(Per la 1^ parte vedi relativo articolo).
IL SUONO COME VALORE
Quando parliamo del suono come fenomeno originario, intendiamo dunque quella sintesi di un aspetto materiale, esprimibile mediante il numero, e di un aspetto psichico, manifesto mediante il valore, udibile del suono corrispondente. Per studiare questi due aspetti separatamente, chiamiamo la prima componente, materiale, “suono come numero” o semplicemente numero; e la seconda, psichica, “suono come valore”, o semplicemente suono.
In che modo si percepisce il suono come valore? E in quale rapporto sta con il numero?
Alla vista d’un colore subito lo riconosciamo per rosso, o verde, ecc. Ascoltiamo un suono e subito lo classifichiamo in base alla sua altezza, o profondità; chi ha un udito esercitato (l’”udito assoluto”) ne accerta immediatamente la connotazione musicale: do, re, mi, ecc.
Per via indiretta si sanno misurare anche la lunghezza d’onda del colore e la frequenza acustica del suono. E qui si noti l’espressione: per via indiretta; vedendo un colore, o udendo un suono, siamo senz’altro in grado di riconoscerne le frequenze corrispondenti; al contrario, i metodi di misurazione fisici sono alquanto complessi, e sono indiretti.
Procediamo di un passo, e osserviamo due colori: un rosso e un azzurro, per esempio, e cerchiamo il rapporto. Questo è già un giudizio estetico: questo rosso sembra adattarsi a quell’azzurro, o no. Ma non si può parlare di un ordinamento oggettivo fra colori diversi, nel senso di una “esattezza”; né di determinarne in modo diretto le rispettive lunghezze d’onda, che si possono conoscere solo tramite misurazioni, e quindi per via indiretta.
Ora, tutto è diverso se si tratta di due suoni, ad esempio in rapporto di quinta (do – sol)! In effetti siamo subito in grado di giudicare se essi si “accordano” o no; strumenti musicali si accordano in sé e fra di essi solo proprio per questa facoltà dell’udito. In secondo luogo – ed è cosa decisiva – con questa percezione “a priori” dell’accordanza si stabilisce una precisa proporzione numerica (2/3 o 1/3 nel caso dell’esempio).
L’udito si distingue nettamente dagli altri organi sensoriali appunto per questo subitaneo giudizio di rapporto numerico.
Bisogna vedere in questa singolare facoltà della percezione acustica qualcosa di mirabile, di straordinario, che consente di passare direttamente da una sensazione psichica a un rapporto numerico, o se si vuole a un numero, il che è lo stesso.
Il fatto che nella percezione acustica insorga il numero, la trasforma, sì che essa non è più solo un sensazione, né un mero giudizio estetico, ma un valore. Su questa base si può parlare di suono come valore.
In questi paragrafi, il termine Valore è usato in modo ben definito. Al contrario che in religione, in filosofia e in estetica, dove è usato in senso vago, nel concetto armonico di valore confluiscono le idee di “accordo”, “giustezza”, certezza”; e vi è insita una peculiarità psichica.
Udito assoluto
Per “udito assoluto” intendiamo la facoltà di individuare o riconoscere, di primo acchito, i vari suoni musicali, o, viceversa, di emettere una nota nella sua giusta altezza.
Se questa dote è preziosa per un musicista, non è da prendersi come prova di effettiva “musicalità”, poiché molti lo possiedono che non lo sono affatto.
Per gli studi e le verifiche a mezzo del monocordo(1), questa facoltà può essere d’ostacolo, perché induce a valutare secondo la scala musicale attualmente usata, che è transitoria. Nell’Armonica si considerano rapporti sonori esatti e puri, e distinzioni più sottili di quelle conosciute dalla musica temperata odierna. Chi dispone di questa facoltà farà bene ad accordare il monocordo su un suono che sia intermedio fra due suoni temperati, e badare solo agli intervalli, per disabituarsi alle note della scala temperata.
Validità generale degli intervalli primari.
Intervallo significa spazio intermedio, in musica spazio fra due suoni. Intervalli primari sono l’ottava e la quinta. Secondari la terza, il tono e il semitono; terziari gli altri, sempre più ristretti.
Ciò vale solo per la sequenza del criterio di purezza della percezione acustica. La gerarchia degli intervalli è diversa se li si considera nel loro significato intrinseco. Si identifica con quella precedente nello sviluppo delle coordinate tonali (T); ma se si parte dalla “misura” del musicista compositore, allora il tono dev’essere interpretato come il metro di ogni cosa. Se invece si cerca di chiarire il significato psichico dello Spazio-Tempo, l’intervallo che predomina è la terza.
Per ciò che si attiene agli intervalli di ottava e quinta, essi sono e sono stati riconosciuti da tutti i popoli, il che ne comprova la validità generale.
Presso i diversi popoli, i gradi della scala musicale sono stati sensibilmente diversi; sempre però si è stati concordi nell’usare l’ottava come telaio, da suddividere nei gradi intermedi. Le scale musicali sono diverse, secondo lo sviluppo musicale dei vari popoli; ma tutte hanno in comune la percezione che i suoni si ripetono per ottave.
Anche la quinta è universalmente riconosciuta: “L’affinità della quinta, e della sua inversa, la quarta, con la tonica, è tanto grande che è evidente in tutti i sistemi musicali che si conoscono.” (Helmholtz).
Le basi dell’odierno sistema di suoni sono l’ottava e la quinta, o più precisamente i rapporti di ottava e quinta; infatti si può sviluppare un sistema diatonico completo servendosi solo dei numeri 2 e 3.
Per l’Armonica è lo stesso: ottava e quinta sono gli intervalli primari, ed è quindi necessario accentuarne fin dall’inizio la validità generale, poiché senza di essi l’intero edificio dell’Armonica poserebbe su sostegni malfermi.
Notazione Musicale
La connotazione seguita dai paesi latini è diversa da quella in uso presso i tedeschi. La corrispondenza dei nomi e delle lettere per i suoni e i semitoni risulta la seguente:
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Considerazioni Ektipiche
Su suono e numero è indispensabile riflettere a lungo e intensamente. Sono due aspetti di una stessa realtà che rimane celata. A tutta prima non sembrano una coppia di opposti, almeno non nel senso “orizzontale” del termine, non come complementari. Appaiono come due entità o due espressioni fra le quali esiste una gerarchia verticale, come anima e corpo, e tale che, per manifestarsi, non possono stare disgiunte. Qualsiasi numero è esprimibile a mezzo di un rapporto, e quindi di un suono. Qualsiasi suono a sua volta è individuabile a mezzo di un numero. Non ci sono numeri senza suono, né suoni senza numero.
Vero è che un suono può scendere oltre certe sfere, dopo le quali resta immanifesto o non percepito; ma per nascere e manifestarsi gli occorre un numero. Cosi, già all’origine, suono e numero sono gemelli e opposti.
Da queste prime, un po’ incerte considerazioni se ne trae che suono e numero siano coppia di opposti, e quindi aspetti manifesti di una realtà sintetica occulta; e come trattenersi dal prenderli a simbolo del rapporto spirito-materia? Saliti a ciò, non sembra errato insistere sul valore universale dell’Armonica, ma esteso a qualsiasi vibrazione di qualsiasi genere, come già affermato in precedenza.
Alcune considerazione esposte da Hans Kaiser in questo paragrafo del suo Trattato tendono a una netta distinzione fra l’udito e gli altri sensi, la vista in particolare.
Suono e colore vi sono contrapposti per far notare l’eccellenza dell’udito – vero organo di misura e di relazione. Così è certamente nella sfera delle percezioni sensoriali e in questo momento del divenire umano. La precisione con la quale un semplice atto auditivo permette di giudicare un rapporto è davvero mirabile; inoltre, non è dono di individui o popoli singoli, ma caratteristica generale. Nulla vieta però di pensare che anche la vista, il tatto o l’olfatto possano evolversi o purificarsi fino a essere capaci di una funzione analoga, cioè la “misura” di qualità vibratorie.
Il fatto è che non si riesce a distinguere in modo netto, ad esempio, fra la natura delle vibrazioni luminose e quelle sonore. Non si riesce a individuare esattamente dove si differenziano. Sono vibrazioni, o frequenze, che una sola Energia suscita o manifesta nello Spazio. Ma se ciò è vero e la loro natura fondamentale è identica, devono obbedire alle stesse leggi: e pertanto si devono poter vedere i suoni e udire le luci.
Secondo questa elevazione dell’Armonica, una qualsiasi vibrazione si deve poter udire, ma anche vedere, gustare, toccare, e nulla impedisce di pensare ad altri sensi finora sopiti nell’uomo. Come già si è notato, l’architetto o il pittore che compongono secondo giusti rapporti armonici, cioè di numeri e suoni, sono guidati dalla vista, non dall’udito. A meno di riservare al termine “udito” il significato generale di “misura” (il che probabilmente, e per questi giorni, è la cosa migliore) l’usuale intendimento sembra escludere dal campo dell’armonica tutto ciò che non è suono; e cioè limitare inutilmente un universale.
Per denotare il campo dell’Armonica, il concetto “numero più valore” sembra dunque ancora l’espressione più valida, perché più generale.
In tutto questo Trattato, come naturale, suono e numero hanno preminenza; ma ciò porta a distinzioni che si devono evitare, se si vuole studiare l’Armonia vivente dello Spazio.
L’Essere infinito e venerato che qui chiamiamo Spazio non può essere considerato complementare del tempo, come, si vedrà, è in tutta l’opera di H.K. Il tempo non sussiste che nelle sfere materiali e nelle concezioni mentali odierne dell’uomo; “in alto” non esiste tempo. Ma lo Spazio sì! Anzi, più si sale nella comprensione, più esso rivela caratteristiche inclusive, nuove e divine. Ciò che cede e cade via non è lo Spazio, ma la “distanza”, concetto illusorio, attributo fittizio. Ed è proprio l’Armonica, con le sue leggi, che di per sé scavalca e distrugge questo falso intendimento. Essa infatti presenta e studia livelli diversi di rapporti che sono numeri puri, depurati da qualsiasi dimensione: e in ciò sta la sua validità generale. L’azione dell’Armonia è potente in quanto annulla gravissime illusioni, e consente di intuire e concepire lo Spazio come Entità capace di infiniti rapporti puri: nella quale la scienza, anziché essere isolata, comunica con il tutto.
Il tempo dunque non è da intendersi come complemento dello Spazio; è invece più giustamente, il complemento inevitabile dell’idea di distanza. Se si ammette una separazione fra due punti dello Spazio, si inventano il tempo, il divenire e il concetto di “finito”. Ora pensiamo che lo Spazio reale è indipendente da questi e altri errori, ma li contiene in sé come contiene ogni cosa, ogni pensiero, ogni vita!
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L’Armonia vivente, e il suo studio pratico, sono supremamente importanti, sono indispensabili perché dispellono nella coscienza l’illusione del tempo e della distanza.
Questo aspetto, frutto, o azione della concordanza è di natura luminosa, senza dubbio è celeste. Senza dubbio è ciò che gli uomini d’ogni tempo hanno cercato e ricavato da essa, quando hanno ritrovato l’idea di relazione universale.
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IL SUONO COME NUMERO
Facciamo ora due esperimenti sul monocordo. Se abbiamo riflettuto intensamente a quanto contenuto nei due paragrafi precedenti, li possiamo comprendere bene. Essi si equivalgono per effetto e strumentalità, ma procedono da premesse diverse.
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Primo esperimento
Ci proponiamo di udire un intervallo di ottava. Posto un ponte in un luogo qualsiasi sotto la corda, la facciamo vibrare a destra e sinistra e spostiamo il ponte finché udiamo lo stesso suono da un lato e dall’altro; esso è appunto l’ottava superiore di quello a corda libera, o di un’altra qualsiasi accordata con essa. Misuriamo ora la lunghezza dei due segmenti di corda. Se abbiamo udito bene, cioè se abbiamo ben bilanciato i due suoni, i segmenti rispettivi sono uguali, e quindi pari ciascuno alla metà (1/2) della corda intera. Dunque il suono udito – l’ottava superiore – sta al suono di base come 1/2:1 (C’: C).
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Secondo esperimento
Cerchiamo il suono che si produce quando dimezziamo la corda libera, sì che il rapporto delle lunghezze sia come 1 : 1/2. Dividiamo la corda con il ponte in due segmenti uguali, e ascoltiamo i suoni di entrambi. Sono due ottave, uguali, superiori, della tonica (= suono a corda libera). Si giunge allo stesso effetto dell’esperimento precedente.
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Osservazioni
Per comprendere con chiarezza il principio dell’Armonia è indispensabile rendersi conto del senso e del fatto di questi due diversi esperimenti. La prima volta siamo passati dal suono al numero, la seconda dal numero al suono.
Con il primo esperimento, provato un rapporto di valori, l’abbiamo fissato, mediante una misura, in un numero. Con il secondo, dopo aver stabilito un rapporto numerico semplice, l’abbiamo trasformato, a mezzo di una corda vibrante, in un valore sperimentale.
Chi, riflettendo, riesce a scorgere la differenza fondamentale, immensa, fra:
– valutare la materia (un rapporto di lunghezza) in base a una propria sensazione e darle forma numerica (primo esperimento),
e:
– veder sorgere all’istante, nella propria sensazione, una figura o forma psichica (l’ottava) capace di vivere (secondo esperimento)
comprende il significato del principio d’Armonia come sintesi nuova e promettente fra valore ed essere, anima e mondo, io e natura.
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Sul concetto di suono come numero.
Il numero armonico è ben diverso da quello aritmetico. Il 5, ad esempio, non è la successione uniforme di cinque unità, ma aggiunge ai numeri precedenti un valore completamente nuovo, prima inesistente, e precisamente l’intervallo di terza.
Si può obiettare che anche in matematica ogni numero ha una configurazione sua propria ed è quindi nuovo rispetto agli altri. Ma il 6 matematico è, rispetto al 5, qualcosa di nuovo, certo, ma è sempre nient’altro che il 5 sommato all’unità.
Anche in armonica il suono 6 G, rispetto al 5 E, è solo l’aggiunta ulteriore di una unità di frequenza – ma solo nella sua componente materiale. Come valore, 6 G, rispetto a 5 E, è una terza minore e 5 E, rispetto a 4 C, è una terza maggiore.
Ecco chiarissimo il fatto che in Armonica quel che conta è il valore ed è appunto ciò che nettamente la distingue dalla matematica.
Considerazioni Ektipiche
Il primo esperimento sul monocordo, che va dal valore al numero, segue la direzione che dall’universale scende al particolare, dall’Idea alle sue forme, dall’alto al basso. Così procedono gli atti creativi nel Cosmo, massimi e minimi.
Corrisponde, fra le azioni umane, allo scrivere, cioè a notare l’idea con segni esteriori visibili. Si dice che la Creazione sia un Libro.
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L’altro esperimento risale dal numero al valore. Corrisponde alla lettura. Il “lettore” risale dal segno al concetto vivente, comunica con esso perché ne invade lo spazio, e lo trasferisce, indenne, con altri segni, ad altre coscienze.
Quale di questi esperimenti sia più importante non si può dire. Leggere o scrivere? Sono rami di un solo tronco, per il quale non abbiamo nome, né esperimento: ed è tale che, se lo nominassimo, non sarebbe ciò che diciamo.
Quando si legge (e con ciò dunque s’intende il moto dal numero al valore) la figura o il segno, tramite i sensi, penetra in qualche modo in noi dove deposita o travasa le energie che contiene – senza per questo esaurirsi. La qualità di queste energie varia da quelle proprie del caos a quelle che sono figlie dell’Ordine. Per rappresentare il Caos si può forse scrivere una forma equilibrata o regolare? Nessuna forma, a rigore, si addice al Caos; poiché anche la più sconvolgente per disordine ha pur sempre un germe di equilibrio. Così nessuna si addice a rappresentare l’Ordine perfetto e primordiale, poiché ciascuna, per quanto luminosa, ha pur sempre un germe imperfetto. Ma gli uomini devono usare forme contenute fra questi estremi dell’Infinito; e quindi giustamente riservano le regolari alla Luce e le irregolari alle Tenebre. Ma da questi due esperimenti al monocordo – e da altri innumerevoli e diversi – si ricava che le forme, quando s’insinuano nell’uomo attraverso i sensi, gli comunicano energia e questa è qualificata secondo le virtù di quelle.
E’ dunque educativo circondarsi di oggetti quanto più perfetti di forma: poiché l’armonia dei loro rapporti esterni è armonia dei valori interni, e ciò s’imprime nella psiche con vantaggio. Ma tutto ciò che si dice della forma si dice dello Spazio, senza il quale essa non esiste; e una forma, a ben vedere, non è che Spazio variamente esaltato e qualificato: cioè di varia tensione di Fuoco. Così è invitabile vivere, come ciascuno, nello Spazio; ma è saggio qualificarlo in modo da accentuare l’ordine, non solo geometrico, sì che il Fuoco lo fecondi. E’ inevitabile vivere oscillando, ma è saggio studiarsi di commensurare queste vibrazioni ai ritmi grandi e semplici del cosmo.
Tutti vedono il sole salire e scendere; ma pochi lo accettano come una danza, con eque misure di tempo e di spazio. Tutti sanno che la direzione del Nord è diversa dal Sud. Ma pochi guardano con sapienza alla stella polare, solo punto immobile del cielo. Nessuno nega che si vive nello Spazio; ma pochi lo riconoscono come Madre onnipresente. Quindi l’armonia vive in pochi; l’uomo terrestre trascura il suo compito, e condanna sé e il suo pianeta. Legge solo forme brute e sconnesse dal Tutto, cioè brutte; e non può esternare che forme analoghe e corrosive. Non trasmuta. Non sale che a precisioni meccaniche. Leggere la natura, leggere il cielo o le forme armoniose create da altri non sono cose per l’uomo odierno, che si è scelto un destino diverso.
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Il vero Armonico contrasta questa tendenza, che spegne il Fuoco dello Spazio. “Legge” e “scrive” secondo misure esatte, e si studia di proporzionare tutto e sempre. Intende la Terra come forma cosmica che deve rispecchiare il suo cielo nel suo Spazio, per accendervi qualità superiori.
E quest’opera umana dev’essere a poco a poco precisata nella nostra mente, con lavoro incessante. Una nuova figura di uomo deve nascere. Lo Spazio la concepisce, come Madre, se il fuoco umano la feconda. Molto si è già fatto in antico; grandi menti hanno collaborato a questa creazione. Ma ora sta per nascere la Nuova Razza, che saprà collegare Cielo e Terra, com’è dovere e funzione dell’Uomo.
Questi è a buon diritto un essere cosmico, e dunque non può mancargli un destino cosmico. Ma l’Armonia è legge nell’Universo; e l’uomo non può ignorarla senza annientare se stesso. Con pensieri e azioni semplici e potenti l’uomo inculca in sé e nel suo spazio una ragione di armonia. Altrimenti, studiare non vale: si aggiunge alle molte dottrine sterili solo un’altra accademia. Limitarsi a misurare rapporti, senza ascoltarne i suoni; controllare la superficie delle forme senza studiarsi di accoglierne il contenuto energetico; intendere l’armonia come esercitazione estetica, e ignorarne la virtù magica e costruttiva sua propria, sono qualità che distinguono i periodi di decadenza, grandi o modesti. Ora, per quanto siano disastrose e caotiche le condizioni attuali, questo si può dire: che non è più tempo di decadenza. La caduta (e quale!) è già avvenuta. Questo è tempo di risalita. Occorre dunque ascoltare suoni nell’intimo; aprirsi all’armonia vivente, come a una grazia divina; usarne la magia possente con amore e scienza.
Lo studio di questo Trattato o tende a ciò, o è inutile. Se non si riconosce che l’Armonia distrugge il Caos e che una forma armonica è in questo senso prodigiosamente terapeutica, a che serve proporzionare? Se si teme di introdurre l’Infinito nella vita, non ci si accosti all’Armonia, che lo scopre in ogni dove.
Chi seriamente si applica, in senso Pitagorico, all’Armonia, impara dunque a leggere e a scrivere. Queste due operazioni, con tutto ciò che implicano, lo conducono fuori dalla sua prigione.
(Estratti da “Armonica”, 1980, testo inedito di Enzio Savoini – le immagini sono a cura della redazione TPS).
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