Splende e risuona in questo giorno attraverso il sistema solare la prima congiunzione, per il 2015, tra Mercurio e Nettuno: l’anno scorso abbiamo iniziato a esplorare il potere creativo della parola prendendo le mosse dall’idea di sacralità, e oggi apriamo il nuovo ciclo affrontando il significato di “mantra”. L’argomento è così ampio che per ora è utile porre corrette premesse per future riflessioni comuni.
Abbiamo già accennato in precedenti articoli che si tratta di un termine sanscrito, letteralmente “strumento” [tra] del “pensiero” [man], formula sacra, suono creatore, verso mistico, ad indicare quel principio mentale che, in rapporto - poiché la radice indoeuropea *MA- indica l’idea di relazione – con un Principio superiore, esprime la parola quale vettore del divino.
Si precisa ancora che mantra e mantram sono equivalenti, poiché la seconda forma è semplicemente la declinazione della prima al caso accusativo.
Nel regno del Sacro siamo condotti di slancio: la dīkṣā è il termine sanscrito che indicava nelle tradizioni dell’India l’iniziazione e la trasmissione della conoscenza dei Mantra. La parola dīkṣā nella radice dīkṣ custodisce le componenti dī e kṣ, che esprimerebbero l’idea di “moto continuo della luce” [dī] “tutt’intorno” [kṣ], dando origine ai termini “consacrare”, “dedicarsi al divino” (Franco Rendich, Dizionario etimologico comparato delle lingue classiche indoeuropee. Sanscrito-Greco-Latino, Palombi Editori, 2010, p. 165).
L’uomo è proprio definito dalla sua potestà di pensare e di dare voce ai suoi pensieri: in sanscrito Manu è il Pensatore, a livello celeste e a livello umano, e la lingua inglese e tedesca conservano questo concetto originario con l’espressione man, uomo.
In sanscrito le radici man e mnā esprimevano il duplice significato di “pensare” e di “rammentare”: nella cultura greca Mnemosine è la dea della memoria e la madre delle Muse, e manteuo significava “vaticinare”. Il suono originario della radice indoeuropea man esprime dunque di per sé quello che avrebbe successivamente espresso Platone nei suoi Dialoghi: “conoscere”, pensare in modo aderente al reale, equivale a “ricordare” o “rammentare”. Trapela la visione di un livello intermedio fra la mente concreta e l’anima, che può essere colto attraverso l’intuizione, funzione della mente astratta, per la quale parimenti si esprimono l’ispirazione delle Muse e il Pensiero infuocato. I mantra, così come vengono descritti dalle Tradizioni, sono formule di relazione con il divino, che lo “leggono” nel mondo informale e lo esprimono in quello manifesto. Scrive Rendich in proposito: “mantra […] è il pensiero rituale, magico e misterioso, che permette di acquisire poteri sovrumani mediante la recita di formule sacrificali o di versi mistici (in sanscrito, quelli contenuti nei Veda)” (Op. cit. p. 291).
Ci avventuriamo ora al di là dei confini della linguistica, per ascoltare una poetica versione dell’origine del Cosmo, che evidenzia il potere creativo del suono: “ ‘AUM’, disse il Potente, e risuonò la Parola. Le settemplici onde della materia si separarono, e apparvero le forme. […] I Costruttori risposero al sacro suono. In musicale collaborazione attesero al lavoro” (A. A. Bailey, Trattato del Fuoco Cosmico, ed. Nuova era, 1980, par. ing. 12). È qui espresso l’incanto della creazione ai livelli più alti della Realtà: i mantra espressi dall’uomo sono la risposta intelligente e cooperante al Piano divino, e possiamo definirli arcobaleni sonori.
In modo più rigoroso e razionale, vengono così descritti dalla stessa autrice: “Un mantram è una combinazione di suoni, parole e frasi che, in virtù di certi effetti ritmici, consegue dei risultati che non sarebbero possibili senza di essi. […] Il potere di un mantram dipende dal punto di evoluzione di chi lo impiega. Pronunciato da un uomo comune serve a stimolare ciò che è buono nei suoi corpi, a proteggerlo, e dimostrerà anche un influsso benefico sull’ambiente. Pronunciato da un adepto o iniziato, le sue possibilità di bene sono infinite e di lunga portata. (Bailey, Op. cit., par. ing. 926).
In modo solo apparentemente contradditorio, un brano tratto dalla Collezione Agni Yoga, ci avverte che “[…] Alcuni cercano l’unione superiore ripetendo di continuo un mantra, prima a voce, poi mentalmente. Tuttavia essi dimenticano che il legame più potente passa per il fuoco del cuore, che illumina senza bisogno di parole o pensieri. Vive nel cuore ardente, e nulla può spezzarlo. […] Il Pensatore diceva che la via è illuminata non dalle parole, non dai pensieri ma dal fuoco del cuore. (Sovramundano IV, § 817, ed. Nuova Era, 2004).
Per ora dunque lasciamo decantare questi impulsi, certi che è l’aspirazione verso l’Alto e l’ispirazione gerarchica che fanno dell’uomo un costruttore, rendendo vibranti i suoi silenzi e le sue parole.
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