Attributo

Glossario – Attributo

 

Etimo secondo TPS

 

Dal latino attributum, participio passato neutro del verbo attribuere, attribuire, assegnare, distribuire, composto dal prefisso ad-, che indica il moto a luogo e la direzione e da tribuo, assegnare, distribuire. Solitamente si ritiene che il verbo all’origine sia connesso all’idea di ripartire per tribù. L’etimo è incerto, anche se alcuni linguisti propongono la radice indoeuropea *TRI-, che esprime l’idea del Tre, considerato nelle Tradizioni un numero sacro: si vedano il sanscrito trayas, il greco treis, il latino tres.

 

Attributo significa qualità distintiva

 

Nel Lambdoma Modello la definizione è: L’Attributo è la qualità di riferimento (4.2)


Treccani

 

attributo s. m. [dal lat. attributum, part. pass. neutro di attribuĕre «attribuire»]. –

1.a. Qualità o elemento che si riconosce come proprio ed essenziale di un oggetto: gli a. virili (s’intendono in genere e soprattutto gli organi genitali); la bellezza era un a. di Venere; scherz., un’attrice abbondantemente dotata dalla natura di tutti gli a. femminili (seno e altre curve bene sviluppati); più specificamente, in filosofia, il carattere, la determinazione proprî di una sostanza (contrapp. ad accidente): l’estensione è un a. della materia.

1.b. Nel cristianesimo, a. divini, le caratteristiche che la speculazione teologica attribuisce per analogia a Dio, sia affermando di lui nel grado più alto concepibile le perfezioni riscontrate nelle creature, sia rimovendo da lui qualsiasi imperfezione.

1.c. Con sign. più prossimo a attribuzione (cioè funzione specifica di spettanza di una persona, di un ufficio), soprattutto al plur.: gli a. del potere sovrano. È un’accezione con cui il termine si trova spesso usato soprattutto in documenti del primo ’800.

1.d. Nella raffigurazione artistica o letteraria, spec. di santi, di figure mitologiche e di cose astratte personificate, l’elemento caratteristico con cui il personaggio o la cosa sono di solito rappresentati: l’aquila era uno degli a. di Giove; le bilance sono l’a. della Giustizia.

2.a. In grammatica, aggettivo che, riferito a un sostantivo, ne determina una qualità.

2.b. In araldica, aggettivo o participio usato a indicare le posizioni, modificazioni, alterazioni e particolarità che distinguono le figure per una esatta, chiara e concisa descrizione dell’arme.

3. Nella logica, ciò che si afferma o si nega del soggetto di un giudizio, sinon. di predicato.
Grammatica. – Secondo l’elemento della proposizione a cui l’attributo si aggiunge, si sogliono distinguere attributi del soggetto, del predicato, di un complemento. A differenza dell’apposizione, l’attributo non regge normalmente altre determinazioni, ma può essere graduato da un avverbio (un abito più vistoso; un compito molto delicato). Per la sua funzione, l’attributo può essere «accessorio», quando la sua mancanza non altererebbe il significato fondamentale della frase (per es.: festeggiare il santo Natale), o «limitativo», quando è indispensabile perché restringe e precisa il significato esteso del sostantivo (per es.: il popolo francese, cioè non qualsiasi popolo ma solo quello francese). L’attributo concorda col sostantivo a cui si riferisce nel genere e nel numero (nelle lingue flessive anche nel caso): un libro giallo; scarpe strette; occhi e capelli castani. Quando i sostantivi siano più d’uno, di genere uguale e tutti singolari, l’attributo può essere sing. o plur.: poesia e arte greca (o greche). Se sono di genere diverso e tutti singolari, l’attributo va al masch. plur. o concorda col sostantivo più vicino: con accento e pronuncia stranieri (o straniera). Prevale il plur. quando i sostantivi sono di numero diverso, e il genere è quello del sostantivo più vicino; ma è sempre masch. plur. se riferito a persone: un signore e una signora vestiti bene. Quando l’attributo precede, concorda col nome più vicino: le più belle riviste e giornali. Quanto alla collocazione, l’attributo può precedere o seguire il sostantivo. Di solito precede quando esprime una qualità connaturata e costante (per es.: l’argentea luna, il biondo Tevere), o ha valore rafforzativo (fu un vero insuccesso, è un grande imbecille); segue quando limita il significato del sostantivo ed è perciò indispensabile (la lingua latina, le industrie metallurgiche, un naso regolare). Talora può avere anche posizione incidentale: il ragazzo, felice, mi ringraziò; o può trovarsi a qualche distanza dal sostantivo: la giacca ch’egli indossava, scura e attillata, aveva almeno vent’anni. All’infuori di questi casi, la collocazione dell’attributo è libera e determinata da ragioni stilistiche o di euritmia. Talora, la differente posizione può variare il significato della frase: un buon uomo, diverso da un uomo buono. Se gli attributi sono più d’uno, possono anche essere disgiunti: aveva una lunga barba bianca.

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Attributo (filosofia)

 

Per attributo in filosofia s’intende genericamente la qualità che viene riferita a un ente. In particolare nella Logica è ciò che si afferma o si nega del soggetto di un giudizio dove l’attributo coincide con il predicato.

 

Storia del concetto

Filosofia antica

Nella metafisica aristotelica l’attributo assegna una caratteristica essenziale ad una sostanza e quindi si oppone al termine accidente che esprime una qualità che può esserci o non esserci.

Nel neoplatonismo e nella scolastica medievale gli attributi sono il tentativo del limitato intelletto umano di esprimere con nomi le infinite qualità di Dio: onniscienza, onnipotenza ecc.

Porfirio (233/234–305) parla di attributi dialettici intendendo i cinque universali che caratterizzano gli enti: il genere, la specie, la differenza specifica, la proprietà e l’accidente.

Filosofia moderna

Cartesio intende per attributi le caratteristiche fondamentali delle sostanze infinite:

«Allorché io penso più genericamente che questi modi o qualità sono nella sostanza, senza considerarli diversamente che come delle dipendenze di tale sostanza, li chiamo attributi»

Spinoza

Per Spinoza quando definiamo Dio cerchiamo di precisarlo nei suoi attributi cioè «ciò che l’intelletto percepisce della sostanza come costituente l’essenza di essa»

Spinoza afferma che questi attributi di Dio non possiamo limitarli ad una certa categoria, a lui dovremo riferire tutti gli attributi possibili ed immaginabili e ciascuno di questi attributi è infinito e perfetto nel suo genere come Dio: e ciascuno è eterno come Dio, perché gli attributi sono Dio stesso.

Gli attributi infatti non sono un nostro modo di concepire Dio o la sostanza perché gli attributi sono la reale espressione di Dio («Dio o tutti gli attributi di Dio»), cioè anche se noi non concepissimo questi attributi, Lui li avrebbe ugualmente perché la sostanza esiste indipendentemente da me che la penso.

Ma tutti gli attributi che noi possiamo immaginare di Dio si riducono sostanzialmente a due, gli unici che noi riusciamo effettivamente a conoscere: pensiero ed estensione (la res cogitans e la res extensa di Cartesio) ma, a differenza di Cartesio che li intende come sostanze, questi per Spinoza sono due attributi di Dio, due forme con cui l’unica sostanza divina si manifesta a noi come il complesso di tutti i fenomeni naturali, cioè tutte le cose che riguardano la materia e il complesso di tutti i fenomeni non materiali, di tutte le cose che riguardano il pensiero.

Quindi tutte le cose materiali derivano dall’attributo dell’estensione e tutte le cose non materiali derivano dall’attributo del pensiero o meglio, come dice Spinoza le cose e le idee sono rispettivamente i modi di essere dell’attributo estensione e i modi di essere dell’attributo pensiero.

Dio e i suoi attributi

C’è perfetta identità tra Dio e i suoi attributi. Infatti quando pensiamo il pensiero e l’estensione lo concepiamo in sé e per sé, intuitivamente, in maniera diretta e non mediata da altri concetti, come facciamo per la concezione della sostanza. Così mentre l’estensione si concepisce in sé e per sé, invece ad esempio il movimento, lo si può concepire solo facendo riferimento a qualcosa che ha in sé l’estensione, quindi il movimento è un modo dell’estensione.

Così se penso un’idea la potrò pensare solo facendo riferimento al pensiero, quindi quell’idea sarà un modo del pensiero.

Dio o tutti gli attributi di Dio, ma Dio è Causa di sé, è l’esistenza, mentre l’attributo non è causa di sé, anche se partecipa all’essenza della sostanza: Dio è l’esistere senza il quale ci sarebbe l’inesistente, per cui l’attributo ha motivo di esistere perché l’esistenza stessa di Dio è, e quindi permette l’esistenza dei suoi attributi, Egli è causa dei suoi attributi.

Dio è l’esistenza che prova l’inesistenza del nulla, Egli semplicemente è e consente l’esistenza degli attributi che concorrono a formare la sua essenza, essi sono causati dalla “causa sui”, l’essenza degli attributi è l’esistenza, gli attributi sono l’essenza della sostanza che di per sé è indipendente dagli attributi poiché, nel caso che non ravvisassimo l’autonomia della causa sui, anche gli attributi sarebbero delle sostanze, il che è assurdo.

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