Glossario – Sapienza
Etimo secondo TPS
Dal latino sapientia, derivato da sapiens, participio presente del verbo sapere, avere sapore, avere odore, avere senno, essere saggio.
La ricerca sulla radice del verbo è vivace e dibattuta:
- per la maggior parte degli studiosi sarebbe l’indoeuropea *SAP-, connessa con l’idea di essenza/succo/sapore/senno, ad es. il sanscrito sabar, nettare; il russo sok, succo, linfa; il latino sapa, mosto cotto; il greco sophòs e il volsco sepu, saggio; l’antico tedesco intsefjan, percepire con i sensi, comprendere;
- per alcuni la radice originaria sarebbe stata *SAK-, che esprime l’idea di scorrere. Ad essa si connetterebbe ad es. la parola latina sucus, succo, la tedesca saft, la russa sok con identico significato;
- F. Rendich, infine, propone per il greco sofòs e il latino sapiens, saggio, la radice indoeuropea bhās, che esprime il concetto di “effetto [ā] di uno spostamento [h] di energia [b], “splendere”, “essere luminoso”. Si vedano il sanscrito subhās, composto da su “bene” e da bhās: che illumina bene (DEC, pp. 268-269). Deriverebbe invece da tutt’altra radice indoeuropea, *SUK-, che esprime il senso di gradevolezza, la parola latina sucus, “succo”.
È peraltro possibile ipotizzare che nei termini derivati del verbo latino sapĕre sia avvenuta nel corso dei secoli una commistione tra le radici e quindi fra le idee che esse esprimono: in questo caso “saggezza” sarebbe riconducibile sia al concetto di “intelligenza/luce” sia a quello di “essenza/succo”.
Sapienza indica il lume della comprensione infinita
Nel Lambdoma Spazio la definizione è: La sapienza è l’intelligenza divina dell’Amore (3.7)
Treccani
sapiènza s. f. [dal lat. sapientia, der. di sapiens -entis «sapiente, saggio» (v. la voce prec.)]. –
1.a. Profondo sapere, condizione di perfezione intellettuale che si manifesta col possesso di grande conoscenza e dottrina: la s. degli antichi filosofi. Con senso più ampio, dote, oltre che intellettuale, anche spirituale e morale, intesa come saggezza unita a oculato discernimento nel giudicare e nell’operare, sia sul piano etico, sia sul piano della vita pratica: la s. dei santi.
1.b. Nella teologia cattolica, uno dei sette doni dello Spirito Santo, e anche uno degli attributi di Dio: Fecemi la divina podestade, La somma sapïenza e ’l primo amore (Dante). Libro della S., libro deuterocanonico dell’Antico Testamento (composto forse ad Alessandria d’Egitto tra la fine del 1° sec. a. C. e gli inizî del 1° sec. d. C.) appartenente al genere didattico-poetico, scritto originariamente in greco e diviso in 19 capitoli, il cui argomento è la lode della sapienza come attributo di Dio, principio che guida la creazione e la storia del popolo eletto ed è insieme dono di Dio all’uomo.
2. Per estens., ma poco com., capacità, abilità teorica e pratica, maestria acquisite con l’applicazione continua, lo studio, l’esperienza: la s. di un sarto di grido; pagine scritte con notevole s.; era vestita, truccata, pettinata con s.; ha arredato la casa con grande sapienza.
3. Antica denominazione di alcune università, tuttora usata in alcune città: vado alla S.; ci vediamo alla S.; la S. di Pisa. A Roma, nome dell’antica università fondata nel 1303 dal papa Bonifacio VIII, al cui palazzo, ora sede dell’Archivio di stato di Roma, è annessa la chiesa di S. Ivo del Borromini (che conserva anch’essa l’appellativo alla Sapienza); la denominazione è tornata in uso in anni recenti per indicare in forma ufficiale la prima università di Roma (è professore di mineralogia alla S.; il convegno si terrà nell’aula magna della Sapienza).
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Sapienza (filosofia)
Sapienza (dal latino sapientia, derivato di sapiens -entis «sapiente, saggio») traduce il termine greco σοφία (sofia) con il significato filosofico di possesso teorico di approfondita scienza e capacità morale di saggezza (φρόνησις, phronesis).
Sapienza e sensi
«È opportuno interrogarci sul significato originario di sapientia; il latino sapere significa “avere sapore”, da cui può derivare “avere senno”, “essere perspicace”. Questa duplicità rimane nel nostro uso linguistico, con alcune sfumature: diciamo che un cibo sa di qualcosa o è insipido; un cibo è sapido e insipido, una persona sapiente (in disuso per evidenti ragioni) o insipiente; insomma in origine è presente una connessione con un senso, il gusto, qualcosa di istintivo; in greco una connessione del genere si ha con il verbo noein, (nous, noesis), che viene da una radice snovos, snow, annusare, fiutare, capacità di (diremmo oggi ‘captare’, ‘subodorare’, ‘snasare’) “presentire”, o di “accorgersi istintivamente di qualcosa”, di una situazione, un pericolo, dunque una sorta di sapere diretto e istintivo. In Omero noein significa vedere, un vedere che può essere inteso e tradotto con riconoscere.»
Sapienza e tecnica
Dai filosofi presocratici fino a Platone per sapienza si intendeva non solo il possesso di conoscenze razionali ma anche la connessa abilità tecnica nel mettere in opera quelle conoscenze ed assieme la virtù della prudenza nel distinguere il bene dal male e l’utile dal dannoso. In quest’ultimo caso la sapienza, prevalendo il comportamento morale, coincideva con la saggezza φρόνησις, (phronesis). Il saggio, nel senso greco del termine, non è l’uomo perso nelle sue riflessioni teoriche; egli, pur detenendo un sapere considerato astratto, possiede invece l’abilità di farne un uso concreto, pratico.
Sapere di non sapere
Posizione del tutto particolare è quella occupata da Socrate relativamente al tema della sapienza. Infatti paradossale fondamento del pensiero socratico è il “sapere di non sapere”, un’ignoranza intesa come consapevolezza di non conoscenza definitiva, che diventa però movente fondamentale del desiderio di conoscere. La figura del filosofo secondo Socrate è completamente opposta a quella del saccente, ovvero del sofista che si ritiene e si presenta come sapiente, ossia come detentore di una sapienza tecnica come quella della retorica. Le fonti storiche che ci sono pervenute descrivono Socrate come un personaggio animato da una grande sete di verità e di sapere, che però sembravano continuamente sfuggirgli. Egli diceva di essersi convinto così di non sapere, ma proprio per questo di essere più sapiente degli altri poiché egli non presume di possedere una volta per tutte la sapienza, sa di non sapere ed è quindi sempre disposto a dialogare per la ricerca in comune di quella verità che una volta raggiunta va sempre rimessa in discussione.
Sapienza e saggezza
La distinzione tra saggezza e sapienza viene definita chiaramente con Aristotele per il quale:
- la saggezza è «una disposizione vera, accompagnata da ragionamento, che dirige l’agire e concerne le cose che per l’uomo sono buone e cattive»;
- la scienza come «scienza delle realtà che sono più degne di pregio, coronata dall’intelligenza dei supremi principi».
La saggezza riguarda il comportamento morale, l’economia e la politica, la sapienza è «la più perfetta delle scienze» poiché ha per oggetto realtà metafisiche e quindi immutabili come gli astri e il primo motore e rappresenta quindi la «filosofia prima» che indaga le prime cause e i principi, mentre la saggezza, riguardando l’uomo, imperfetto e mutevole, non è una scienza suprema. Aristotele introduce così una nuova concezione del sapere rispetto a quella della tradizione, che collegava la sapienza all’agire e al produrre. Dedicarsi al sapere richiede la scholè, l’otium dei latini, un tempo assolutamente libero da ogni cura e preoccupazione per le necessità materiali dell’esistenza.
«Cosicché, se gli uomini hanno filosofato per liberarsi dall’ignoranza, è evidente che ricercano il conoscere solo al fine di sapere e non per conseguire qualche utilità pratica. E il modo stesso in cui si sono svolti i fatti lo dimostra: quando già c’era pressoché tutto ciò che necessitava alla vita ed anche all’agiatezza ed al benessere, allora si incominciò a ricercare questa forma di conoscenza. È evidente, dunque, che noi non la ricerchiamo per nessun vantaggio che sia estraneo ad essa; e, anzi, è evidente che, come diciamo uomo libero colui che è fine a se stesso e non è asservito ad altri, così questa sola, tra tutte le altre scienze, la diciamo libera: essa sola, infatti, è fine a se stessa.»
Nella filosofia ellenistica la sapienza si ripropone come strumento per la felicità dell’uomo che agisce per il conseguimento del bene. Questa concezione viene fatta propria anche dalla filosofia latina che, con Cicerone, separa la sapienza dalla saggezza che avvia l’uomo a ciò che deve perseguire (il bene) o evitare (il male), ma anche la sapienza deve perseguire un qualche scopo nella vita dell’uomo altrimenti il sapere stesso sarebbe senza senso e inutile.
Sapienza come divinità
Nelle filosofie dell’età alessandrina interessate alle tematiche religiose, la sapienza assume caratteristiche divine di mediazione tra l’Essere supremo e il mondo fenomenico, come descritto ad esempio da Filone di Alessandria che la vede rappresentata dal Logos. In Plotino la Sapienza è anche forza creatrice dell’universo la quale si identifica con l’Essere.
Nello gnosticismo la sapienza è appena al di sotto della divinità suprema ed agisce nel mondo: presso i valentiniani la sapienza ritenendo di potersi immedesimarsi nel Padre, cerca di creare autonomamente causando così la sua rovina e la contemporanea creazione della materia.
Nella Scolastica, Tommaso d’Aquino si rifà alla definizione di Aristotele intendendo la sapienza come somma virtù conoscitiva che attraverso la grazia viene donata da Dio agli uomini che possono così conoscere quelle verità alle quali prima potevano accostarsi soltanto per fede.
Sophia nello gnosticismo cristiano
Per gli gnostici cristiani, Sophia è un elemento centrale per la comprensione cosmologica dell’Universo. Sophia è la componente femminile di Dio, e coincide con lo Spirito Santo della Trinità. Ella è, pertanto, al tempo stesso Sorella e Sposa di Cristo poiché, così come Cristo, Ella viene da Dio [Dio inteso dunque come Padre e come Madre al tempo stesso, poiché Origine e Generatore dei due principi, maschile (Cristo) e femminile (Sophia)]. Sophia risiede in tutti noi sotto forma di Scintilla Divina e Cristo fu inviato sulla terra per accendere la scintilla divina (pneuma o gnosi) che è nell’uomo, risvegliandolo dagli inganni del mondo e del Demiurgo.
Nella tradizione gnostica, il nome Sophia è, assieme a quello di Cristo, attribuito all’ultima emanazione di Dio. Nella maggior parte, se non in tutte le versioni della religione gnostica, Sophia provoca un’instabilità nel Pleroma, contribuendo alla creazione della materia. Il dramma della redenzione di Sophia attraverso Cristo o il Logos è il dramma centrale dell’universo.
Pressoché tutti i sistemi gnostici del tipo siriano o egiziano insegnavano che l’universo ebbe inizio da un Dio originario, inconoscibile, definito come Padre o Bythos o Monade. Esso può essere associato anche al concetto di Logos dello stoicismo, o dell’esoterismo, o a termini teosofici come Ain Sof nella Qabbalah o Brahman nell’Induismo. Nello gnosticismo cristiano era noto come il Primo Eone. Da questo inizio unitario, l’Uno emanò spontaneamente altri Eoni, entità accoppiate, in una sequenza di potenza sempre inferiore. L’ultima di queste coppie fu quella formata da Sophia e Cristo. Gli Eoni, tutti insieme, costituivano il Pleroma, o la pienezza, di Dio, e così non dovrebbero essere visti come entità diverse da Lui, ma come astrazioni simboliche della natura divina.
Nel Vangelo apocrifo di Filippo, la Sophia viene identificata come la Maria Maddalena, tanto da aver fatto ipotizzare come il Giovanni dell’Ultima cena di Leonardo possa essere Maria Maddalena vista nel concetto gnostico di Sophia e di Spirito Santo.
Sophia nei codici di Nag Hammâdi
Nei codici di Nag Hammadi, Sophia è la sizigia di Gesù Cristo (essendo stata coemanata con lui, forma un’unità con Cristo), ed è identificata nello Spirito Santo della Trinità. Nel testo “Sull’Origine del Mondo”, Sophia è dipinta come Colei che generò senza la sua controparte maschile. In questo modo venne originato il Demiurgo (Satana), ovvero il Dio ebraico Yahweh (anche noto come Yaldabaoth, Samael), creatore di tutto l’universo materiale e dio minore malvagio, poiché appunto Sophia lo generò senza la sua sizigia Gesù Cristo, tentando di aprire una breccia nella barriera tra lei e l’inconoscibile Bythos. Nella creazione del mondo materiale ad opera Demiurgo però, Sophia riuscì ad infondere la sua Scintilla Divina (pneuma) nella materia, permeando dunque il creato della sua Divinità (Divinità dunque presente nel cosmo e quindi in tutte le forme di vita sotto forma di anima), e rovinando i piani del Demiurgo. Riaccendendo la scintilla divina che è in lui infatti, l’uomo si risveglia dagli inganni del Demiurgo e del mondo materiale, e accede alla Verità oltre la realtà materiale. Cristo giunse sulla terra proprio al fine di risvegliare negli uomini la loro divinità (la Sophia che è in loro).
Inoltre Sophia è dipinta anche come Colei che distruggerà Satana/Yaldabaoth/Yahweh e questo universo di materia con tutti i suoi Cieli. In seguito in “Sull’Origine del Mondo”, si dice:
“Ella [Sophia] li getterà giù nell’abisso. Loro (gli arconti) saranno perduti a causa della loro cattiveria. Diverranno come vulcani e si consumeranno l’un l’altro finché non periranno per mano del primo genitore. Quando questi li avrà distrutti, si rivolgerà contro se stesso e si distruggerà finché non cesserà di esistere.
Ed i loro cieli precipiteranno uno sull’altro e le loro schiere saranno consumate dal fuoco. Anche i loro reami eterni saranno rovesciati. Ed il suo cielo precipiterà e si spezzerà in due. […] essi precipiteranno nell’abisso, e l’abisso sarà rovesciato.
La luce vincerà sull’oscurità e sarà come qualcosa che mai fu prima.”
Caduta e redenzione di Sophia
L’angoscia e la paura di Sophia di perdere la vita (proprio come perse la luce dell’Uno), le provocarono confusione e brama di tornare a lui. A causa di questa brama, la materia (greco: hyle) e l’anima (greco: psykhe) accidentalmente ebbero esistenza attraverso i quattro elementi: fuoco, acqua, terra, ed aria. Anche la creazione del Demiurgo dalla testa leonina fu un errore perpetrato durante questo esilio. Secondo alcune fonti gnostiche, esso fu il prodotto di Sophia che tentò di emanare da sola, senza la sua controparte maschile. Il Demiurgo procedette, poi, nella creazione del mondo fisico nel quale viviamo, ignorante di Sophia, che, comunque, riuscì ad infondere alcune scintille spirituali o pneuma nella creazione del Demiurgo.
Dopo questi avvenimenti, il Redentore (Cristo) ritornò e le permise di vedere nuovamente la luce, riportandola a conoscenza dello spirito. Cristo fu poi inviato sulla terra in forma di uomo, Gesù, per dare agli uomini la gnosis di cui avevano bisogno per liberarsi dal mondo materiale e ritornare al mondo spirituale. Si noti che, nello gnosticismo, la storia Evangelica di Gesù è essa stessa allegorica: egli non è un essere vivente in un contesto storico, ma il Mistero Esterno usato come introduzione alla gnosis.
Sophia nel giudaismo e nel cristianesimo non gnostici
Giudaismo
Anche se la “Divina Sophia” è centrale in molti movimenti gnostici, essa non è una figura esclusiva dello gnosticismo. Sophia come “Sapienza di Dio” (Chokmah in ebraico) appare nella Bibbia nel libro dei Proverbi (in particolare 8.22-31 in cui Sophia parla come se fosse un’entità a sé stante) così come in alcuni Salmi, nei libri deuterocanonici del Siracide e della Sapienza di Salomone e nel Nuovo Testamento. Nel giudaismo Sophia corrisponde alla Shekinah, “la Gloria di Dio”, una figura che ha un ruolo chiave nella cosmologia cabalistica come espressione dell’aspetto femminile di Dio. Come la Sophia gnostica, la Shekinah riveste un duplice ruolo, siede a fianco di Dio, ma viene anche esiliata nel mondo della materia, il Malkuth.
Cristianesimo Ortodosso Russo
In un certo periodo, nella Chiesa Ortodossa russa, Sophia fu individuata da alcuni teologi come una figura chiave per la comprensione della Divinità. Tra questo i più famosi furono Vladimir Solov’ëv, Pavel Aleksandrovič Florenskij, Nikolaj Berdjaev e Sergej Nikolajevič Bulgakov, il cui libro Sophia: La Saggezza di Dio rappresenta l’apoteosi della Sophiologia. La sua opera fu, però, denunciata dalle autorità ortodosse russe come eretica. Per Bulgakov, Sophia era sullo stesso piano della Trinità, operando come parte Femminile di Dio di concerto con i tre principi Maschili del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Questo, naturalmente, in contrasto con il punto di vista ufficiale della Chiesa Ortodossa Orientale, che affermava che Sophia era la stessa persona del Figlio (riferito al femminile nel Vecchio Testamento perché “Sophia” in greco è un termine femminile) che si incarnò in Gesù Cristo.
Chiesa cattolica e chiese riformate
Nella Chiesa cattolica, la figura di Sophia venne dimenticata finché Santa Ildegarda di Bingen non raccontò di averne avuto una visione e la celebrò come figura cosmica sia nei suoi scritti che nella sua arte, raffigurandola con indosso una tunica dorata ornata di gemme preziose. Nell’ambito della tradizione protestante inglese del XVII secolo, la mistica e teosofa fondatrice della Società di Filadelfia, Jane Leade, scrisse copiose descrizioni delle sue visioni e dei suoi dialoghi con la ‘Vergine Sophia’ che, sostenne, le rivelò il lavorio spirituale dell’Universo. Leade era smisuratamente influenzata dagli scritti teosofici di Jakob Böhme, che, al pari di lei, parlò di Sophia in opere come la Via per Cristo.
Alcuni commentatori ritengono che Colei che viene identificata dai cattolici come la Vergine Maria sia la stessa Sophia, come recita esplicitamente un’iscrizione latina della chiesa romana di Santa Maria in Cosmedin, o come lascia intendere l’accostamento delle feste mariane medievali alla lettura dei Proverbi 8-9. Il culto della Vergine Maria infatti è tale che ella veniva venerata quasi quale Divinità ella stessa, o quanto meno identificata con l’aspetto sofianico di Dio. Mentre però Sophia è quindi una figura femminile di assoluta origine divina, espressa in ogni creatura, nel mondo naturale e, per alcuni mistici sopra menzionati, parte integrante del benessere spirituale dell’umanità e della Chiesa, cioè una Sophia intesa come Dea Madre, ovvero come la manifestazione materna di Dio, la Madre storica di Gesù invece resterebbe come figura molto riduttiva rispetto a quella di Sophia, essendo al di fuori della Creazione e di origine pur sempre umana, sebbene interceda compassionevolmente a favore dell’umanità per alleviare le sue sofferenze.
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Sapienza (teologia)
La sapienza nell’ambito della teologia è un attributo di Dio. Essa si manifesta nella creazione e nel governo dell’universo.
Ebraismo
Nella spiritualità ebraica il sapiente è il saggio che sa comportarsi adeguatamente nelle più diverse occasioni della vita, poiché conosce la Legge e vive conformandosi ad essa. Esempio di questa sapienza è il Re Salomone.
Cristianesimo
L’interpretazione che molti teologi cristiani hanno dato di molti passi dell’antico testamento, ha portato ad identificare la Sapienza con lo Spirito Santo stesso. Tra essi si può ricordare Teofilo di Antiochia.
Sapienza di Dio è anche un modo con cui viene chiamato Gesù e la sua identificazione con la Sapienza dell’antico testamento ha trovato un largo consenso tra i Padri della Chiesa.
Secondo la teologia cattolica, anglicana e di una parte di quelle protestanti, la sapienza è uno dei sette doni dello Spirito Santo, che permette di comprendere le realtà soprannaturali. La sapienza si distingue dall’intelletto poiché non è una conoscenza nozionistica delle cose di Dio, ma porta il fedele alla conoscenza e alla contemplazione di Dio stesso.
La sapienza è, secondo la definizione data da San Tommaso, un abito soprannaturale inseparabile dalla carità: per questo la sua presenza non è rinvenibile nelle anime in peccato mortale. In virtù di questo dono si giudica rettamente di Dio e delle cose divine risalendo alle loro ultime e altissime cause: si vedono le cose soprannaturali dal punto di vista di Dio.
« Ogni sapienza viene dal Signore ed è sempre con lui […] Prima di ogni cosa fu creata la sapienza e la saggia prudenza è da sempre. A chi fu rivelata la sapienza? Chi conosce i suoi disegni? Uno solo è sapiente, molto terribile e seduto sopra il trono. Il Signore ha creato la sapienza, l’ha vista e l’ha misurata, l’ha diffusa su tutte le sue opere, su ogni mortale, secondo la sua generosità, la elargì a quanti lo amano […] Principio della sapienza è temere il Signore » (Siracide 1,1.4-8.12)
Il sapiente è chi si lascia amare da Dio e sa trovare nella fede la risposta alle tante domande che alla mente appaiono senza risposta. Sapiente è chi non vuol convincere con la sola forza della ragione ma, pur utilizzando l’intelligenza e amandone l’esercizio, sa che la verità si irradia anzitutto per mezzo dell’amore.
La Sapienza è l’intima conoscenza di Dio. Con la Sapienza si sperimenta personalmente e intimamente Dio e tutte le sue cose. Si raggiunge uno stato di serenità, di giustificazione, di comprensione e di amore che trascende la stessa dottrina. Quando si acquista il dono della Sapienza, i comandamenti, le leggi, la teologia, gli studi diventano superflui. Diventa naturale e senza costrizione il fare la volontà di Dio e questo non perché si sta tenendo conto delle raccomandazioni della Bibbia o della Chiesa o della Natura o dello Stato, ma perché tutto l’essere personale è permeato di una luce non riflessa dallo studio, ma diretta dal Creatore stesso:
« Metterò la mia legge in loro, la scriverò nei loro cuori; allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Non dovranno più istruirsi l’un l’altro, dicendosi a vicenda: Impara a conoscere il Signore! Ma tutti, dal più piccolo al più grande, mi potranno conoscere, dice il Signore, poiché io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato. » (Geremia 31,33-34)
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