Desideriamo inaugurare questo nuovo ciclo di etimosofia rivolgendo il pensiero a quello più ampio in cui esso si sviluppa, e cioè al progetto complessivo di pubblicazione di TPS, che segue il ritmo dei pianeti del Sistema solare eliocentrico: saranno dunque realizzati quattro articoli, che vedranno la luce al momento delle corrispondenti congiunzioni fra Mercurio e Nettuno – di cui la prima si accende oggi – per le ragioni indicate nel testo “Ritualità solare per l’anno 2014”, p. 8, nella sezione Documenti.
In capo a qualsiasi altra considerazione, rivolgiamo l’invito, aperto a tutti coloro che sono interessati, a porre domande o a condividere riflessioni sul linguaggio in qualunque momento lo desiderino, poiché i commenti alimenteranno il “laboratorio” della parola, che è sempre in fermento.
La consonanza tra ritmi celesti e umani ci porta direttamente nel cuore dell’essenza della sacralità.
Esploriamo questa parola: “sacro” deriva dal latino sacer, la cui matrice indeuropea è in realtà da definire: per la maggior parte dei linguisti, vi si può individuare la radice *SAC-/*SAG-, che esprime l’idea di aderire, essere avvinti al divino; per altri, l’etimo di base è lo stesso del sanscrito sac-ate, seguire la divinità; da F. Rendich, infine, è proposta la radice “yaj”, che suggerisce il concetto di “avanzare dritto in avanti in segno di offerta”, “dirigersi verso il cielo” (Dizionario etimologico comparato delle lingue classiche indoeuropee, Roma 2010, Palombi Editore, p. 322).
Al di là della definizione della radice, emerge in modo chiaro che, qualunque essa sia fra le tre indicate, l’essenza del sacro è il collegamento con il Cielo.
Sentiamo risuonare in noi queste parole: “Sacro” è parola ormai desueta. Il sacrilegio ha sostituito il sacro. Molte sono le possibili applicazioni del “sacro” in Terra, ma gli uomini hanno espulso la più bella. Quando il pensiero prese ad allontanarsi dalla sacra meta dell’Essere, il vero significato di Essere si disfece. La concordanza suprema è un sacramento dello spirito. L’unione sacra è la fondazione dell’Essere […]”. (da Infinito I § 95, Collana Agni Yoga).
Anche il termine “sacrificio” significa letteralmente “compiere un atto sacro, rendere sacro”, dal latino sacrum facere: non “sottoporsi a una privazione”, bensì “aprirsi al possente contatto con il divino”, relazione che rende creativi e vitali ogni pensiero, parola e atto.
Alimentare quest’idea di sacralità ci fa sentire immersi in un grande dialogo cosmico, in uno scambio tra Fuochi: si noti che favilla e favella hanno la stesso radice, *BHA, che esprime l’idea di splendore! Ci ispira anche a ricercare il contatto con il Principio superiore che è in noi, ad ascoltare quella voce intima che può assumere infiniti nomi – Angelo solare, daimon, ecc. – ma che è il nume interiore: l’etimo di “nome” e di “nume” è lo stesso, ad esprimere l’Essenza invisibile.
Il termine sanscrito mantra è composto da man – pensiero – e da tra – strumento – ad indicare quel principio mentale che, in rapporto con un Principio superiore, poiché la radice *MA- indica l’idea di relazione, esprime la parola quale vettore del divino e facoltà che designa l’Uomo.
Viene in mente l’epitaffio di Kant: « Due cose hanno soddisfatto la mia mente con nuova e crescente ammirazione e soggezione e hanno occupato persistentemente il mio pensiero: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me ».