Glossario – Gioia
Etimo secondo TPS
Dal francese antico joie, derivato dal latino gaudia, plurale di gaudium, “gioia”, “ornamento”, “abbellimento”. F. Rendich propone quale radice di riferimento l’indoeuropea *GAUD-, che esprimerebbe l’idea di “cantare [gā] alto [ud]”, “esprimere gioia”. Si vedano il sanscrito gai, gāyati, cantare; il greco boào, gridare; il latino gaudeo, gioire. (DEC. p. 67). Ha lo steso etimo il termine “gioiello”.
Gioia significa canto che s’innalza
Nel Lambdoma Luce la definizione è: La Gioia è il canto della Luce (6.7)
Treccani
giòia1 s. f. [dal fr. ant. joie, che è il lat. gaudia, plur. di gaudium: v. gaudio]. –
1.a. Intensa e piacevole emozione che si prova quando un fine, più o meno consapevolmente perseguito, viene raggiunto o un desiderio trova appagamento, e si manifesta di solito nell’aspetto esteriore della persona, talvolta con atti e comportamenti spontanei e liberatorî: provare, mostrare una gran g., un’immensa g., una g. viva, piena, ma anche una g. crudele, torbida, perversa; essere ebbro, pazzo di g.; grida, canti, lacrime di g.; fuochi di g., accesi in segno di grande festa; la notizia mi ha riempito di g.; l’incidente turbò la g. della serata; darsi alla g., alla pazza g., darsi ai divertimenti, a manifestazioni di spensierata allegria.
1.b. In funzione predicativa, di persona che sia fonte di felicità e di consolazione: quel bambino è la g. dei suoi genitori (cfr. anche il sign. 2 di gioia2).
2. Diletto, letizia, stato di felicità: lungamente in piacere e in g. poi vissero insieme (Boccaccio); Gioia promette e manda pianto Amore (Foscolo). Anche al plur.: le g. del paradiso; Manda alle ascose vergini Le pure g. ascose (Manzoni); nel linguaggio com., più spesso, consolazioni, soddisfazioni: le g. della vita, della maternità; talvolta iron.: ecco le g. della famiglia! Per antifrasi, che gioia!, a proposito di cosa noiosa, seccante: immàginati che g. sentirlo brontolare dalla mattina alla sera!
3. poet. Stato festoso della natura, e sim.: gran g. di cielo e di campagna (Tommaseo).
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Felicità
(Reindirizzamento da Gioia (emozione))
«Beatus nemo dici potest extra veritatem proiectus» «Nessuno lontano dalla verità può dirsi felice.» (Seneca)
La felicità è lo stato d’animo (emozione) positivo di chi ritiene soddisfatti tutti i propri desideri.
L’etimologia fa derivare felicità da: felicitas, deriv. felix-icis, “felice”, la cui radice “fe-” significa abbondanza, ricchezza, prosperità.
La nozione di felicità intesa come condizione (più o meno stabile) di soddisfazione totale, occupa un posto di rilievo nelle dottrine morali dell’antichità classica, tanto è vero che si usa indicarle come dottrine etiche eudemonistiche (dal greco eudaimonìa) solitamente tradotto come “felicità”. Il termine non solo indica gioia ma l’accettazione del diverso e la tranquillità con gli altri.
Tale concezione varia, naturalmente, col variare della visione-concezione del mondo (Weltanschauung) e della vita su di esso.
Caratteristiche principali
Le sue caratteristiche sono variabili secondo l’entità che la prova (per esempio: serenità, appagamento, eccitazione, ottimismo, distanza da qualsiasi bisogno, ecc.). Quando è presente associa la percezione di essere eterna al timore che essa finisca.
L’uomo fin dalla sua comparsa ricerca questo stato di benessere. La felicità è quell’insieme di emozioni e sensazioni del corpo e dell’intelletto che procurano benessere e gioia in un momento più o meno lungo della nostra vita.
Se l’uomo è felice, subentrano anche la soddisfazione e l’appagamento.
Generalità sulla felicità
L’uomo ha delle necessità primarie, secondarie e sovrastrutturate, di solito l’appagamento di queste necessità e il raggiungimento dell’obiettivo dettato da un bisogno procura gioia da cui deriva anche la felicità.
La felicità, studiata sotto il profilo dei bisogni (primari, secondari, ecc…), porta a valutazioni e definizioni non solo psicologiche e filosofiche diverse, ma anche materiali, e per questo motivo la felicità è stato ed è studio di ogni scienza umanistica. Rimane chiaro che la divisione è fatta per chiarire le varie componenti dello stato della felicità della persona, ma, essendo l’uomo una unità indissolubile di psiche-corpo-spirito-mente e così via, è chiaro che si parla sempre di tutte le componenti che si influenzano tra di loro. Se mi fa male un piede è molto più facile che io sia triste piuttosto che allegro e felice.
Profilo biologico
La felicità appartiene alla sfera del trascendente per quanto riguarda la sua sostanza definitiva, oggetto della ricerca dell’individuo. Essa però possiede a sua volta un fondamentale caposaldo nella condizione immanente dell’io, frutto della soddisfazione di bisogni primari dovuti agli istinti e agli impulsi biologici quali ad esempio la fame, il sonno, l’appagamento sessuale. Essi possono essere considerati come parte integrante della felicità, ma non come unica costituente della stessa. I bisogni biologici creano una condizione di attesa e di infelicità che tende a risolversi nel momento in cui si appaghi il proprio bisogno primario: l’appagamento ottiene una condizione di serenità e di tranquillità che produce felicità biologica, identificabile con il piacere, la quale influenza anche le altre componenti come la psiche e lo spirito, ciononostante l’appagamento biologico è sottoposto ad una temporaneità irrevocabile, frutto del continuo ripresentarsi di pulsioni e istinti dopo il breve periodo di compimento degli stessi. Relegare la felicità solo al piano biologico, significa dipendere unicamente dai bisogni biologici e non andare oltre, condizione questa di un susseguirsi ciclico che ritorna su se stesso. A livello anatomico recenti studi di elettrofisiologia e immunoistochimica sviluppano il concetto introdotto da Papez sulla centralità del sistema limbico nel procurare una reazione di natura certamente chimica e elettrica (equivalenti secondo la legge di Nernst), causale di quella che viene definita percezione della psiche e degli sbalzi di umore.
Profilo filosofico
Epicuro, nella Lettera a Meneceo, afferma che non c’è età per conoscere la felicità: non si è mai né vecchi né giovani per occuparsi del benessere dell’anima (e cioè di “filosofare”, amare il pensiero). Per Epicuro la filosofia e la conoscenza delle cose fanno lo stato di felicità. Nella sua vita naturale l’uomo allontana da sé il dolore sia fisico (aponia) che psichico (atarassia) e l’assenza di queste due cause porta al raggiungimento della felicità.
Epicuro classifica i piaceri dividendoli in tre grandi categorie:
- “Naturali e necessari”, come: l’amicizia, la libertà, il riparo, il cibo, l’amore, il vestirsi, le cure ecc.
- “Naturali ma non necessari” come: l’abbondanza, il lusso, case enormi oltre il necessario, cibi raffinati ed in abbondanza oltre il necessario.
- “Non naturali e non necessari”, come il successo, il potere, la gloria, la fama ecc.
Soddisfare piaceri naturali e necessari è molto importante per la felicità, avere accesso a piaceri naturali ma non necessari può essere positivo se per procurarceli non ci votiamo ad un sacrificio eccessivo, mentre i piaceri non naturali e non necessari sono nella stragrande maggioranza dei casi fonte più di infelicità che di felicità. Secondo Epicuro, infatti, l’uomo dovrebbe concentrarsi sul vivere quegli aspetti della vita connessi alla sua natura e coltivare con impegno l’amicizia, elemento assolutamente positivo della nostra esistenza. La filosofia epicurea invita l’uomo a godere senza affanni di ciò che può procurarsi senza sforzo eccessivo e a vivere la vita stringendo salde e durature relazioni interpersonali.
LudovicoAntonio Muratori scrisse Della pubblica felicità nel 1749.
Profilo psicologico
La felicità può essere la realizzazione di un desiderio, la soddisfazione di vederlo conseguito. Sotto il profilo psicologico, la felicità può essere la condizione conseguente la soluzione di un problema, fatto che produce appagamento e quindi gioia. La felicità si sviluppa sia in senso intellettuale che materiale, sia fisico che psichico, sia affettivo che emozionale. Per fare degli esempi pratici su come il valore della felicità cambi anche in virtù della cultura e del contesto ambientale, essa può essere il sorriso di un bambino o l’acquisto di una villa con piscina; un matrimonio o la conquista dell’Everest; la pace dei sensi o la vittoria ai mondiali di calcio.
Il relativismo della felicità
«C’è ‘n’ape che se posa
sopr’un botton de rosa:
l’annusa, e se ne va…
In fonno, la felicità
è ‘na piccola cosa.»
(Trilussa, “Felicità”, da Acqua e vino, 1927; versione in romanesco)
La felicità può essere considerata come il provare ciò che esiste di bello nella vita. Non è un’emozione oggettiva, né è casuale come un evento del destino, ma è una capacità individuale da scoprire. Come insegna la cultura popolare (ad esempio nel famoso proverbio “Meglio un uovo oggi che una gallina domani”), la felicità non è un inseguimento dei sogni futuri, ma al contrario è il cercare di godere di quello che si possiede nel presente. Spesso i cosiddetti “falsi idoli” (ovvero i soldi, il benessere corporale, la fama, il successo, il potere) sono considerati fonte di felicità, ma secondo talune teorie questo atteggiamento crea solamente più ansia che è in contrasto con lo stato della felicità. Il raggiungimento di un falso idolo può provocare solo una gioia effimera, poiché più si conquista una cosa più ne cresce il desiderio.
Un compito importante della psicologia è trovare i tratti e le esperienze positive, che aiutano la persona ad essere più felice e integrata con gli altri esseri umani e con tutto il creato, nel mondo. Le credenze, la fede e altri principi sono fondamentali. Lo studio della vita cristiana in rapporto alla psicologia è oggi per questo frequente e utile.
Profilo spirituale
Le persone hanno dentro di sé una necessità di elevare la propria psiche a cose trascendenti che le portino a soddisfare la loro sete di conoscenza di verità e di infinito.
Le grandi religioni a tal proposito cercano di dividere il concetto di felicità procurato dalle cose materiali, definendolo piuttosto piacere, da quello di felicità in senso spirituale, raggiungibile con categorie come la semplicità e la serenità dell’anima.
Un esempio nella storia dei santi è quella di San Francesco, che era ricco, forse anche felice, ma era una felicità non completa; ha lasciato tutto è diventato povero ma completamente felice interiormente.
La felicità assoluta per il Cristianesimo ed anche per l’Ebraismo è la visione di Dio. Nel Vangelo in prospettiva escatologica troviamo il brano cosiddetto delle “beatitudini” nel quale Gesù elenca una serie di azioni per raggiungere lo stato di beatitudine.
«[1]Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. [2]Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:[3]”Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.[4]Beati gli afflitti, perché saranno consolati.[5]Beati i miti, perché erediteranno la terra.[6]Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. [7]Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. [8]Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. [9]Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. [10]Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. [11]Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. [12]Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi.» (Matteo 5, 1-12)
Sul proposito della felicità interiore, il fondatore del Buddhismo Siddhartha Gautama ha detto che “La causa della sofferenza è l’inconsapevole desiderio di piacere”, e, come soluzione a questo, ha risolto che “La sofferenza è sopprimibile mediante la cessazione del desiderio e la rinuncia”. Il suo ragionamento portava al rispetto e alla considerazione del Nobile Ottuplice Sentiero.
Profilo scientifico/comportamentale
La psicologia più di tutte le altre discipline ha studiato il comportamento della psiche nello stato di felicità osservando le manifestazioni comportamentali della felicità: sentimento di maggiore libertà, fiducia in sé stessi e negli altri, nonché ottimismo nei confronti della vita.
Sono stati effettuati studi sugli effetti della felicità che analizzano la partecipazione di più parti del corpo nei complessi meccanismi biologici che si manifestano quando percepiamo sensazioni definite di “felicità”. Si è osservato che le persone felici affrontano meglio la vita e i rapporti con gli altri. La felicità ha due componenti fondamentali, il raggiungimento del benessere del corpo ma anche il raggiungimento della serenità dell’anima. Solo il raggiungimento di entrambi dà la felicità completa.
Diritto alla felicità
Il concetto di felicità è un valore esplicitamente sancito in alcune Costituzioni e nella Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti.
Nella Costituzione italiana il “pieno sviluppo della persona umana” è valore sancito dall’art. 3. La realizzazione sul piano oggettivo della persona umana, della propria essenza, vale a dire su un piano inter-soggettivo visibile e condivisibile da tutti, è intesa come identica sul piano soggettivo alla felicità del singolo (come sosteneva il filosofo Socrate).
La felicità ha dunque a che fare con la privacy, nel suo aspetto difensivo ed evolutivo, è essenziale per garantire la tutela della dignità della persona in ogni suo aspetto e dunque garantire la sua felicità. Rispettare la vita privata significa anche permettere a ciascuno di realizzare i propri sogni, di non rinunciare alla felicità nelle forme in cui la si identifica, di decidere personalmente circa ciascun aspetto del proprio cammino. Dunque realizzare i propri sogni è sviluppare a pieno se stesso, trovando il necessario equilibrio per raggiungere la propria felicità. Il diritto alla felicità, la privacy ed il correlato diritto all’identità personale (sancito tra i diritti inviolabili ex art. 2 Cost., sent. Corte Cost. n. 13/1994) rappresentano quindi un rovesciamento di prospettiva nei confronti di imposizioni atte a trasferire sulla persona modelli prefabbricati. Ciascun essere umano è unico e come tale irripetibile, artefice dei suoi progetti, non standardizzabile.
Paradosso della felicità
Il Paradosso della felicità, o paradosso di Easterlin, analizza il rapporto tra felicità (o come indicato nella ricerca “soddisfazione”) di ogni individuo e la sua ricchezza. Il risultato vede (e per questo diventa un paradosso) un rapporto, oltre una certa soglia tra i due valori inversamente proporzionale, cioè a maggior ricchezza la felicità si riduce.
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