La lingua comune e il sorriso

Risuona oggi nella comunità solare l’incontro fra Mercurio e Nettuno, che ci spinge a esprimerci sull’energia della Parola. Nel momento che prelude all’equinozio d’autunno, stagione in cui si colgono i frutti del lavoro, nasce spontanea una domanda: in questo anno dedicato all’Istituto del Cuore, a che punto siamo nel processo di riconoscimento di una lingua comune?

Naturalmente non intendiamo qui una sorta di nuovo Esperanto, bensì quell’insieme di principi, connessioni, suoni, immagini, leggi, ideali, simboli, che il cuore riconosce come Lingua Madre di tutti coloro che si sentono operai dell’Officina del Pensiero, mossi dall’aspirazione a ricondurre ogni espressione separativa all’unità essenziale. La risposta deve essere singola e insieme corale, per alimentare e rinsaldare la reciproca comprensione, ed è inoltre in continua evoluzione: pertanto offriamo qui solo alcuni spunti.

Il maestro e il giovane allievo Giovanni_Agostino_da_LodiNella Collezione Agni Yoga, Cuore, § 504 è detto: […] L’Insegnamento del Cuore rivela le Cause. In antico lo si iniziava ponendosi le mani sul cuore. Allora il Maestro interrogava “Senti?”, “Sì”, rispondeva l’allievo. “È il battito del cuore, ma è solo il primo colpo al Portone del grande Cuore. Se non badi a questo, quel grande battito ti stordirà”. Così si impartiva il Comando, con parole semplici:

così la via dell’Infinito passava per la conoscenza di sé.

Il fondamento della lingua comune è dunque il ricordo di sé, che apre la porta all’intuizione dei Principi causali del cosmo.

Il legante fra questi elementi, lo spirito vitale che amalgama la comunicazione, è l’intento fraterno: se non lo si attua, non esiste scambio reale e armonico di idee, informazioni ed esperienze, in qualsiasi livello della manifestazione, e in modo evidente in quello umano. Se una delle testimonianze più riconosciute di questo afflato è il Cantico delle Creature di Francesco d’Assisi, è pur vero che ciascuno di noi può rinvenirne traccia segreta ma potente nel suo quotidiano, quale cartina di tornasole delle comunicazioni dettate dal cuore. È interessante notare che l’etimo di “fratello” è la radice indoeuropea *BHRĀTṚ-, composta dal suono TṚ, “colui”, e da BHRĀ, “che sorregge” (F. Rendich, Dizionario etimologico comparato delle lingue classiche indoeuropee, Palombi Editori, 2010, p. 278).

Nello scorso articolo abbiamo ricordato alcuni dei termini più usuali nel cui nucleo è custodito il suono della parola ‘cuore’ e il suo etimo indoeuropeo *KERD-, il quale esprime l’idea della vibrazione. Ne aggiungiamo ora uno solo, “misericordia”, il che richiede una dose di pazienza, visto che è molto citato, ma è pur vero che la sua essenza è talmente intensa che è importante, quest’anno, sentirne il profumo. Inoltre, la sua radice più intima ci offre un sorriso!

016 mani che si sfiorano e sostengonoIl termine deriva dal latino misericordia, che si forma dall’aggettivo miserĭcors, composto da miser, misero, e da cor, cuore. Degno di nota è l’osservare che originariamente l’aggettivo indicava sia colui che prova compassione, sia colui che la desta. Miser deriva dalla radice indoeuropea *MI-, che esprime l’idea del “meno”, per cui letteralmente è misericordioso “colui che vibra con chi è da meno”: si mette in rilievo non tanto la situazione quanto il processo dinamico del rapporto.

Il linguista Rendich ci propone la tesi che il suono mi- esprima l’idea di “erigere [i] un limite [m], fissare”: “[…] Nel giorno del Terminalia (23 febbraio) […] i latini celebravano un rito durante il quale i padroni di due terreni contigui incontravano Terminus, il dio dei confini, garante della pace e della concordia tra i vicini.” (Op. cit., pp. 300-301). Derivano dallo stesso etimo il sanscrito mit, pilastro, maitra, amichevole; il greco milion, miglio (segnato da cippi); il latino minor, più piccolo, a-mi-cus, amico, “colui che rispetta i confini”. Si trattava dunque di una festa del vicinato e della vicinanza, nella quale nell’ambito dei rapporti comunitari si celebrava il rispetto dei confini evocando il dio omonimo; si pensi che il Terminus centrale di Roma, il cippo più sacro da dove tutte le strade partivano, era l’antico tesoro del dio sul Campidoglio, intorno al quale sarebbe stato costruito il tempio del padre degli dei, Giove. Colpisce anche che tale tempio avrebbe dovuto avere un’apertura nel soffitto, poiché Terminus, secondo la tradizione, non accettava di essere rinchiuso!

Secondo il linguista, il termine sanscrito smi, che indica l’atto del sorriso, è connesso alla stessa radice, risultando composto dei suoni [s], che esprime l’idea del legame, e [mi], “legame al confine”, “sorridere”: si sarebbero così sancite le relazioni di buon vicinato. La radice smi si ritrova anche nel latino co(s)mis, “che ride insieme” e nell’inglese smile, sorridere (Op. cit., p. 489).

016 sorriso di bimbo

Non possiamo non domandarci, a questo punto: vista la radice di “meno, minore”, qual è quella di “maggiore”? È *MAH-: “espandere [h] il limite [ma/m]”, “rendere grande”. Ne sono testimonianza, significando tutti “grande”, il sanscrito maha, da cui Mahātma, Grande anima – il greco megas e il latino magnus, il cui comparativo è maior e il superlativo è maximus.

Evidenziamo che la M iniziale di minus e di maior, è il suono che esprime insieme il limite e il rapporto, il tramite per il quale, rispettando il primo, ci si può aprire a relazioni sempre più ampie, sia nel processo di espansione della nostra interiorità sia nell’esplorazione del contatto con tutti i Pensieri attivi nello spazio.

016 simbolo della pace

Abbiamo iniziato accennando alla lingua comune: termine e parola sono due modi per indicare i vocaboli. Possiamo ora comprendere meglio che il primo ha un significato più ristretto della seconda, che deriva da “parabola”, ed esprime l’idea di “lanciare oltre”. Dunque, nella lingua comune, rispettando in modo sorridente gli ambiti di intervento e i termini di tutti, abbiamo la possibilità di aprirci a relazioni più ampie e a concetti e vocaboli nuovi.

 

Taggato . Aggiungi ai preferiti : permalink.

Una risposta a La lingua comune e il sorriso

  1. Antonella N. dice:

    Grazie Grazia, come sempre, per condurci così cardiacamente nei luoghi profumati della sacralità della parola.
    Il suono “termine”, analogo a parola, mi fa anche ricordare, come scrivi, il valore di “cippo più sacro da dove tutte le strade” possono partire, quasi che ogni termine, o Forma in senso generale, costituisca in essenza non un limite chiuso, terminale appunto, ma un riferimento, un rintocco, un puntello ed un punto di ‘ripartenza’, un vortice, per la vibrazione del Cuore o della Vita che trascorre incessantemente nello Spazio.

    E l’energia ‘magica’ o ‘magistrale’ del Linguaggio (Mantrikashakti) per la filosofia esoterica tibetana è proprio questo, come si è ricordato altre volte in queste pagine di TPS: l’energia principe attraverso la quale lo spirito dell’Uomo può comporre quel Cantico delle creature che le può governare per puro amore.

    E all’opera soggettiva dell’Istituto del Cuore umano tocca allora di saturare lo Spazio con quei termini o parole d’amore, quei ponti di luce, quegli intenti e silenzi sonori che quali semi di Vita possono coadiuvare l’avanzata evolutiva nell’Unità concorde, e ricucire le smagliature e i buchi causati da ogni tipo di disarmonia o separatività.

    “Ama e fa’ quel che vuoi” (Sant’Agostino).

Lascia un commento