e con la Natura.
La sostanza in Leibniz
Come sul piano logico le verità di fatto coincidono con le verità di ragione così sul piano della materialità Leibniz si propone di dimostrare che la sua vera natura è lo spirito.
Le nuove scoperte fisiche permettono a Leibniz di elaborare una nuova concezione del mondo non più inteso meccanicisticamente. Quello che rimane infatti sempre presente nei fenomeni meccanici non è la quantità di moto ma la “forza viva” o energia cinetica, per cui estensione e movimento sono insufficienti a spiegare i fenomeni.
Il concetto di materia viene normalmente associato a quello di estensione. Tutto ciò che occupa uno spazio esteso è materia. La definizione di materia come estensione aveva però già generato una polemica tra il filosofi antichi, i pluralisti, quelli che avevano tentato una soluzione di compromesso nel dibattito tra le tesi contrapposte dell’essere degli eleati e coloro che sostenevano la realtà del divenire. Anassagora partendo da un concetto di materia come estensione affermava l’infinita divisibilità della materia, in quanto anche se piccolissima la minima particella materiale, essendo estesa, presupponeva la sua ulteriore divisibilità. D’altra parte Democrito affermava che dall’infinito non possono provenire corpi estesi finiti e quindi bisogna supporre che esista una piccolissima particella materiale non più divisibile: l’atomo. Il concetto di estensione applicato alla materia non è dunque il più adatto per capire la sua natura.
La materia omogenea
Sostituiamo al concetto di estensione quello di presentarsi come omogenea. Qualsiasi oggetto materiale si presenterà in una pressoché infinita qualità di forme e modi ma conserverà sempre la caratteristica della materialità, della corporeità. Quantitativamente dunque la materia è omogenea (dal significato originario del termine greco: “della stessa natura”). Ma se la materia è omogenea come si spiega che essa presenta una diversità di forme, di qualità ecc.? Evidentemente all’interno di quella che noi chiamiamo materia c’è un “principio di differenziazione”, una forza per cui un corpo si differenzia da un altro corpo.
D’altra parte se la materia fosse semplice estensione come si spiega lo spostamento? Il concetto di movimento non può derivare da quello di estensione. Se consideriamo due corpi dal punto di vista dell’estensione il fatto che siano estesi non spiega perché un corpo si sposta con maggiore difficoltà rispetto a un altro corpo. I due corpi infatti possono anche differire per l’estensione ma questo non è l’elemento determinante per cui essi offrono una diversa resistenza all’azione di chi li vuole muovere. Questa diversa resistenza significa che essi oppongono una forza diversa all’azione di chi vuole spostarli.
Questo vuol dire che l’essere reale è essere semplice che contiene un “principio di differenziazione” (principium individuationis) che lo fa essere diverso da tutti gli altri esseri; esso è quindi un essere unico, una sostanza non materiale e passiva, ma che esprime un’attività per cui è un “centro di forza”, qualcosa che agisce indipendentemente da ogni altro essere.
«Ora, questa forza è qualcosa di diverso dalla grandezza, dalla figura e dal movimento; e da ciò si può giudicare che tutto quanto si sa dei corpi non consiste solo nell’estensione, come sostengono i moderni. Questo ci costringe a reintrodurre quelle forme che essi hanno bandito.» (dal “Discorso di Metafisica”, XVIII)
L’essere reale viene da Leibniz definito l'”unità reale” che ha la realtà dell’atomo fisico (quindi diverso dal punto geometrico che è astratto) ed ha la precisione del punto geometrico che manca all’atomo fisico.
Si è quindi superato il dualismo cartesiano di spirito e materia, riducendo quest’ultima a spirito e quindi sostenendo alla fine, come necessaria conclusione, che in effetti esistono un’infinità di sostanze tante quante sono i corpi.
Con il concetto di forza=materia si è superato l’aspetto fisico: tutto è spirito, e ciascuno degli infiniti corpi, centri di forza che esprimono il principio di differenziazione e di individuazione, sono monadi, assolute unità semplici, centri di forza autonomi.
Le concezioni di Locke, Berkeley, Hume
Il processo di dissoluzione del concetto di sostanza inizia con Locke per il quale la nostra attività razionale può essere efficace solo se in grado di affrontare argomentazioni limitate che ricadano nell’ambito dell’esperienza.
Egli quindi non nega che possano esistere delle realtà ultime siano esse materiali o spirituali ma noi conosciamo di queste solo le manifestazioni accidentali che poi illecitamente trasferiamo ad un’idea non corrispondente alla realtà di sostanzialità, come supporto di quelle proprietà accidentali reali (noi conosciamo le qualità della mela non la “sostanza mela”).
Le considerazioni di Locke vengono contestate da Berkeley che nega che esistano sostanze materiali sia pure inconoscibili. Tutta la nostra conoscenza si basa sulle idee (percezioni) per cui la materia non è altro che un’idea messa nella nostra mente da Dio. Da questo punto di vista la sua posizione filosofica è vicina a quella dell’occasionalismo di Nicolas Malebranche, che vede l’intervento di Dio nel nostro processo conoscitivo, e di Leibniz con la riduzione della materia a spirito.
Con David Hume non solo quella materiale ma anche la sostanza spirituale non esiste; essa è l’effetto di un associazionismo psicologico derivante dall’abitudine e dalla costanza con cui noi percepiamo certi aspetti della realtà che scambiamo per un reale sostrato ontologico.
La sostanza in Kant e nell’idealismo
La sostanza la ritroviamo nel criticismo kantiano intesa come funzione trascendentale, categoria dell’intelletto tale da dare alla conoscenza le caratteristiche di necessità ed universalità ma anche come un’attività trascendentale completamente soggettivata negandole qualsiasi realtà ontologica. Della sostanza come oggetto reale di conoscenza ne parla la metafisica dogmatica che ha commesso l’errore di scambiare la sostanza – in vero “idea” della ragione – con quella che è l’attività dell'”io penso”, l’appercezione trascendentale. La sostanza, la “cosa in sé”, riguardo alla sua conoscibilità rientra dunque nel “noumeno” la cui esistenza è ipotizzabile ma non realmente conoscibile.
Eppure sosteneva Fichte, sarebbe bastato che Kant avesse pensato ad attribuire all'”io penso” non una semplice attività formale di conoscenza ma un principio costitutivo della realtà perché si risolvesse una volta per tutte il problema della cosa in sé, della sostanza. Poiché “ogni fatto rimanda all’atto che lo pone” la realtà è creata da un Io assoluto in cui coincidono autocoscienza, autoconoscenza ed autocreazione e poiché egli crea con sé tutta la realtà, la conoscerà sin dalle sue prime fondamenta. Per chi crea, la realtà non ha misteri. La stessa concezione della realtà come processo creativo attribuibile all’Assoluto (Schelling e Hegel) trasforma la caratteristica di immutabilità della sostanza antica in un concetto “dinamico” .
Il pensiero contemporaneo sulla sostanza
Il tema della sostanza aristotelica torna nel pensiero epistemologico di Alfred North Whitehead. Dopo la teoria della relatività di Einstein che ha messo in crisi la fisica meccanicistica newtoniana, lo scopo della scienza non è più quello di spiegare l’esperienza attraverso i meccanismi di causa-effetto. La fisica classica trasformava in realtà effettive, in caratteristiche strutturali della natura oggetti scientifici come atomi, istanti, punti ecc. che sono invece costruzioni del pensiero. Questo travisamento della realtà ontologica degli oggetti delle scienze naturali deriva dalla antica concezione della sostanza aristotelica che ha condotto “a postulare un substrato per tutto ciò che si rivela nella sensazione“.
Secondo la moderna teoria della conoscenza elaborata da un punto di vista evolutivo che viene trattata dalla epistemologia evoluzionistica, riprendendo idee già espresse nella filosofia della conoscenza di Nietzsche[, le nostre capacità conoscitive della realtà derivano dal processo evolutivo della specie. Konrad Lorenz era convinto che le prestazioni della conoscenza umana debbano essere analizzate alla stessa stregua di altre capacità dell’uomo sviluppatesi nel corso della evoluzione in funzione della conservazione della specie: «…cioè di un sistema reale, formatosi in seguito ad un processo naturale, che si trova in un rapporto interattivo con un altrettanto reale mondo circostante.».
Egli ritenne di aver scoperto, con i suoi studi etologici, la derivazione delle nostre categorie mentali, compresa la categoria di sostanza, da lui chiamate “apparati immagine del mondo” dall’evoluzione della specie interagente con l’ambiente. Dette categorie sono innate (e perciò a priori) nel singolo individuo, ma a posteriori, formatesi, cioè dopo una serie di esperienze reali nel corso dello sviluppo evolutivo, che le portò ad essere quello che in noi sono ora: «… qualcosa che sta agli elementi della realtà extrasoggettiva come lo zoccolo d’un cavallo sta alla steppa o la pinna d’un pesce all’acqua.», prodotti cioè d’un processo evolutivo naturale.
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Sostanza pura
Una sostanza pura è un sistema omogeneo di composizione definita e costante, caratterizzato da proprietà chimico-fisiche specifiche. È spesso indicata anche come sostanza chimica o, semplicemente, sostanza.
Sostanze semplici, composte e miscele
Una sostanza costituita da atomi uguali (ovvero dallo stesso elemento chimico) è detta sostanza elementare o sostanza semplice (ad esempio O2, O3, N2, H2), mentre è detta sostanza composta (o composto chimico) se è costituita da atomi di natura differente (ad esempio H2O, CO2, H2SO4).
Un insieme di più sostanze pure in proporzioni variabili è definito miscela. Una sostanza non è mai pura al 100% e contiene normalmente delle impurezze, talvolta in tracce o ultratracce, per cui nella maggior parte dei casi quelle che sembrano sostanze in realtà sono miscele con una quantità di impurità più o meno elevata.
Sostanze elementari e forme in cui si presentano
Le sostanze elementari possono presentarsi in diverse forme:
- sotto forma monoatomica: i gas nobili (He, Ne, Ar, Kr, Xe, Rn);
- sotto forma molecolare: alcuni esempi sono H2, N2, O2, O3, F2, P4, S8, Cl2, Br2, I2;
- sotto forma di insieme continuo (cristallino o amorfo) di atomi legati in modo covalente: per esempio C, Si, B, Sb;
- sotto forma metallica: la maggior parte degli elementi sono metalli, alcuni esempi sono Fe, Na, Au, Ca, U.
La stessa sostanza può esistere in diverse forme allotropiche: ad esempio il diamante e la grafite (che sono entrambe sostanze pure formate da carbonio) si presentano in strutture cristalline diverse; un altro esempio è dato dall’ossigeno diatomico (O2) e dall’ozono (O3), i quali sono entrambi costituiti da ossigeno, ma differiscono per la struttura molecolare.
Quantità di sostanza
L’unità di misura della quantità di sostanza nel SI è la mole.
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