Sullo scorcio del primo anno in cui abbiamo dato vita all’etimosofia, suona giusto cimentarsi in una sintesi degli impulsi trasmessi e lanciare uno sguardo al futuro, cogliendo il momento propizio del mese di Sagittarius, nel quale scagliamo la freccia (latino sagitta, con lo stesso etimo di “saggezza”) che ci unisce a una nuova meta.
Quest’anno abbiamo cercato di riconoscere il nucleo di fuoco che palpita nel cuore delle parole. Usiamo questo verbo nel senso originario: re (di nuovo)-cognoscere (conoscere), ove la radice *GNA- è la stessa del termine NOME (da *gnomen).
Riconoscere, dunque, significa dare di nuovo il nome, porgere orecchio a quel suono originario che ci consente di esprimere termini abusati come se fossero nuovi di zecca, restituendo vibrazione e significato alla parola e più profonda consapevolezza al pensiero contenuto.
Abbiamo incontrato due radici-pilastro delle lingue indoeuropee, quasi equiparabili alla doppia elica del DNA degli organismi viventi:
- *AR-/*OR-/*UR- secondo alcuni linguisti variante dell’originaria consonante “R”, che esprime l’idea del “moto per unire”. L’abbiamo sentita risuonare, nella forma equivalente “Al”, nel verso iniziale del “Cantico delle Creature”: “Altissimu, onnipotente, bon Signore …”. E’ un suono che ci richiama a guardare sempre verso l’Origine, verso l’Alto. Anche il cuore della parola “gerarchia” custodisce questa gemma;
- *MA-/*ME-/*MAN-/*MEDH- secondo alcuni linguisti variante dell’originaria consonante “M”, che esprime l’idea di rapporto, di misura: “madre”, man (uomo, in inglese), medicina, modello, mente, matematica, musa, materia, hanno questa stessa origine ed evocano l’idea primaria di relazione tra i mondi, di modalità di rapporto proporzionale e dell’Uomo quale ponte tra Cielo e Terra.
Pensando ora al futuro, accosteremo al percorso di ricerca già sperimentato quest’anno, quello di esplorazione della potenza creativa del nome e del suono, che è stata posta da molte Tradizioni all’origine della Vita.
Porgendo orecchio alla sacralità della Parola, compiremo insieme un pezzo di strada che possiamo sintetizzare così: dalla parola alla parabola al simbolo.
“Parola” non è altro che la contrazione di “parabola”, dal latino parabola, a sua volta traslato dal greco parabolé, similitudine, composto dalla preposizione parà, presso, e dal verbo ballo, lanciare, dalla radice greca BAL: esemplificazione di un argomento tramite il confronto con uno più prossimo. Dunque la parola esprime forza dinamica, è un vero e proprio lancio, derivato da quella “parabola” che ci trasporta d’un balzo in un mondo immaginifico illuminato da allegorie.
Cercheremo di compiere insieme un altro balzo ancora, disponibili ad accogliere la magia unificatrice del “simbolo”, la Fiamma unificatrice, dal greco symbolon, composto da syn, insieme, e dal verbo ballo, lanciare, dalla stessa radice BAL di parabola. Franco Rendich – nel Dizionario etimologico comparato delle lingue classiche indoeuropee, Roma 2010, Palombi Editore, pp. 61, 71 – ipotizza che in greco, ad un certo stadio di sviluppo della lingua, la consonante indoeuropea “G”, che esprimeva il moto tortuoso del lampo – la stessa di Agni, il dio del fuoco – passasse a “B”: “Bal” da “Gal”, lanciare.
Riconosciamo così, non più soltanto in senso allegorico, il lampo che guizza nell’essenza della Parola, assimilabile al Simbolo nel nucleo di fuoco che esprime, nel momento in cui è vissuta quale vettore del Sacro, potenza creativa di unione che nasce dall’attesa, dal silenzio e dall’ascolto. Il pensiero vola a una delle pagine neotestamentarie più affascinanti, ove si narra del dono pentecostale fatto agli apostoli, coronati da una fiamma: la capacità di parlare una lingua comprensibile per tutte le genti.
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