Succede spesso che le prefazioni di libri interessantissimi siano a loro volta altrettanto stimolanti, e chi le scrive sia autorevole quanto l’autore stesso del libro. Questo sicuramente accade nel caso del libro di Scwhaller de Lubicz, “Il tempio dell’uomo”, la cui prefazione e traduzione sono curate da Paolo Lucarelli. Qui ci sono moltissimi spunti interessanti. Argomenti che meriterebbero approfondimenti ulteriori in testi dedicati, come i riferimenti a Cleante di cui parleremo dopo o al simbolismo legato a Maât. Ma quello che colpisce di più in questa prefazione, è il riportare l’attenzione su una questione spesso non tenuta nella dovuta considerazione quando si parla di linguaggi arcaici e scomparsi, come quello degli antichi Egizi. Noi abbiamo la loro scrittura, abbiamo i loro segni, i grafemi e sintagmi inferiti, ma sicuramente, di questa lingua ci mancano i fonemi. E questa è una perdita non da poco. Stando a Fulcanelli o, prima ancora, a Grasset d’Orcet, nel suono delle parole formanti un testo, possono essere nascosti significati ad un livello più sottile. La pronuncia dei fonemi apre strade che solo a orecchie adatte si palesano. Quindi, la Cabala Fonetica, come Fulcanelli chiama questo aspetto della semiosi testuale, è una propensione individuale, “questione d’orecchio”, come si direbbe in musica. Particolari membrane timpaniche predisposte possono “sintonizzarsi” su definite sequenze fonetiche derivanti dalla lettura e quindi dalla pronuncia di testi. Va detto che Fulcanelli, nelle sue “Dimore Filosofali”, per Cabala non intende la Quabbaláh ebraica, ma un termine che deriva per deformazione da Karban il cui significato sarebbe “biascicare una lingua barbara” (Fulcanelli – Le Dimore Filosofali). Dobbiamo quindi rivedere, ampliare, il concetto classico di semiosi che vede, secondo Eco (Umberto Eco – I limiti dell’interpretazione) la partecipazione di tre elementi: il Segno, il suo Oggetto, ed il suo interpretante.
Nella figura qui sopra, il processo di semiosi classico è rappresentato dalla riga inferiore. Abbiamo un segno (e per segno intendiamo genericamente un “qualcosa che sta per qualcos’altro”), l’oggetto che questo segno designa e un interpretante che lecita il legame tra segno e oggetto attraverso la sua interpretazione. Fulcanelli ci suggerisce che esiste un altro tipo di processo semiotico, più sottile, ed è quello che in Fig.1 è rappresentato dalla riga superiore. I fonemi derivati dalla pronuncia del segno, designano un altro oggetto (Oggetto 2) che può essere completamente diverso da quello designato dal segno nella semiosi classica (Oggetto 1). In questo caso, l’interpretante leciterà il legame tra la pronuncia del segno e l’oggetto designato dalla sequenza di fonemi, in base alla predisposizione del suo orecchio. Interpreterà, quindi, la sequenza fonetica in modo da vedere (mi si perdoni qui l’evidente sinestesia) l’oggetto suggerito, se questa era l’Intentio Auctoris.
Il “potere” insito nel suono delle parole era stato intuito e studiato già ai tempi di Eraclito e meglio compreso in seguito dallo stoico Cleante che parla di Logos Spermatikòs, la ragione seminale, un principio che diffonde nella materia inanimata vitalità e risveglia in essa i vari Enti, attraverso il suono delle parole, portandoli alla vita. Secondo Cleante, il Logos, la ragione, è presente in tutte le cose, dalle più grandi alle più piccole, a tutti i livelli di scala (sia fisica che spirituale), riguarda quindi Enti terreni ed Enti Celesti. La parola e la sua pronuncia, sono il principio vivificatore di questi Enti. Anche nella Bibbia la parola è lo strumento della creazione: “In principio era il Verbo”, oppure “Fiat Lux”. Adamo attraverso il suo linguaggio primordiale, archetipale (Umberto Eco – La ricerca della lingua perfetta — Dio non diede ad Adamo una lingua, ma una grammatica. Adamo creò un vocabolario, dando così origine alla “prima lingua”) nomina le cose e gli animali. Assegna loro un nome e a questo nome, un suono. Questo è quello che poi l’essere umano ha continuato a fare distinguendosi da qualsiasi altra forma vivente osservabile su questo pianeta. Molti altri animali hanno un linguaggio, anche piuttosto evoluto, ma solo l’essere umano è in grado di dare un nome alle cose. Questo nominare, questo costruire con i suoni della pronuncia delle parole ha modellato il mondo attorno a noi. Infatti questa affermazione ha le sue basi in quello che si chiama “Relativismo Linguistico” conosciuto anche come “Ipotesi di Sapir-Whorf ” (SWH per gli addetti ai lavori).
Questa ipotesi (si chiama ipotesi, ma è più un assioma) afferma che la capacità cognitiva di ogni essere umano è influenzata dalla lingua che esso parla. E quindi, il linguaggio è in grado di aprirci canali sensoriali verso il mondo la cui ampiezza e “sensibilità” dipendono dalla lingua (e dai suoni di essa, aggiungo io) che si parla. L’etnologo e linguista Edward Sapir iniziò ad intuire quanto la lingua ed i suoi fonemi possano influenzare la nostra comprensione e cognizione del mondo, ma fu il suo allievo Benjamin Lee Whorf a dettare le linee guida e a formalizzare questa teoria. Infatti Whorf scriveva:
–
lingue madri. Le categorie e le tipologie che individuiamo nel
mondo dei fenomeni non le troviamo lì come se stessero davanti
agli occhi dell’osservatore; al contrario, il mondo si manifesta in
un flusso caleidoscopico di impressioni che devono essere
organizzate dalle nostre menti, cioè soprattutto dai sistemi
linguistici nelle nostre menti. Noi tagliamo a pezzi la natura, la
organizziamo in concetti, e nel farlo le attribuiamo significati, in
gran parte perché siamo parti in causa in un accordo per
organizzarla in questo modo; un accordo che resta in piedi
all’interno della nostra comunità di linguaggio ed è codificato
negli schemi della nostra lingua… tutti gli osservatori non sono
guidati dalle stesse prove fisiche verso la stessa immagine
dell’universo, a meno che i loro bagagli linguistici siano simili, o
possano essere in qualche modo calibrati.”
Partendo dalla conoscenza dei Maestri che usavano i suoni di una lingua per guidarci su percorsi più sottili dell’esistenza fino ad arrivare alla formalizzazione in tempi moderni di questa idea, noi percorriamo una strada fatta di suoni che costruiscono Templi di conoscenza (cognizione) che potremo percepire quando saremo in grado di adattare ed “allenare” il nostro orecchio a riconoscerli. Le parole creano “spazi sonori” e le frasi ed i testi letti e pronunciati creano cattedrali di suoni verso le quali il nostro spirito è attratto e all’interno di questi spazi le “similitudini” faranno da chiave per accedere a livelli superiore della cognizione. Similitudini come “Risonanze” o “Affinità Elementari”. I greci conoscevano molto bene la teoria acustica e come costruire secondo questa teoria i loro luoghi cultuali. Per non parlare degli antichi Egizi che padroneggiavano perfettamente quella che oggi con termini moderni si chiama Levitazione Acustica (tecnica usata ancora oggi in alcuni monasteri tibetani).
Per mezzo di questa tecnica, gli Egizi erano in grado di sollevare enormi pesi usando solo tamburi e trombe o, stando ad alcuni Papiri, utilizzando le “Parole del Potere” che il dio Thot (divinità della Luna, della Scrittura, della Magia e della Matematica geometrica) aveva insegnato ai suoi sacerdoti. Queste “Parole” sarebbero in grado, se pronunciate in un certo modo, di creare strutture tridimensionali di risonanza in grado di spostare enormi pesi e quindi avrebbero reso possibile la costruzione delle piramidi (Henry Kjellson – Forsvunden Teknik, Henry Kjellson – Teknik Forntiden).
Prestiamo quindi attenzione al suono che le parole hanno. Impariamo ad allenare il nostro orecchio a “sintonizzarsi” sulle sequenze sonore delle parole. Molti mondi ci possono essere dischiusi da questa pratica.
@Guglielmo Ungarelli
Qui c’è il link dell’Accademia delle scienze americana dove si parla della ricerca svizzera sulla levitazione acustica, assieme ad altri link che si riferiscono allo stesso articolo:
http://www.focus.it/scienza/scienze/che-cose-la-levitazione-acustica
https://www.youtube.com/watch?v=UB0otmKNO3I
Luca
E’ possibile avere maggiori ragguagli e documentazione “certa” sulla “levitazione acustica” che dite essere ancor’ oggi praticata in alcuni Monasteri tibetani ? Ringrazio.
Cordiali saluti
Guglielmo Ungarelli
Molto interessante ringrazio per la ricchezza di informazioni
Interessantissimo