In questa pagina avevamo così definito uno dei cardini su cui poggia la Psicosofia: “Obliare il sé minore, osservandolo con grande attenzione”.
Queste poche parole descrivono un tratto del percorso della coscienza che l’umanità intera, il discepolo planetario, oggi sta sperimentando più o meno consapevolmente e la cui evidenza è l’attuale fiorire delle scuole di psicologia, di conoscenza di sé, di meditazione.
Questa semplice formula, sulla quale rifletteremo ancora in seguito, è una chiave che, se usata consapevolmente, permette all’uomo di cominciare a disidentificarsi dal mondo degli effetti, innalzando il proprio livello di coscienza verso quello delle cause, così da potersi impegnare nella costruzione delle fondamenta di un mondo nuovo.
Si tratta di iniziare a “vedere con gli occhi del cuore ed udire con le orecchie del cuore il fragore del mondo”, ovvero di praticare la divina indifferenza.
“Il termine “divina” contiene un indizio sull’atteggiamento necessario. È diversa dall’indifferenza per noncuranza, non è una sviluppata “evasione” psicologica da quanto non è piacevole; non è segno di presunta superiorità. È lo stato di indifferenza che accetta tutto ciò che è offerto, usa ciò che è utile, impara ciò che può essere appreso, ma senza intralcianti reazioni personali. È l’atteggiamento normale dell’anima, o Sé, verso il non-sé. È la negazione dei pregiudizi, dei più piccoli preconcetti, di ogni tradizione, influenza o ambiente della personalità. È il processo di distacco “dal mondo, dalla carne e dal diavolo” di cui si legge nel Nuovo Testamento.
Coltivare la divina indifferenza è di grande aiuto per dimenticare il sé minore, il quale molte volte (per abitudine) appare di così vaste proporzioni da offuscare il Sé superiore.
La divina indifferenza, una volta afferrata, lascia l’anima libera di servire senza la schiavitù delle reazioni della personalità, che hanno praticamente tutte radice nel mondo delle emozioni. L’anima resta libera, indipendente, imperturbabile, e non è condizionata da ciò che esiste nei tre mondi (fisico, emozionale e mentale). Questa è la vera indifferenza spirituale; isolarsi non significa estraniarsi, e l’indifferenza non implica un atteggiamento di fredda, distaccata separazione.
L’indifferenza è la chiave per la liberazione dal dominio e dalle reazioni della personalità, dall’autocommiserazione, dalle limitazioni fisiche ed emotive. Non ci si deve sbarazzare delle difficoltà, ma semplicemente essere indifferente ad esse, che ci siano o no.
Il Buddha insegnò la divina indifferenza, ma con ciò non intendeva l’ozio, che è letale. L’indifferenza non è un vizio; è la virtù del saggio. Sembra segno d’insensibilità, ed è la perfetta adesione. Pare estranea, ed è segno di compassione sincera. Solo l’indifferente capisce a fondo i problemi altrui e indica soluzioni silenziose, raramente ascoltate e seguite.
La Luce, simbolo dell’Intelligenza attiva, pare indifferente: splende sulle sconfitte come sulle vittorie, sulle morti come sulle nascite, sulle questioni personali come sulle planetarie.
Ciò che è superiore e supremo è fasciato d’indifferenza. I problemi sono sempre e soltanto apparenze. La realtà non conosce problemi. L’indifferenza è l’energia che li risolve.
Il Sole e la Luce, massimi indifferenti, offrono aiuti e soluzioni, come fiori. Su questa base è bene aggiornare il concetto di Luce. Essa non solo rivela e nasconde, ma risolve. Il suo dualismo inerente provoca un ternario. Se la Luce è Intelligenza divina, a che servirebbe se non a risolvere? Essa vede e pone i problemi delle forme e li risolve con l’energia dell’indifferenza, che è Luce pura.
La Luce agisce senza agire. Agire senza agire e divina indifferenza sono sinonimi di Pace. Questa non è inattiva: al contrario, è il motore che supera le difficoltà.
L’indifferente è distaccato, ossia libero, segue il Sentiero e vive come un lume nello Spazio”.
(da scritti inediti di E.S.)