Nel corso dei precedenti articoli su Sistema abbiamo riportato più volte l’etimologia del termine; la riprenderemo ancora oggi confrontandola con quanto detto al riguardo nel vocabolario on-line Treccani ed in Wikipedia.
Da ricerca etimologica della redazione TPS
Sistèma
Dal latino tardo systema, che deriva dal greco systema, composto dalla preposizione syn, “con”, e dalla radice del verbo istemi, stare: “stare insieme”.Radice indoeuropea *STA- che esprime l’idea di essere saldo.
Sistema indica pertanto composizione salda di elementi
Da vocabolario on-line Treccani
Sistèma s. m. [dal lat. Tardo systema, gr. σύστημα, propr. «riunione, complesso» (da cui varî sign. estens.), der. Di συνίστημι «porre insieme, riunire»] (pl. -i).
- Nell’ambito scientifico, qualsiasi oggetto di studio che, pur essendo costituito da diversi elementi reciprocamente interconnessi e interagenti tra loro o con l’ambiente esterno, reagisce o evolve come un tutto, con proprie leggi generali: un s. fisico, chimico, biologico, economico, ecc. Con accezioni partic.:
a) In astronomia, insieme di corpi celesti, appartenenti a un complesso organicamente costituito: s. solare o planetario (v. solare, n. 2); s. galattico (relativo alla Galassia o a una galassia in senso generico); s. locale, l’insieme delle stelle in prossimità del Sole …
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d) In anatomia, complesso di strutture e di organi affini per origine embriologica o coordinati per una funzione specifica. Il termine, spesso usato come sinon. di apparato, designa altre volte, in modo insostituibile, strutture che, pur avendo in comune determinate attività funzionali, sono prive di continuità (per es., s. reticoloistiocitario). S. respiratorio, composto dalle cavità nasali, dal naso-faringe, dalla laringe-trachea, dai bronchi e dai polmoni; s. digerente, comprendente bocca, faringe, esofago, stomaco, intestino e ghiandole annesse (fegato, pancreas, ecc.); s. circolatorio, cui appartengono il cuore, le arterie, i capillari, le vene; s. nervoso, diviso in centrale (composto dall’encefalo e dal midollo spinale), periferico (comprendente i nervi periferici cranici e spinali) e neurovegetativo …
Da Wikipedia, l’enciclopedia libera
«Il tutto è maggiore della somma delle parti» (Aristotele)
Il sistema, nel suo significato più generico, è un insieme di elementi interconnessi tra di loro o con l’ambiente esterno tramite reciproche relazioni, ma che si comporta come un tutt’uno, secondo proprie regole generali[1].
Un sistema può essere definito come l’unità fisica e funzionale, costituita da più parti o sottosistemi (tessuti, organi od elementi ecc.) interagenti (od in relazione funzionale) tra loro (e con altri sistemi), formando un tutt’uno in cui, ogni parte, dà un contributo per una finalità comune od un target identificativo di quel sistema. Spesso, in anatomia, proprio per lo scopo comune degli organi/elementi componenti, viene confuso con il termine “apparato”, ma la struttura e la funzionalità dei sistemi ne rendono la semantica ben più ampia, articolata o complessa rispetto quella degli apparati.
Nell’accezione generale della redazione TPS
L’Atomo è un Sistema che costituisce Molecole, le quali sono Sistemi che costituiscono Cellule, le quali sono Sistemi che costituiscono Organi, i quali sono Sistemi che costituiscono Uomini, i quali sono Sistemi che costituiscono l’Umanità, la quale è un Sistema che costituisce il Pianeta, il quale è un Sistema, che costituisce il Sistema Solare, il quale è un Sistema che costituisce la Galassia, la quale è un Sistema che …
The Planetary System (TPS) è un Sistema che studia le leggi che regolano i Sistema di Sistemi.
Dopo aver “ricordato” i significati di Sistema prendiamo ora in esame un’accezione inconsueta di Comunità, che esamineremo nel senso letterale del termine quale insieme di modalità di pensiero ed azione che conducono al Come Uno, operazione del tutto analoga a quella appena sopra descritta per Sistema, operazione che conduce da Atomo ad Universo.
Per fare ciò, in questa prima parte, leggeremo insieme alcuni brani tratti da una Dispensa intitolata “Il Neocristianesimo”, scritta da Enzio Savoini e presentata ad un gruppo di ricercatori nel febbraio 2001.
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6 – COMUNIONE SOCIALE
Il concetto di comunità, come molti altri, deve essere liberato dalle scorie che da molto tempo lo deformano. Si ritiene per lo più che la radice alla base di una comunità sia il bene goduto e utilizzato dai suoi membri. E’ un’interpretazione restrittiva, che tende a ridurre il molteplice al monotono.
Ciò che è comune, infatti, è uguale per tutti. Le dosi possono variare per ciascuno dei membri, ma il bene è quello che è: un terreno, un bosco, una sorgente, una dottrina, un modo di vivere. E’ un “oggetto” che scarica le sue qualità su coloro che ne usufruiscono e li uniforma. Il popolo italiano, ad esempio, è la comunità di coloro che dispongono dell’italianità, bene indefinibile eppure reale ed esistente. Gli ordini monastici (altro esempio) si sono sempre distinti per le Regole osservate, diverse e peculiari per ciascuno, che li plasmano in comunità uniformi e specifiche.
Secondo questa concezione, accettata e prevalente, il bene, quale ne sia la natura, modella la comunità dei suoi utenti. Così i cristiani si distinguono dai musulmani e altri credenti perché il bene comune è diverso; e la società umana si divide in classi secondo il bene di cui dispongono, per quanto complesso.
Si osserva pertanto che le comunità, così dipendenti dal loro bene, sono inevitabilmente divise e separate, al punto che non si vede come unificarle senza salire a una comunità sociale che abbia come bene la somma dei beni – e si comprende come sia arduo giungere a tanto. In termini che si potrebbero dire neo cristiani, per costruire una comunità generale occorre rinunciare al proprio bene separato, il che equivale a metterlo in comune.
Oggi si sente predicare la necessità di accomunare le varie fedi religiose, ma in pratica non si va oltre a una certa tolleranza reciproca; nessuno intende realmente abbandonare la sua proprietà dottrinaria. Le antiche e dolenti separazioni e i feroci contrasti rimangono tali e quali, avvolti in un manto d’ipocrisia. I tentativi odierni di risolvere il problema basano su una partigianeria travestita e insincera e non affrontano il nucleo della questione, che richiede un grande atto di sacrificio.
Si pensi ora a una comunità non più gravitante attorno a un bene qualchessia, ma modellata sull’ineffabile Bene generale, di valore solare. La sua potenza trascendente deriva proprio dall’essere indescrivibile, e quindi adattabile a qualsiasi coscienza. Una società siffatta tenderebbe all’unione, gradualmente, mentre migliora sorretta dalla marea evolutiva. I contrasti, anziché accentuarsi, a poco a poco svanirebbero.
Oggi ciò sembra irrealizzabile e utopistico, ma la Ricomparsa, che è Bene comune, darà l’impulso necessario. Così ragionano coloro che pensano al Maestro quale Bene comune.
In varie occasioni si è già affermato che la comunione generale dei popoli è una meta prioritaria, raggiungibile nell’epoca settima. S’intende con ciò che deve precedere altre finalità, che la presumono realizzata. E’ dunque un passo relativamente imminente. Come sperare, infatti, in un rapporto cosciente con altre umanità solari, se prima non si è pervenuti all’unione? Al lume di queste riflessioni sembrerebbe che la comunione dei popoli sia, per il pianeta, la meta generale dell’attuale settimana solare.
Le vicende storiche di questo lungo periodo mostrano il genere umano impegnato a padroneggiare questa lezione di suprema importanza, imparando penosamente dagli errori, passati e presenti. Le menti migliori la hanno appresa da tempo, e la spargono silenziose nello spazio: l’unione sociale (non quella politica) non è più l’impervio concetto di un secolo fa.
La prima mossa verso quella meta sta dunque nell’assumere il Bene generale quale centro della comunità nascente, senza volerlo definire o accettando tutte le definizioni, liberamente scelte dalle singole coscienze.
Il progresso sociale può essere controllato anche mediante un altro metodo, che oggi nessuno però saprebbe applicare: è basato sul principio della sezione aurea, che fa carico al maggiore di intercedere per il minore.
“Intercedere” è termine scelto di proposito. Letteralmente significa “marciare nel mezzo” (inter – cedere) e descrive la funzione che in una società compete al maggiore, che sta, appunto, fra il minore e il massimo e deve metterli in rapporto. Che un tale compito sia espresso con rigore da un numero trascendente (Φ) dimostra che i fatti matematici sono veri prodigi.
La soluzione delle sperequazioni sociali non si ottiene applicando ideologie fumose e spesso sinistre, ma dosando con precisione e il maggiore e il minore. E’ ben vero che oggi non si sa farlo: non avendo ancora appreso come valutare con esattezza il rapporto fra le qualità umane non si sa andare oltre il semplice enunciato della legge. Si rifletta, però, che ciascuno è sia maggiore sia minore di altri, nei campi più diversi. Nessuno perciò sfugge al precetto: è tenuto sia a dare sia a ricevere aiuto. Questa frase è un approccio alla regola aurea:
- chi dona il giusto aiuto (non troppo, non troppo poco) si pone, per quell’atto, quale mediatore fra minore e massimo, dal quale riceve e trasmette soccorso.
Queste azioni non tendono a uguagliare le quantità (ideale di varie rivoluzioni, cruente quanto miopi) ma a utilizzare le qualità a vantaggio comune.
Si è affermato che oggi non si sa applicare la proporzione “sociale”, ma è anche vero che non si è mai tentato di farlo, per immaturità. Oggi i popoli maggiori spediscono aiuti di vario genere alle popolazioni minori. E’ cosa encomiabile, ben diversa dallo sfruttamento del recente passato. Non coglie però nel segno, perché non è giusta, è spesso spropositata quanto sproporzionata, sì che quei minori restano tali.
L’ambiente sociale dove ciascuno può esercitare e comprendere la misura della proporzione aurea è la famiglia, sempre composta di maggiori e minori. Fra le pareti domestiche il maggiore impara a dare il doveroso soccorso, nella giusta misura, in ogni campo, e a connettere il nucleo famigliare al massimo. Oggi si potrebbe descrivere la grave crisi sociale semplicemente affermando che la famiglia è in crisi. E’ una situazione che dipende dai moltissimi errori del passato, ossia dal mancato rispetto e dall’ignoranza della regola aurea. La vita di famiglia perciò ha perso bellezza, non è più attraente, pertanto si slega e si sfascia: il processo si ripercuote in tutto il genere umano, che dovrebbe essere una famiglia e non lo è.
La regola aurea non è impraticabile. E’ uno dei fondamenti del neo cristianesimo, annunciata tanto tempo fa dal Maestro, quando disse: “Amatevi l’un l’altro come io vi ho amato”, indicando il modo più sicuro e semplice di sciogliere gli incatramati nodi sociali.
7 – IL NUOVO ORDINAMENTO
Non esistono comunità senza ordinamento. E’ una legge universale, e le società umane la confermano, dalle tribù agli Stati.
L’Ordine però, per sua natura, non contrasta mai un ordine preesistente: se lo combattesse negherebbe la propria essenza. La storia umana sembra confutare quest’assioma, date le molte rivoluzioni che hanno mutato nei secoli l’assetto sociale. In realtà queste rivolte, quasi sempre cruente e violente, non hanno instaurato un ordine nuovo, ma modificato uno stato di disordine. Conseguenza di uno sfacelo sociale, predicate da uomini di scarsa lungimiranza, furono crudeli, e dunque incapaci di ordinare: la violenza non è maestra di vita.
L’uomo non comprende ancora l’ordine celeste, e chiama “ordine” certe sue mutevoli fantasie, del tutto avulse dall’idea solare. Il neo cristianesimo è portatore dell’Ordine superiore, che per quanto si è affermato è immutabile, seppure flessibile e dinamico: per questa sua natura non è imperioso e non emana divieti. Affermazioni di questo tipo suonano strane, poiché l’uomo ha dell’ordine un concetto ben diverso, addirittura opposto: rigido controllore della condotta, tutela dell’ortodossia e giudice spietato.
Nulla di simile si trova nell’Ordine che governa l’Universo.
L’ordine cosmico ha una proprietà che manca nella modesta concezione umana: la facoltà di organizzare. Essa consente di stabilire legami, affinità e operazioni ritmiche fra serie di enti dalla diversissima natura, sì che concorrano liberamente a costruire il Bene comune, ossia a formare la Comunità universale. Ciò traspare nel funzionamento del Sistema solare, ma l’uomo lo ritrova in sé, nelle mansioni dei propri organi fisici, fra loro molto differenti eppure collaboranti al benessere dell’insieme: da quel potere organizzante e segreto dipende la sua stessa esistenza.
E’ da notare che tale funzione non dispone di un organo proprio, a ciò preposto. Come la prima e la quarta virtù divina, l’Ordine è elusivo, non ha sede. Dedicato al suo compito di stabilire precedenze, gerarchie, dipendenze e sovranità, non dispone di un organo esteriore. Si conclude che ha sede in tutti gli altri, ossia che è onnipresente.
E’ regola universale che quando, per quanto si faccia, non si riesce a trovare ciò che si cerca, quella cosa è ovunque. Non si trova il Maestro, non si trovano l’Infinito, la Vita, lo Spazio perché sono onnipresenti.
Dopo quanto si è scritto, parlare di nuovo ordinamento pare improprio: il neo cristianesimo non intende certo spodestare l’antico. Meglio dunque dire “ristabilire” piuttosto che “impiantare” un ordine diverso. L’Ordine celeste non può dirsi nuovo né antico. Forse questa è la ragione per cui l’ultima stanza della grande Invocazione recita appunto di “ristabilire” il Piano di sempre.
Nella seconda parte, che verrà pubblicata il prossimo 28 maggio, trarremo brani da un’altra Dispensa dello stesso autore, intitolata “Comunione”, presentata allo stesso gruppo in due riprese, ad aprile e maggio 2001.