Principio

Glossario – Principio

 

Etimo secondo TPS

 

Dal latino principium, che ha lo stesso etimo di princeps, primo, parola composta da 1. prin/m e 2. da -ceps:

  1. prim/n, da *pritm, sembra essere un superlativo, primus, che ha per comparativo prior, anteriore, e per suo positivo la preposizione prae/pro, avanti, prima: indica pertanto l’idea di precedenza assoluta. Secondo F. Rendich, la radice indoeuropea di riferimento è “pra”, in cui distingue le componenti [ra], raggiungere”, [p] “la purificazione”: “stare prima”. L’uomo indoeuropeo, nel compiere l’azione di legarsi alla luce nascente, avrebbe avuto lo scopo di ottenere la purificazione, di stabilire un buon rapporto con gli dei. Data la “priorità” di questo rituale, dal suono radicale p sarebbe derivata la parola pra, prima (DEC, pp. 248, 233);
  2. -ceps deriva dal tema *KAP- che esprime l’idea di “tenere, prendere”, onde anche il latino capere, prendere (Vedi “Campo”).

Il principio, letteralmente “che tiene il primo posto”, è dunque l’ente che si pone prima di ogni altro.

 

Principio significa l’Essenza primordiale

 

Nel Lambdoma Generatore la definizione è: Il Principio è il seme originario (1.4)


Treccani

 

princìpio s. m. [dal lat. principium, der. di princepscĭpis nel sign. di «primo»: v. principe]. –

1.a. L’atto e il fatto di cominciare, inizio: il p. di una azione, di un’impresa; il p. di una nuova vita; dare p., avviare, intraprendere (l’oratore diede p. al suo discorso; fu allora che l’istituzione diede p. alla sua nuova attività; meno com. avere p., avere inizio: questa storia ebbe p. sei anni fa); l’incidente di frontiera segnò il p. della guerra; iron.: e questo non è che il p.!, alludendo al continuare o all’intensificarsi di un’azione che potrebbe avere conseguenze poco piacevoli per qualcuno; in partic., la fase iniziale di un determinato periodo di tempo, di una stagione, un’età, ecc.: il p. dell’inverno, della primavera; il p. dell’anno (anche assol., nell’espressione augurale buona fine e miglior p.); il p. e la fine di qualcosa; dal p. alla fine, per tutta la durata o l’estensione (ho seguito il tuo discorso dal p. alla fine; è un libro noioso dal p. alla fine). È il p. della fine, motto attribuito a Talleyrand (fr. c’est le commencement de la fin) che l’avrebbe pronunciato quando Napoleone ebbe a subire i primi disastri in Spagna, o, secondo altri, durante i Cento giorni. In senso più concr., la prima fase di un’azione, di un fatto, o anche la parte in cui una cosa comincia o che, in un determinato ordine, s’incontra per prima: il p. del viaggio fu molto piacevole; il p. di un romanzo, di una commedia, di un pezzo musicale; il trecento fu il p. della nostra letteratura (Leopardi); meno com. con riferimento a luoghi: al p. della strada; il p. della salita è molto faticoso.

1.b. Nell’uso giur., citando articoli di legge, principio (abbrev. pr.), lo stesso che prima parte o primo comma, cioè la parte dell’articolo che viene prima del 1° capoverso; analogam. nella citazione di passi del Corpus iuris civilis, è detta principio (lat. principium; abbrev. pr.) la parte che viene prima del 1° paragrafo.

1.c. Comuni le locuz. avv. con sign. temporale al p. (meno com. a p.), dal p. (o da p.), in p., sul p. e sim., all’inizio, inizialmente, nei primi tempi: al p. del giorno, del secolo; al p. tutto andava bene; letter., nei tempi primitivi, alle origini, all’inizio del mondo e delle cose: L’alta cagion, che da p. diede A le cose create ordine e stato (Bembo); in p. era il Verbo, espressione (lat. in principio erat Verbum) con cui ha inizio il Vangelo secondo Giovanni; con sign. estens., in un primo tempo, sulle prime: da p. sembrava una malattia grave, poi i medici dissero che non c’era da preoccuparsi (con questo, e con altri sign., in cui la prep. da può esprimere moto da un punto di partenza, la locuz. è spesso scritta unita: ricominciamo dapprincipio; dovremo rifare tutto dapprincipio).

1.d. In senso concr., al plur., i p. del libro, le pagine che precedono il testo e che contengono l’occhiello, il frontespizio, la prefazione, ecc.; non com., antipasti: principii o antipasto sono propriamente quelle cosette appetitose che s’imbandiscono per mangiarle o dopo la minestrao prima (Artusi).

2.a. Ciò che, in modo più o meno diretto, costituisce l’origine, la causa di un determinato fatto o di una serie di fatti: quella vincita fu il p. della fortuna della famiglia; il malcontento ebbe p. dall’imposizione di nuove tasse; con riferimento alla causa prima di tutte le cose: p. vitale, p. materiale, p. formale; secondo Eraclito il fuoco è il p. animatore dell’universo; in partic., con allusione a Dio: Donna, che lieta col Principio nostro Ti stai … (Petrarca); principio e fine di ogni cosa è Iddio (G. Gozzi).

2.b. In chimica, con sign. generico, il costituente fondamentale di una sostanza, che ne determina le caratteristiche. In partic., p. attivo, v. attivo, n. 4 b.

3.a. Concetto, affermazione, enunciato che forma uno dei fondamenti di una dottrina, di una scienza o di una disciplina, di un particolare sistema, o che, più semplicemente, sta alla base di un ragionamento, di una convinzione: una teoria filosofica fondata su saldi p.; i p. basilari della dottrina cristiana; il dogma è un p. di fede; le tue idee si basano su p. ormai superati; la vostra argomentazione parte da un p. sbagliato; questione di principio, la motivazione di un atteggiamento che, per essere fondato su una convinzione morale o su regole assolute di comportamento, non dev’essere posto in discussione (ne ha fatto una questione di p.; per me ormai è una questione di p.); petizione di principio, sofisma consistente nel presupporre implicitamente dimostrata la tesi stessa che si pretende di dimostrare (v. petizione). Con altro sign., principî, al plur., le basi, i presupposti e anche le nozioni generali su cui è costruito un sistema, una disciplina e sim.: principî di economia, di linguistica, ecc. In partic., p. giuridici o principî del diritto, norme esplicite o implicite dell’ordinamento giuridico (in quest’ultimo caso individuate attraverso l’elaborazione dei giuristi) che ne esprimono i criterî e i valori fondamentali: di particolare rilievo i p. costituzionali e i p. generali dell’ordinamento giuridico dello stato, utilizzati dagli interpreti come ulteriore criterio di riferimento nella soluzione delle controversie.

3.b. Nelle scienze sperimentali, enunciato che costituisce la generalizzazione di una vasta evidenza sperimentale e che si assume come vero per ogni possibile ulteriore esperienza: esso funziona quindi come criterio guida per la formulazione di leggi e teorie (che non devono ammettere conseguenze in contraddizione con il principio) o per deduzioni e dimostrazioni teoriche (dove funziona come premessa inviolabile); il riferimento all’evidenza sperimentale lo distingue dal postulato (in quanto semplice premessa di un sistema ipotetico-deduttivo), mentre l’ampiezza del campo di applicazione (che può essere comune a diverse teorie e addirittura a diverse discipline) lo distingue dalla legge, anche se nel comune modo di esprimersi degli scienziati i termini suddetti sono spesso intercambiabili: i tre p. della termodinamica; il p. di minima azione; il p. di conservazione dell’energia; il p. di relatività; il p. di indeterminazione; il p. di complementarità (per questi e altri principî, v. i singoli sost.); p. di Archimede, l’enunciato in base al quale un corpo immerso in un fluido riceve una spinta dal basso verso l’alto pari al peso del fluido spostato; p. di Pascal, che si può enunciare così: in un fluido ideale (cioè incompressibile) in equilibrio, la pressione intorno a un punto è la stessa in tutte le direzioni; p. di Boltzmann, l’asserzione secondo la quale l’entropia di un sistema fisico in uno stato di equilibrio è proporzionale al logaritmo naturale della probabilità di tale stato.

3.c. In matematica, il termine è usato per indicare enunciati molto generali (ma diversi da un punto di vista logico, perché si può trattare di assiomi, di teoremi, ecc.). Per es.: in aritmetica, p. di induzione, assioma che afferma che, se un insieme contiene il numero 0 e se tutte le volte che contiene un numero n contiene anche il successivo n + 1, allora contiene tutti i numeri naturali; in algebra, p. di identità dei polinomî, teorema secondo cui due polinomî assumono gli stessi valori se e solo se hanno i medesimi coefficienti; in geometria euclidea, p. di Cavalieri, assioma relativo all’equivalenza di due poliedri e più in generale di due solidi; in geometria proiettiva, p. di dualità (v. dualità), che a rigore è un teorema della metateoria, cioè un teorema che riguarda gli assiomi e i teoremi della geometria proiettiva; in teoria intuitiva degli insiemi, p. di comprensione, regola che afferma che ad ogni proprietà corrisponde l’insieme formato da tutti e soli gli elementi che godono di quella proprietà; in teoria elementare dei numeri, p. di permanenza delle proprietà formali (v. permanenza), in cui il termine esprime essenzialmente un’esigenza che va tenuta presente quando si estende l’insieme dei numeri, ma che non ha comunque valore tassativo.

3.d. Il termine ricorre inoltre in locuz. proprie di varie scienze e discipline (per es., in filosofia, p. di individuazione; in logica, p. di contraddizione, p. di identità, p. del terzo escluso; in diritto, p. della irretroattività delle norme; in economia, p. economico o edonistico; nel linguaggio politico, p. d’autorità), per la maggior parte delle quali si veda quanto è detto sotto il lemma corrispondente alla seconda parola della locuzione. In psicanalisi, p. del piacere e p. di realtà, i due principî che regolano l’attività mentale, e che si manifestano nella ricerca della soddisfazione istintuale e di evitare il dispiacere, e, rispettivam., nella regolazione dei proprî desiderî in base alle condizioni poste dalla realtà esterna.

4.a. Norma morale, valore etico che costituisce la guida, più o meno consapevole, dei proprî atti e orientamenti nella vita, nelle attività, nella condotta pratica: informare il proprio comportamento a principî di equità, di giustizia, di correttezza; p. morali, religiosi; un’educazione fondata su buoni p.; incontrava ogni tanto ministri, tanto diversi d’aspetto e di maniere e d’abito, quanto diverso e opposto era il p. che dava agli uni e agli altri una forza uguale di vivere in tali servizi (Manzoni); tutti i princìpi più sani con i quali era cresciuto, se li stava bevendo come vinello fresco (Marcello Fois). Hanno funzione aggettivale le locuz. di principî, di buoni p., di sani p., riferite a persona che si comporta secondo norme morali concordemente considerate buone e valide (un ragazzo di buoni p., una ragazza di sani p.); al contr., senza p. morali (o assol. senza p.), di chi non riconosce nessuna norma morale come fondamento della propria condotta, quindi disonesto, spregevole (è un uomo senza p.; gente senza principî).

4.b. Con senso più generico, generalm. al sing., modo abituale di agire, di comportarsi: non mi sembra un buon p. quello di non far mai parlare gli altri; è un singolare p., il tuo! Come locuz. avv., per principio, seguendo come usuale e tassativa una determinata norma di comportamento: io, per p., non bevo mai liquori; per p. mi rifiuto di chiedere piaceri a chicchessia.

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In generale il termine principio indica le basi e i presupposti iniziali su cui si basa o poggia una teoria e che assumono, per convenzione o riconosciuto diritto, validità generale ed universale all’interno della teoria stessa; da esso discendono dunque per deduzione o logica conseguenza, ovvero in maniera coerente al principio stesso, tutta una serie di leggi secondarie che caratterizzano la teoria in questione, oppure viceversa tutte le leggi della teoria devono rispettare il principio cardine della stessa per essere inserite all’interno.

In matematica, per esempio in geometria, i principi sono costituiti da concetti “primitivi” autoevidenti, oggetto di definizione, e da assiomi o postulati, che costituiscono le “regole” da cui sono dedotti necessariamente i teoremi. Solo quest’ultimi possono essere dimostrati. Non possono essere dimostrati, invece, i principi, poiché per farlo bisognerebbe dedurli da qualcos’altro, ma, allora, non sarebbero “principi”. Ecco perché si parla di autoevidenza.

Nelle scienze sperimentali in genere un principio è indimostrabile in senso assoluto, ma viene assunto per vero in virtù della molteplicità delle osservazioni che lo verificano e le predizioni che esso, e le leggi da esso derivate, consentono di fare, venendo al contempo meno, ovvero perdendo la sua caratteristica di universalità, in presenza anche di una sola evidenza sperimentale che lo neghi, com’è tipico della scienza e del suo metodo sperimentale.

In altri contesti, come nel diritto e in filosofia, un principio è assunto tale in quanto riconosciuto come legittimamente fondativo o eticamente corretto.

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