Diamo insieme uno sguardo alle origini della nostra lingua.
E’ un giudice inglese, William Jones, che esercita a Calcutta nella seconda metà del 1700, a scoprire che il sanscrito, non più parlato da secoli, lingua della religione, della poesia, del diritto – non a caso si tratta di un giudice! – ha affinità con il greco, il latino, il gotico, il persiano: ipotizza così una “famiglia” con parentele linguistiche risalenti a una fonte comune scomparsa, che rimanda a una comunità di linguaggio di migliaia di anni fa.
Con questa intuizione il giudice pone le basi della linguistica storica, dischiudendo un immenso orizzonte su un territorio che si estende tra Islanda, India e Russia.
La scoperta di una lingua madre comune è straordinaria e desta scalpore, anche se non subito, come quasi tutte le grandi scoperte.
La “famiglia” di lingue che derivano dalla matrice comune, una della dozzina di “famiglie linguistiche” importanti della terra – comprendenti le lingue del mondo, la cui classificazione numerica varia tra 6.000 e 9.000 – viene detta indoeuropea o ariana e sarà campo della nostra indagine, fino a quando non parteciperà alle nostre ricerche qualche esperto di un altro ceppo, ad es. quello sinotibetano, che comprende il cinese, o il semitico, cui appartiene l’arabo.
La parola “ariano” deriva dalla radice *AR-, che esprime l’idea del “moto per unire”, e che è così importante da definire il popolo che parlava quella lingua comune. Oggi, è solo il popolo dell’Iran che mantiene nel nome la stessa radice.
L’uso distorto che si fece nel secolo passato del termine “ariano”, che indica un popolo e non un gruppo etnico, è un caso emblematico della distorsione del senso originario delle parole. Si verificò un uso strumentale del termine, trasponendo sul piano biologico una delle maggiori conquiste della linguistica, utilizzata per teorie razziste anziché per evidenziare la fratellanza derivante dalla comune matrice.
Riferendoci all’attualità, si parla talora di “parole stracciate”, ad indicare termini snaturati del valore originario.
Quasi sempre la distorsione non è strumentale come nel caso evidenziato sopra, ma dà comunque adito a falsità e incomprensioni.
L’indagine linguistica ed etimologica può diventare un’appassionante ricerca per far scaturire la verità delle idee espresse dal suono. E la parola diventa nuovamente ponte per la fratellanza.
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