In questo giorno di matrimonio celeste del Divino Ermafrodito,* tra la Bellezza ed il Pensiero, pubblichiamo la Premessa di un testo in via di stesura dedicato alle Muse: solo “la comprensione della bellezza salverà il mondo”.
“Le Muse hanno un posto altissimo, anzi unico, nella gerarchia divina. Son dette figlie di Zeus, nate da Mnemosyne, la Dea della memoria; ma ciò non è tutto, ché ad esse, e ad esse soltanto, è riservato portare, come il padre stesso degli Dei, l’appellativo di olimpiche, appellativo col quale si solevano onorare sì gli Dei in genere, ma – almeno originariamente – nessun Dio in particolare, fatta appunto eccezione per Zeus e le Muse.”[1]
L’ACCADEMIA DELLE MUSE
Premessa
Esistono spazi, suoni e luci che sono invisibili e silenti per i sensi.
Di questi mondi si vuole cantare.
E la Musa è il nostro Modello da invocare ed il primo Faro da seguire.
Cantami, o diva, del Pelìde Achille…
“La letteratura e la cultura dell’Occidente intero … esordiscono nel primo verso dell’Iliade invocando la Musa; all’inizio è dunque l’altissima, sacra voce della mousiké. … La sua importanza nell’ordine cosmico è essenziale: essa compie la superba gloria dell’opera divina di creazione e ne rappresenta l’anima.” (WFO)
La Musa canta e danza la Musica delle Sfere: le Muse “custodiscono il segreto di una dimensione sacra che eccede la vita ordinaria. Sono come un fluido che scorre, sono come acqua, non solo perché l’acqua è principio di vita, ma anche perché acqua è la mente stessa: acqua immobile e cristallina che, come un lago di montagna, riflette le idee e le forme del pensiero, o acqua che si increspa e si agita, minacciosa e cupa, nel turbine cangiante delle emozioni.
Le Muse sono acque mentali, acque superiori e celesti, in cui appaiono le immagini del mondo e dell’essere. … La voce delle divine fanciulle non si limita, semplicemente, a celebrare ciò che è stato creato, ma lo ordina e, nell’ordinarlo, lo adorna: lo dota di significato e di bellezza. La parola non è un supplemento che si aggiunge all’esistente, ma un potere che compie il mondo e lo fa essere in tutto il suo splendore. Pronunciando e cantando le cose che abitano l’universo, la voce delle Muse dona a esse sostanza e valore.” [2]
La Musa è Figlia della Mente cosmica, è Maestra di sapienza sonora e Madre di rinascita a risonanze superiori: “La cifra che segna la natura di ogni essere è una parola-canto con una sua intonazione e una sua altezza. Perciò chi conosca il suono-parola di ciascuna cosa e sappia intenderne la musica possiede anche la conoscenza fondamentale per agire sulla realtà e per modificarla: il sapere della parola è il potere segreto di un suono che si fa azione, muovendo e trasformando, a proprio piacimento, ogni dato esistente. Il corpo stesso degli dèi è intessuto di metri e di canti. Ne consegue che chi ha la perfetta padronanza di quella sapienza sonora può, a propria volta, ascendere al cielo: con il giusto ritmo e con la giusta canzone si può tramutare la propria natura caduca e diventare immortali.” (DSM)
Per penetrare il mistero delle Muse bisogna dunque “cominciare a interrogarsi su ciò che il loro nome racchiude. … Musa deriverebbe da un vocabolo di origine lidia, móus ovvero “sorgente”: le dee dalla voce meravigliosa avrebbero, a tutti gli effetti, la natura di creature “acquatiche”, al pari delle Ninfe Naiadi che abitano le fonti e le rive dei fiumi (Mitografi Vaticani 3,8,22). Ma Musa potrebbe connettersi anche alla radice da cui derivano termini come manthánein, “apprendere”, mnéme, “memoria”, o mens, “mente”: le fanciulle dell’Olimpo e dell’Elicona sarebbero, da questo punto di vista, potenze del pensiero. Platone, per parte sua, riteneva che il nome racchiudesse il medesimo senso del verbo mósthai, “aspirare”, “desiderare”, “ricercare” (Cratilo 406 a): la Musa sarebbe la brama stessa del sapere, la tensione della ricerca, il desiderio della verità e il cammino che a essa conduce. Diodoro Siculo, offrendo un ulteriore spunto, suggerisce un accostamento all’ambito dei misteri (Biblioteca storica 4,7): Musa deriverebbe da múein, “iniziare”, perché – in modo analogo a quanto avviene nei rituali eleusini – le Muse presiedono a una sacra iniziazione, facendo accedere i mortali a una forma superiore e diversa di conoscenza, dischiudendo a essi la via alle cose più belle e mirabili. … il loro potere si estende non solo alle più belle concezioni del pensiero, ma anche al sinfonico intreccio di tutte le cose che sono nell’universo (Giamblico, Vita di Pitagora 46).[3]
Perché, secondo Pitagora, anche la natura del cosmo ha una propria musica e un proprio suono. … Per questo, secondo Pitagora, le Muse non sono solo divine fanciulle che cantano nella dimora di Zeus, ma la voce stessa dei pianeti e delle stelle. Ed è a tale melodia celeste che ogni musica umana dovrebbe tendere per essere in sinfonico accordo con la luce iperborea[4] di Apollo e con la danza sincrona delle figlie della Memoria. Dal soffuso chiarore del paradiso del Nord, così come dal terso splendore dell’Olimpo, l’infallibile arciere, in compagnia delle Muse, fa cenno indicando la via che sale agli astri, affinché gli umani s’armonizzino con il ritmo divino dell’ordine cosmico.” (DSM)
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Le Muse insegnano a navigare le Acque della Vita su una Via di Bellezza, sul veliero leggero ma indistruttibile di un Pensiero alto, sorridente e solenne, sospinto dall’ardente necessità di Verità.
A tale spirale ascendente al Tempio sacro dell’Armonia diamo il Nome platonico[5] di:
Accademia delle Muse.
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Prego Memoria e le sue figlie
di concedermi una felice riuscita
perché sono cieche le menti
degli uomini che senza le Muse
cercano la via profonda della sapienza.
(Pindaro, Peani 7 b)
All’inizio del nostro viaggio in questa Aula di Sapienza celeste, invochiamole con Dante, Sommo Poeta:
O muse, o alto ingegno, or m’aiutate;
o mente che scrivesti ciò ch’io vidi,
qui si parrà la tua nobilitate.
(Inferno, canto II, versi 7-9).
O voi che siete in piccioletta barca,
desiderosi d’ascoltar, seguiti
dietro al mio legno che cantando varca,
tornate a riveder li vostri liti:
non vi mettete in pelago, ché forse,
perdendo me, rimarreste smarriti.
L’acqua ch’io prendo già mai non si corse;
Minerva spira, e conducemi Appollo,
e nove Muse mi dimostran l’Orse.
(Paradiso, Canto II, versi 1-9)[6]
* Congiunzione eliocentrica di Mercurio/Hermes e Venere/Afrodite all’incipit iniziatico di Aries.