Si accende oggi, secondo la visione eliocentrica, la seconda congiunzione dell’anno fra Terra e Mercurio, Signore della quarta energia creativa e noi, allineandoci a un momento luminoso così grande, dobbiamo cercare di risalire all’essenza di questa energia e quindi determinare il Modello del Modello, per imprimerlo nello Spazio e dare significato alle Idee per costruire le forme pensiero atte a creare la nuova cultura/civiltà umana.
Il Modello si fa riconoscere, pur non appartenendo a nessuna delle due realtà, nel livello dove il mondo delle Idee e quello delle forme vengono in contatto e sono messi in giusta relazione: l’uomo è chiamato a mettersi sul livello intuitivo, il quarto dell’espressione divina, per eseguire il proprio compito che è quello di rappresentare il ponte fra Cielo e Terra, riflettendo l’uno nell’altra e viceversa.
Esso è stato definito come il riflesso della Vita perché nel Lambdoma è posizionato al centro e il Centro è la Vita, che informa di sé l’Infinito ed ogni piano della manifestazione, saturando la sostanza spaziale col riflesso del Principio vitale uno e trino; è dunque quel punto di mezzo, nel quale la triade vitale può scendere per rispecchiarsi nel mondo del riflesso, e diviene l’aurea proporzione che congiunge e fonde Terra e Cielo per permettere agli uomini di intuire il Disegno della Mente divina e disporre i loro pensieri sulla matrice spaziale.
Il Modello porta con sé il valore universale dell’armonia, incessante esigenza dello Spazio che costantemente opera per comporre, con la potenza dell’amore magnetico, le innumerevoli parti in unità sempre maggiori, più sottili, più luminose.
L’Armonia è Amore, Proporzione, Giustezza, Equilibrio, Verità, Bellezza.
Già Dante con la Divina Commedia, riflettendo sulla salvezza dell’umanità, vedeva il Cielo come la via di ascesa a Dio, non solo simbolica ma reale, per il viaggio da lui immaginato. Il cielo chiama tutti gli uomini, il cielo è il mezzo che Dio ha posto in essere per chiamare l’uomo a sé affinché trovi quel Centro, affinché trovi la Vita.
Alla fine del canto XIV del Purgatorio, nella cornice degli invidiosi, a commento di esempi terribili di invidia punita, Virgilio dice a Dante:
Chiamavi ‘l cielo e ‘ntorno vi si gira, mostrandovi le sue bellezze etterne, e l’occhio vostro pur a terra mira; onde vi batte chi tutto discerne.
Il cielo vi chiama a sé e ruota anche intorno a voi, mostrandovi le sue bellezze eterne, la sua felicità eterna, ma i vostri occhi sono ostinati nel continuare a guardare in basso:
per Dante lo studio degli astri può diventare una via di ascesa spirituale a Dio, perché essi sono bellezze eterne e non effimere come quelle che vediamo sulla terra.
Il cielo che si vede suscita un senso d’immensità e con la regolarità dei suoi movimenti suggerisce un ordine universale, suggerisce l’eterno, l’infinito, la divina armonia e per questo nel suo viaggio Dante ricorre di continuo alla sua conoscenza del cielo che si divide in tre ambiti.
Il primo, elementare, è quello di una sfera che gira intorno alla terra, con tanti punti luminosi variamente distribuiti e con i due grandi “luminari” del giorno e della notte, cioè il sole e la luna. E tutto ciò è compreso in una caratteristica scena complessiva.
Il secondo, più informato, è quello che individua le stelle più brillanti, cioè le costellazioni e la loro capacità di orientarsi, i punti cardinali e il polo celeste intorno a cui sembrano girare le stelle e il fatto che la loro osservazione dipenda dalla latitudine e dalla longitudine dell’osservatore, il movimento del sole, della luna e dei pianeti fra le stelle, e la corrispondenza fra il moto del sole e le stagioni dell’anno, le eclissi di sole e di luna e persino la precessione degli equinozi: dal punto di vista dell’osservazione ad occhio nudo la conoscenza di Dante era completa.
Il terzo ambito è quello dell’interpretazione, cioè la comprensione della realtà fisica che si nasconde dietro l’apparenza del cielo, la “cosmologia”, lo studio dell’universo: qui le differenze fra le conoscenze di Dante e quelle odierne sono enormi perché c’è stata la rivoluzione copernicana, la scoperta delle leggi che governano i moti, l’invenzione del telescopio, un enorme progresso nelle tecniche di osservazione e di calcolo, lo studio degli spettri luminosi, la fisica atomica e l’esplorazione spaziale.
A quell’epoca si sottostimavano età e dimensioni dello Spazio, la terra era immobile al centro di un universo in rotazione intorno ad essa, per cui si doveva ricorrere a risposte teologiche circa le cause dei moti: il motore primo era Dio e le forze motrici erano “gli angeli motori”.
Il cosmo di Dante è tutt’uno con la sua fede nella finalità e nella Provvidenza che regge il creato: è visione di un ordine finalizzato all’uomo. La sua è una sintesi coerente di fede e di scienza, una visione lucida e serena che rende poetici anche i passi attinenti alla cosmologia.
Abbiamo accennato che Dante, seguendo la visione teologico-cosmologica della sua epoca, parla di cieli mossi da creature celestie, dice che i moti servono a far scendere su tutti gli uomini le virtù benefiche delle stelle, intendendo con questo termine tutti i corpi celesti.
Nella Divina Commedia c’è, quindi, una grande presenza di Cielo e di fede finalizzata all’elevazione e all’espansione della coscienza e la peculiarità dell’autore è il livello ugualmente elevato in lettere, scienza e fede. Per chiarire i sentimenti di Dante verso il cielo si può citare un passo delle Epistole, nella lettera all’amico fiorentino, in cui egli dice di non poter ritornare a Firenze pagando una multa come un delinquente qualsiasi perché, pur essendo l’esilio doloroso, il cielo non gli è tuttavia vietato:
Che, se per nessun’altra di tali vie in Firenze si può entrare, io in Firenze non entrerò giammai. E che per questo? Le spere del sole e degli astri, non potrò forse contemplarle dovunque? Non potrò in ogni luogo sotto la volta del cielo meditare i dolcissimi veri, se io prima non mi renda spregevole, anzi abietto al popolo e alla città tutta di Firenze? (Epistole XII)
Egli continuerà comunque, nonostante la lontananza dalla patria e l’amarezza, a guardare il cielo e sentirsi moralmente integro, essendo certo che esso porta il pensiero umano a Dio restituendo pace e pienezza.
Dai tempi di Dante a oggi la visione della terra al centro dell’universo è caduta, ma è aumentata la coscienza della grandezza e della complessità di quello che si trova nel cielo e del suo rapporto con la terra e l’atteggiamento di fiducioso abbandono che ci mostra il poeta è un modello, non solo ancora valido, ma attualissimo e necessario per l’umanità: lo Spazio rappresenta un valore incommensurabile e l’osservazione del cielo con la Divina Commedia ci fa capire questa grande verità.
Detto tutto ciò, non si può non cogliere fra i suoi versi il significato nascosto, il lato esoterico dell’opera:
“O voi ch’avete l’intelletti sani, mirate la Dottrina che s’asconde sotto il velame de li versi strani”. (Inferno, IX, 61-63),
Con queste parole Dante indica in modo molto esplicito che nella sua opera vi è un senso nascosto, propriamente dottrinale, di cui il significato esteriore e apparente è soltanto un velo che deve essere oltrepassato solo da coloro i quali sono capaci di penetrarlo.
L’Inferno rappresenta il mondo profano, il Purgatorio comprende le prove iniziatiche, e il Cielo è il soggiorno dei Perfetti, nei quali si trovano riuniti e portati al loro culmine l’intelligenza e l’amore…
Fuori del tempo e dello spazio c’è infine “l’Empireo”, cielo della fede e non della scienza astronomica.
Se si fa una lettura spirituale, la Commedia deve essere considerata come un’opera alchemica nella quale la materia prima è l’uomo ed è Dante stesso che ci invita a leggere il Poema in quattro modi: quello letterale, l’allegorico, il morale, e quello spirituale indicando quest’ultimo come il più difficile ed il più importante.
Le ipotesi sull’esoterismo dantesco sono tante e sarebbe lungo e inopportuno elencarle tutte, di sicuro la maggioranza degli studiosi è concorde nell’accostare il Poeta ai Templari, dai quali potrebbe aver attinto le sue conoscenze astrologiche e iniziatiche. Come già detto, si può considerare la Divina Commedia come un testo di alchimia medioevale che tratta della trasformazione della materia, in questo caso della materia umana.
L’alchimia è l’opera di trasmutazione dei metalli per mezzo del fuoco, con il fine di ottenere l’oro dei filosofi attraverso un certo numero di passaggi fino all’ottenimento della materia trasmutata e perfetta: gli alchimisti più evoluti erano ben consapevoli di procedere in un cammino spirituale perché volevano liberare dai legami della materia la scintilla divina che vi era imprigionata.
Dante nel Paradiso ci parla del suo viaggio, che procede dal “cerchio al centro” e il valore del suo messaggio è eccezionale: è un insegnamento di salvezza per l’umanità che all’inizio è imperniato sul Cristo, ma alla fine il poeta fa intravedere che la salvezza si trova all’interno di ogni essere umano che ha in sé l’interezza, rivelata nella visione finale come conseguenza dell’unione sacra tra lo Spirito e l’Uomo, che rappresenta l’umanità rinnovata in Maria, la Grande Madre che ci ha dato la vita, il lato femminile dell’Amore che accoglie l’essere che ha rinunciato al sé personale per rinascere al Sé divino.
Questo uomo rigenerato ha iniziato il suo percorso dal basso, dal buio della materia e delle miserie umane per giungere, con l’aiuto della Grazia, eterno femminino spirituale, a chiudere il cerchio trovando il centro e accordando nell’Unità Universale ciò che stona, per provare l’essenziale unicità di Spirito e Materia e una volta ripresa la vita terrena deve evitare di cadere negli opposti e cercare di rimanere sempre nel mezzo, in equilibrio.
Il messaggio di Dante è attuale perché si risolve nell’eterna ricerca umana di un modello che gli permetta di scorgere la sua natura divina e immortale e del sacrificio che ogni uomo deve compiere se vuole risvegliarla, cioè morire al vecchio stile di vita, scendere negli inferi e rinascere alla vita del vero sé penetrando il mistero dell’Unità della vita e della morte, dello spirito e della materia, del Cielo e della Terra
“In verità, in verità, ti dico se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il Regno di Dio.
In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quel che è nato dalla carne è carne, e quel che è nato dallo Spirito è Spirito.
Non ti meravigliare se t’ho detto: dovete rinascere dall’alto”
(Giovanni III, 3-7).