Glossario – Ritualità
Etimo secondo TPS
Derivato da rituale, dal latino ritualis, da ritus, rito.
I linguisti sono divisi nell’individuazione della radice indoeuropea di riferimento, ma concordi nell’assegnarle l’identica idea di “scorrere”: per alcuni è *SRA-; per altri è *RI-; per F. Rendich, è “ṛ/ar/ri”, che esprimerebbe l’idea di “moto in armonia con ciò che è giusto e ordinato in natura” (Dizionario etimologico comparato delle lingue classiche indoeuropee, Roma 2010, Palombi Editore, p. 336).
In ogni caso Rito significa moto ordinato
Treccani
ritualità s. f. [der. di rituale]. – Carattere, aspetto rituale: r. di una formula
ritüale agg. e s. m. [dal lat. ritualis, der. di ritus –us «rito»]. –
1. agg.:
1.a. Che appartiene al rito, è conforme o si svolge secondo il rito religioso: preghiere, formule r.; linguaggio r.; purificazione r., ecc. Libri r., i libri contenenti le norme che regolano lo svolgimento dei riti: libri r. etruschi, una delle tre sezioni dei libri sacri etruschi, in cui erano contenute le norme che regolavano la vita sociale e politica, civile e militare, degli individui e delle comunità, e anche precetti sulla morte e sull’esistenza ultraterrena.
1.b. estens. Prescritto dalla legge, dalle disposizioni, o conforme alla consuetudine: il documento dev’essere corredato dei r. timbri; più spesso, in senso iron. o scherz., consueto, abituale, immancabile: tutte le sere si fa la sua r. passeggiata; prima d’uscire mi fa sempre le r. raccomandazioni; si scambiarono i r. complimenti; ora sentiremo la r. ramanzina.
2. s. m.:
2.a. La struttura di un determinato rito (per es. messa, battesimo, matrimonio, esequie, ecc.) considerato nel suo insieme e nella forma descritta dal libro liturgico: cioè il rito considerato in sé stesso, nella sua forma statica. Comprende quindi sia le formule, sia le diverse parti di cui si compone il rito, sia i gesti, i movimenti e i varî atteggiamenti da assumere secondo lo svolgimento del rito medesimo. Si contrappone a «celebrazione», in quanto questa indica l’«azione» rituale o svolgimento del rito medesimo con i varî ministri che compiono, ciascuno, la loro parte e con la partecipazione attiva dell’assemblea al rito stesso.
2.b. Il libro che contiene un determinato rito, in particolare il Rituale Romano, libro ufficiale della Chiesa latina, proprio del sacerdote (una volta chiamato anche «Sacerdotale»). Prima del concilio di Trento ogni chiesa locale aveva un proprio rituale; dopo il concilio di Trento si ebbe un solo rituale, detto «romano», e promulgato da Paolo V nel 1614. Successive edizioni con ritocchi, ampliamenti e modifiche furono fatte da Benedetto XIV (1752), da Pio IX (1872), da Leone XIII (1884), da Pio XI (1925) e da Pio XII (1952), queste due ultime basate sul Rituale di Paolo V. Per disposizione del concilio ecumenico Vaticano II il Rituale Romano è stato ora completamente riformato.
3. s. m.
3.a. In etologia, comportamento costituito da una sequenza di elementi comportamentali che assume un significato specifico nella comunicazione sociale, come, per es., il r. di pulizia che, fra i mammiferi, è finalizzato a rinforzare i legami sociali.
3.b. In psichiatria, r. ossessivo, serie più o meno complessa e stereotipa di atti compiuti in modo ripetitivo allo scopo di ridurre l’angoscia proveniente dal confronto con una realtà inaccettablle da parte del soggetto.
3.c. In usi estens. e scherz., abitudine: il caffè al bar è un r., prima del lavoro; quando si sveglia ha i suoi r., e non deve essere disturbato.
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Con il termine rito (o rituale) si intende ogni atto, o insieme di atti, che viene eseguito secondo norme codificate.
Caratteristiche
«Nessuna esperienza è troppo bassa da non poter essere assunta a rituale e rivestire così un significato sublime» (Mary Douglas)
I riti sono strettamente connessi con la religione, il mito (si dice che il rito riassume e riattualizza il mito) e la sfera del sacro: ogni rito religioso svolge la funzione di rendere tangibile e ripetibile l’esperienza religiosa, sottraendola alla dimensione tutta privata della mistica.
Tramite il rituale, soprattutto all’interno della celebrazione di una festa, le varie componenti religiose come i miti, le prescrizioni, le formule, divengono reali e normative per tutti i partecipanti.
L’uomo religioso affida al rito i momenti più critici della sua esistenza personale e della collettività di cui fa parte, come ad esempio la nascita, la morte, il raggiungimento della pubertà, la guerra, cercando in esso la garanzia del mantenimento della propria identità e di quella della comunità di appartenenza.
Gli studi antropologici, sociologici e psicoanalitici
Uno dei principali studiosi del rito è stato Ernesto de Martino: secondo l’antropologo italiano il rito aiuta l’uomo a sopportare una sorta di “crisi della presenza” che esso avverte di fronte alla natura, sentendo minacciata la propria stessa vita. I comportamenti stereotipati dei riti offrono rassicuranti modelli da seguire, costruendo quella che viene in seguito definita come “tradizione”.
Il sociologo Emile Durkheim ha invece messo in evidenza la componente sociale del rito, che permette di fondare o di rinsaldare i legami interni alla comunità. Sulla stessa linea anche l’antropologo funzionalista Bronislaw Malinowski.
La psicoanalisi ha inoltre mostrato la presenza di una ritualità inconscia in gran parte dei comportamenti quotidiani umani. Le personalità di tipo ossessivo-compulsive sono le più soggette all’espressione di ritualità personali; un caso tipico dei nostri giorni è verificare di aver chiuso il gas uscendo di casa, oppure di aver chiuso la porta di casa o della macchina, molto comune è il camminare senza pestare le righe. I tennisti sono famosi per questo tipo di ritualità: far battere a terra tre volte la pallina, oppure allacciarsi le scarpe o controllare che i calzini siano bene allineati, vi sono una serie infinite di piccoli riti che se nella vita privata possono essere considerati piccoli fastidi o al limite anche sintomi di malattia, nel gioco del tennis sono normali e funzionali al raggiungimento di un’alta concentrazione prima del servizio.
Che abbia un fine sociale o che sia strettamente personale, il rito ha bisogno di una partecipazione emotiva profonda, senza la quale cessa di esistere. Per questo nel rito è necessaria una componente estetica, differente nelle diverse culture e nei diversi tempi; il rito si deve evolvere per non perdere di significato. Per esempio nell’ambito della stessa religione, il Cristianesimo, mentre per la cristianità occidentale cattolica il suono dell’organo è percepito come potenza e diventa quindi strumento “divino”, per la cristianità orientale il rumore dell’organo è percepito come cacofonia e quindi lontano dal concetto di sacro: pur non cambiando il contesto, differenti tradizioni hanno portato a sensibilità differenti che a loro volta hanno generato differenti ritualità.
I più moderni sviluppi di studio sul rito tendono a spostare l’attenzione sull’elemento dinamico, Significativa la visione di Roy Rappaport del rituale come dimensione cibernetica. Studi di caso relativi a quest’ambito sono ancora pochi ma sempre più diffusi e corroborati dalla riflessione teorica.
In ambito non religioso si può portare l’esempio della corrida: una parte della popolazione vive questa manifestazione con passione, mentre per un’altra parte della stessa popolazione, che ha sviluppato una sensibilità animalista, la corrida è un orrore. La componente artistica fa sì che i concerti rock o i megaraduni diventino rito o prendano il contorno di un rito e vengano vissuti con una forte partecipazione emotiva.
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