Glossario – Discernimento/Discriminazione
Etimo secondo TPS
- “Discernimento” deriva dal verbo discernere, dal latino discèrnere, “separare”, “dividere”, “discernere”, “distinguere”, “decidere come giudice o arbitro”, composto dal prefisso dis e dal verbo cernere.
Dis– deriva dalla radice indoeuropea *DVA-/*DVI-, che secondo F. Rendich si compone dei suoni [vi] “si separa”, [d]: “si separa dalla luce”, “due”. Si vedano il sanscrito dva, il greco dyo, il latino duo, che tutti significano “due”. Il prefisso esprime pertanto separazione, divisione (Dizionario etimologico comparato delle lingue classiche indoeuropee. Indoeuropeo-Sanscrito-Greco-Latino, Palombi Editori, 2010, p. 179).
Cernere deriva dalla radice indoeuropea *KRĪ-, che secondo il Linguista sopra citato si compone dei suoni [k] “muovere intorno”, [rī] “liberamente”, arricchita del suffisso nasale n: “discernere”, “scegliere”, “decidere”, “valutare”. Si vedano il sanscrito krī, comprare; il greco krìno, separare, distinguere, decidere, kritèrion, facoltà di giudizio, criterio, krisis, decisione, giudizio, krima, sentenza, condanna. Si consideri anche il latino cribrum, setaccio. (Op. cit. p. 45).
- “Discriminazione” è parola affine, sia per derivazione sia per significato, alla parola Discernimento, in quanto derivante dal latino discriminatio, separazione, discernimento.
In questa prolifica e vivace famiglia di parole citiamo ancora discrimen, che aveva una vasta accezione di significati, divisione, discernimento, risoluzione, situazione pericolosa, battaglia decisiva, prova, e crimen, che dal significato primario e neutro di “ciò che serve a scegliere”, “decisione giudiziaria”, passò ad indicare l’incriminazione, la calunnia, l’accusa, il reato, il delitto. In sintesi, si nota che dalla radice indoeuropea sopra citata, di scelta neutra, di valutazione, il sanscrito ha sviluppato la valenza positiva di “scegliere per comprare”, mentre il greco e soprattutto il latino, trasferendo la valutazione in ambito giudiziario, hanno sviluppato anche la sfaccettatura negativa d’incriminazione e di reato.
Si rileva ancora che “discernimento” e “discriminazione” in latino sono entrambi termini neutri, che indicano l’accurata valutazione, e che hanno conservato in italiano questa valenza.
Tuttavia il sostantivo “discriminazione” e il verbo “discriminare” hanno assunto specie a partire dal ‘900 prevalentemente l’accezione di ingiuste disparità di trattamento, forse per l’influsso del termine negativo discrimen nato dalla stessa radice oltre che per varie cause storiche che hanno comportato disuguaglianza sociale.
Recita un passo dell’Agni Yoga, Mondo del Fuoco III, § 101:
In verità solamente il cuore è capace di penetrare in tutte le azioni, in tutti i moventi, in tutte le creature con discernimento. Per comprendere il Mondo del Fuoco è indispensabile saper discriminare con il cuore. Solo quella fonte, che anela ai principi del Vero, è in grado di formulare concetti sulla reale costituzione del Cosmo.
Discernimento/Discriminazione significa il vaglio sapiente del cuore
Treccani
discerniménto s. m. [der. di discernere]. – Il discernere con i sensi o con l’intelletto: d. dei colori; d. del vero dal falso. Più spesso, la facoltà e l’esercizio del discernere, cioè del distinguere il bene e il male, e per estens. giudizio, criterio: avere l’età del d.; persona di molto, di sottile d.; mostrare poco d.; procedere, agire, parlare con d., senza discernimento.
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discriminazióne s. f. [dal lat. tardo discriminatio –onis]. –
- Il fatto di discriminare o di essere discriminato; distinzione, diversificazione o differenziazione operata fra persone, cose, casi o situazioni: fare, non fare discriminazioni; per me i concorrenti sono tutti uguali, senza discriminazioni d’età, di sesso, di colore o di posizione sociale; giudicare con imparzialità, senza discriminazioni; più in partic.: d. politica, d. razziale, d. etnica, d. religiosa, diversità di comportamento o di riconoscimento di diritti nei riguardi di determinati gruppi politici, razziali, etnici o religiosi (la legge stabilisce pene precise per i casi in cui la discriminazione assuma carattere delittuoso o induca ad atti di violenza); d. dei redditi, delle imposte, ai fini di una più equa ripartizione del carico tributario. Al contrario, adottare, seguire un criterio di non d., applicare uno stesso modo di comportamento o di trattamento per tutti i componenti di un gruppo senza tener conto di eventuali differenze di qualsiasi genere. Con accezioni e usi specifici:
- Nella legislazione razziale fascista, provvedimento amministrativo con cui venivano dichiarate non applicabili a determinate persone le disposizioni restrittive della capacità giuridica degli appartenenti alla razza ebraica. In senso più ampio, d. razziale, ogni separazione operata o voluta tra popolazioni o gruppi etnici appartenenti a razze diverse, in partic. tra bianchi e genti di colore (v. anche apartheid, più comunem. tradotto con segregazione razziale).
- Nella marina, d. di bandiera, il riservare speciali condizioni di favore alle navi di una data nazione per determinati traffici marittimi.
- In psicologia, la facoltà percettiva di distinguere tra stimoli differenti.
- In elettronica, separazione di segnali effettuata mediante un discriminatore.
- In economia, d. dei prezzi, pratica seguita da coloro che si trovino a offrire sul mercato beni o servizî in condizioni di monopolio, consistente nel porre in vendita a prezzi diversi unità del bene o del servizio prodotte allo stesso costo, in modo da sfruttare meglio la capacità di acquisto dei consumatori a seconda delle classi e delle zone cui questi appartengono.
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discernimento m sing (pl.: discernimenti)
- facoltà della mente di giudicare, valutare, distinguere rettamente
- attitudine nel distinguere ciò che è bene e ciò che è male
- distinguere secondo consapevolezza di sé, conoscenza di qualcuno e/o qualcosa
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Discriminazione
Nell’ambito del comportamento e degli atteggiamenti sociali la discriminazione viene associata all’accezione negativa di distinguere e trattare differentemente persone sulla base di gruppi o categorie di appartenenza.
Essa comprende la reazione o l’interazione iniziale del gruppo predominante il quale intende limitare i membri di un gruppo minoritario nelle opportunità e/o privilegi disponibili invece alla maggioranza delle altre persone e conducendo in tal maniera all’esclusione sociale delle persone e/o di quelle entità basandosi su decisioni e motivazioni che possono anche considerarsi per certi versi del tutto irrazionali.
Tradizioni culturali, politiche, idee, pratiche e leggi discriminatorie esistono ancora ai giorni nostri in molti paesi ed istituzioni in ogni parte del mondo. Alcuni esempi di discriminazione possono essere il razzismo, il sessismo, l’antisemitismo, l’omofobia, la transfobia la grassofobia e l’abilismo.
Discriminazione positiva
Negli Stati Uniti d’America è stata istituita una politica governativa conosciuta come “azione positiva” o anche “discriminazione positiva” per incoraggiare i datori di lavoro e le università a ricercare ed accettare gruppi come gli afroamericani e le donne, che sono stati gruppi di rilievo ma oggetti di discriminazioni per un lungo periodo di tempo[2]. La discriminazione positiva consiste sostanzialmente in una discriminazione nei confronti di gruppi sociali considerati privilegiati quali i maschi, i bianchi, gli adulti e gli eterosessuali. Interventi di questo genere, quali le “quote” sono stati utilizzati per beneficiare quelli che si credono essere vittime di una qualche forma di discriminazione; ma sono stati per alcuni versi definiti come “discriminazioni inverse” e hanno finito per essere oggetto di numerose critiche.
Etimologia
Il termine “discriminate” apparve all’inizio del XVII secolo in lingua inglese; esso deriva dalla lingua latina “discriminat-“(distinto tra-) da cui trae origine il verbo “discriminare” e da “discrimen”-distinzione da cui origina il verbo “discernere”.
A partire dalla guerra di secessione americana il termine discriminazione si è generalmente evoluto nell’uso anglo-statunitense come una comprensione del trattamento pregiudizievole di un individuo esclusivamente sulla base della sua “razza”, in seguito generalizzato come appartenenza ad un determinato gruppo o categoria sociale etichettato come “indesiderato”.
Discriminazione deriva dal latino, ove il verbo “discrimire” significa separare, distinguere, fare una distinzione.
Definizione
I filosofi morali hanno definito la discriminazione come un trattamento o di una considerazione svantaggiosa. Questa è una definizione comparativa; un individuo non dev’essere danneggiato in modo da essere discriminato, pertanto devono essere trattati peggio degli altri per una qualche ragione arbitraria. Se qualcuno decide di donare per aiutare i bambini orfani, ma decide di donare meno – ad esempio – ai figli dei neri per un atteggiamento razzista, allora agirà in modo discriminatorio nonostante il fatto che il gruppo che ha discriminato viene a beneficiarne effettivamente.
La discriminazione può poi evolvere facilmente in una forma di oppressione; è simile all’azione di riconoscere qualcuno come radicalmente “diverso” fino al punto da venire trattato in modo inumano e degradante.
Basandosi sulla loro teoria realistica-conflittuale e sulla teoria dell’identità sociale Rubin e Hewstone hanno evidenziato e fatto una distinzione fra tre tipi principali di discriminazione:
- la competizione realistica è guidata dall’interesse personale e mira ad ottenere risorse materiali (ad esempio favorendo un gruppo ad ottenere maggiori risorse per i suoi membri)
- la concorrenza sociale è guidata dalla necessità di autostima e mira a raggiungere uno status sociale positivo per il proprio gruppo in relazione a tutti quegli altri esterni paragonabili (ad esempio favorire un gruppo con l’intenzione di renderlo “migliore” degli altri)
- la discriminazione consensuale è guidata dalla necessità di “distinguersi positivamente” e riflette stabili e legittime gerarchie di Stato degli intergruppi (ad esempio favorendo un gruppo di alto livello in quanto “superiore” agli altri).
La posizione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite sulla discriminazione comprende l’affermazione: “i comportamenti discriminatori assumono molte forme, ma tutte implicano una qualche forma di esclusione o rifiuto”[13]. Organismi internazionali come il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite puntano a contribuire a far decrescere le varie forme discriminatorie in tutti i paesi aderenti.
Caratteristiche
Due caratteristiche principali necessarie a definire la discriminazione un atteggiamento nei confronti di un individuo o un gruppo di individui sono:
- un trattamento particolare, diverso rispetto agli altri individui o gruppi di individui;
- un’assenza di giustificazione per questo differente trattamento.
Con questa definizione è chiaro che trattamenti particolari come il congedo parentale non siano discriminatori perché giustificati dalla situazione.
Tuttavia il consenso sociale è un indicatore piuttosto inaffidabile per determinare ciò che sia definibile come “discriminazione” e ciò che invece non lo è. Quello che ora è considerato “normale” e non discriminatorio, infatti, in un altro tempo o in un altro luogo può essere considerato “discriminazione”. Un esempio di come uno stesso criterio di valutazione può essere discriminatorio o meno è l’età: a volte usata in modo consensuale (per esempio nell’età minima per partecipare alla vita pubblica), a volte in modo discriminatorio (ad esempio quando diventa ragione di rifiuto da parte dei datori di lavoro).
Documenti delle Nazioni Unite
I principali documenti dell’ONU riguardanti la discriminazione comprendono:
A livello internazionale la legislazione in materia di discriminazione è determinata dalla Dichiarazione universale dei diritti umani redatta e adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite a Parigi il 10 dicembre del 1948. In essa viene sancito il rispetto nei confronti di ogni individuo indipendentemente dalla sua appartenenza ad un particolare gruppo.
«”ogni individuo ha diritto a tutti i diritti e le libertà stabiliti nella presente Dichiarazione, senza alcuna distinzione di qualsiasi tipo, come la “razza”, il colore della pelle umana, il sesso, la lingua, la religione, l’opinione politica o di qualsiasi altra natura, l’origine nazionale o sociale, la proprietà privata, la nascita o altro stato di appartenenza”»
Questa carta nacque in risposta alle atrocità commesse dalla Germania nazista, frutto proprio di discriminazioni razziali (verso ebrei, polacchi, slavi, zingari, ecc.), per le preferenze sessuali (omofobia) e per le opinioni politiche.
La “Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale” (ICERD) impegna i suoi membri all’eliminazione della discriminazione basata sul “razzismo scientifico”; è stata adottata il 21 dicembre del 1965 ed è entrata in vigore il 4 gennaio del 1969.
La Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (CEDAW) è un trattato internazionale adottato nel 1979 e descritto come un “disegno di legge internazionale per le donne”; è entrato in vigore il 3 settembre del 1981.
La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità è un trattato internazionale sui diritti umani; le parti sono tenute a promuovere, proteggere e garantire il pieno usufrutto dei diritti umani da parte delle persone con disabilità e far sì che esse godano della piena uguaglianza prevista dalla legge. Il testo è stato adottato il 13 dicembre del 2006 ed aperto per la firma il 30 marzo seguente; è entrato in vigore il 3 maggio del 2008.
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