Sacro

Glossario – Sacro

 

Etimo secondo TPS

 

Dal latino sacer, la cui matrice indeuropea è in realtà da definire: per la maggior parte dei linguisti, vi si può individuare la radice *SAC-/*SAG-, che esprime l’idea di aderire, essere avvinti al divino; per altri, l’etimo di base è lo stesso del sanscrito sac-ate, seguire la divinità; da F. Rendich, infine, è proposta la radice yaj, che suggerisce il concetto di “avanzare dritto in avanti in segno di offerta”, “dirigersi verso il cielo” (Dizionario etimologico comparato delle lingue classiche indoeuropee, Roma 2010, Palombi Editore, p. 322).

Al di là della definizione della radice, emerge in modo chiaro che, qualunque essa sia fra le tre indicate, l’essenza del sacro è il collegamento con il Cielo.

Anche il termine “sacrificio” significa letteralmente “compiere un atto sacro, rendere sacro”, dal latino sacrum facere: non “sottoporsi a una privazione”, bensì “aprirsi al possente contatto con il divino”, relazione che rende creativi e vitali ogni pensiero, parola e atto.

 

Il sacro è l’espressione del contatto con l’Alto


Treccani

 

sacro1 (ant. sagro) agg. [lat. sacer -cra -crum]. –

1.a. In senso stretto, si definisce sacro ciò che è connesso all’esperienza di una realtà totalmente diversa, rispetto alla quale l’uomo si sente radicalmente inferiore, subendone l’azione e restandone atterrito e insieme affascinato; in opposizione a profano, ciò che è sacro è separato, è altro, così come sono separati dalla comunità sia coloro che sono addetti a stabilire con esso un rapporto, sia i luoghi destinati ad atti con cui tale rapporto si stabilisce. Più in generale, che riguarda la divinità, la sua religione e i suoi misteri, e che per ciò stesso impone un particolare atteggiamento di riverenza e di venerazione: persona, cosa s.; luogo s.; il carattere s. di un luogo, di un oggetto; riti s.; vesti s. o vestimenti s.; paramenti s.; i s. arredi; fuoco s., in Roma antica, quello tenuto perennemente acceso dalle Vestali. Sostantivato con valore neutro e con uso assol., il sacro, ciò che gli uomini avvertono come totalmente altro e che si manifesta con forza misteriosa, rispetto al quale si sentono sottoposti, spaventati e nello stesso tempo attratti. Con riferimento alla fede e al culto della religione cattolica (spesso abbreviato graficamente in s. o S., in locuzioni fisse per le quali non vi sia possibilità di scambio con la lettura santo): il Sacro Cuore di Gesù e di Maria; la S. famiglia, anche per indicarne la rappresentazione nelle arti figurative (v. famiglia, n. 1 b); la S. Scrittura, i libri s., i s. testi, la Bibbia, i libri del Vecchio e Nuovo Testamento; edifici s., le chiese e altri luoghi dedicati al culto (analogam., architettura s.); il s. fonte, il fonte battesimale; una funzione s., le s. funzioni; invito s., a una funzione religiosa (di solito, titolo di avvisi a stampa); ordine s., quello conferito dal sacramento dell’ordine; le fu tolta Di capo l’ombra de le sacre bende (Dante), i veli monacali; festività sacre, le feste religiose; le sacre tempora (v. tempora); letter., i s. bronzi, le campane; per sacro monte o Sacro Monte, v. monte, n. 1 b. Con lo stesso sign. di santo: Vergine sacra ed alma, Non tardar, ch’i’ son forse a l’ultimo anno (Petrarca).

1.b. Che ha per oggetto la religione o è destinato alla religione: eloquenza, oratoria s.; arte s., quella relativa alla costruzione e alla decorazione di chiese; musica s., quella destinata alle funzioni del culto (per es., canti liturgici, mottetti) e, per estens., la produzione musicale nata con fini di elevazione spirituale e in cui il testo è connotato da espliciti riferimenti religiosi (per es., sacre rappresentazioni, oratorî, cantate, madrigali spirituali), ma non concepita originariamente come parte integrante della liturgia; s. rappresentazione (v. rappresentazione, nel sign. 2); il poema s., la Divina Commedia, così denominata da Dante stesso (Se mai continga che ’l poema sacro Al quale ha posto mano e cielo e terra …) per il suo carattere profetico e per l’itinerario compiuto nei tre regni dell’aldilà.

1.c. Il termine ricorre anche in denominazioni tradizionali e in espressioni particolari: il S. Collegio dei cardinali; le S. congregazioni romane (v. congregazione); s. palazzo, denominazione della corte imperiale romana, risalente all’epoca costantiniana, e poi anche dell’organizzazione centrale dell’amministrazione del regno longobardo; i s. palazzi apostolici, gli edifici che costituiscono la residenza papale in Vaticano; il tribunale della S. Rota (v. ròta); S. Romano Impero, l’istituzione religioso-politica medievale fondata da Carlo Magno la notte di Natale del 799, così detta per sottolineare la continuità ideale dell’impero romano e la funzione di difesa della cristianità; guerre s., le quattro guerre svoltesi in Grecia fra il primo decennio del sec. 6° e il 338 a. C., miranti a garantire l’incolumità o a vendicare la violazione del santuario di Apollo delfico, ma in realtà dovute all’aspirazione dei varî stati a controllare politicamente l’oracolo di Delfi; Via s. (lat. Sacra via), in Roma antica, la via che attraversava il Foro Romano da ovest a est, così detta perché correva lungo la zona dei templi e vi si svolgevano le processioni; primavera s., in Roma antica (v. primavera). Morbo s. (o male s.), antico nome dell’epilessia, così detta (già in greco, ἱερὰ νόσος) per le sue manifestazioni convulsive, analoghe a quelle di baccanti, vati e profetesse quando erano posseduti dal dio (v. anche benedetto, nel sign. 6).

2. Con sign. estens. e generico, degno di alta venerazione o del massimo rispetto: l’immortal capo accennando Piovea dai crini ambrosia su la Ninfa, E fe’ sacro quel corpo e la sua tomba (Foscolo). Anche senza diretta connessione con l’elemento e col sentimento religioso: S. Maestà, S. Corona, antichi titoli di rispetto usati per i sovrani; la persona del re è considerata s.; l’ospite è s.; il s. nome della libertà; custodire le s. memorie; coltivare i più s. ideali. Spesso riferito alla persona o all’attività dei poeti: i s. ingegni; i s. studî; il sacro vate (Foscolo, di Omero). Con sign. più determinato, inviolabile: i s. diritti dell’uomo; se pia la terra … sacre le reliquie renda Dall’insultar de’ nembi e dal profano Piede del vulgo (Foscolo)

3. Con valore più soggettivo, di cosa che, pur non appartenendo alla sfera della religione o di ciò che comunemente si ritiene venerabile, è tuttavia riguardata con sentimento di venerazione e di alto rispetto: la promessa è s.; questo è per me un s. dovere; è stato offeso nei suoi sentimenti più sacri. Spesso accompagnato da un complemento di termine: luoghi s. alla patria per il sangue versato dai suoi figli; i sentimenti, le memorie che mi sono più sacre; anche nel senso di consacrato, dedicato: l’olivo è s. a Minerva; Già l’are a Venere sacre … Devotamente hai visitate (Parini).

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Wikipedia

 

Sacro è un termine storico religioso, fenomenologico religioso e antropologico che indica una categoria di attributi e realtà che si aggiungono o significano ulteriormente il reale ordinariamente percepito e indicato come profano.

L’esperienza del “sacro” è al cuore di tutte le religioni.

«Il sacro è un elemento della struttura della coscienza e non un momento della storia della coscienza. L’esperienza del sacro è indissolubilmente legata allo sforzo compiuto dall’uomo per costruire un mondo che abbia un significato. Le ierofanie e i simboli religiosi costituiscono un linguaggio preriflessivo. Trattandosi di un linguaggio specifico, sui generis, esso necessita di un’ermeneutica propria.» (Mircea Eliade, Discorso pronunciato al Congresso di Storia delle religioni di Boston il 24 giugno 1968).

Storia e origine del termine

Il termine italiano “sacro” deriva dal termine latino arcaico sakros, rinvenuto sul Lapis Niger, sito archeologico romano risalente al VI secolo a.C.[3] e, in un significato successivo, indica anche ciò che è dedicato ad una divinità, ed al suo relativo culto; infatti, tale termine lo si trova, con medesimo significato, anche in altre lingue antiche come, ad esempio, l’ittita saklai e il gotico sakan.

La radice di sakros, è il radicale indoeuropeo *sak il quale indica qualcosa a cui è stata conferita validità ovvero che acquisisce il dato di fatto reale, suo fondamento e conforme al cosmo. Da qui anche il termine, sempre latino, di sancire evidenziato nelle leggi e negli accordi. Seguendo questo insieme di significati, il sakros sancisce una alterità, un essere “altro” e “diverso” rispetto all’ordinario, al comune, al profano.

Il termine sakros corrisponde all’ittita saklai, al greco hagois, al gotico sakan.

La radice di sakros si ritrova nell’accadico (lingua o insieme di lingue dell’area semitica, ormai estinte) saqāru (“invocare la divinità”), sakāru (“sbarrare, interdire”) e saqru (“elevato”). Simili a sua volta, il radicale indoeuropeo *sak, *sag, col significato di avvincere, aderire, o sac-ate, col significato di seguire, o sap-ati, col significato di onorare, sempre sottintendendo una divinità, a tal punto che negli antichi testi Ṛgveda può anche diventare sinonimo di adorare[4]. Anche per i popoli dell’Europa centrale il termine era strettamente legato alla spiritualità ed alla relativa alla salvezza dell’anima, indicandola come Heil, da cui deriva il termine germanico e olandese Heilig, il danese hellige, l’inglese holy etc.

Il rapporto del termine con la religione si estese poi anche per divinità maligne come, ad esempio, è avvenuto nel termine latino ex-sacrabilis, ex-secrabilis, ovvero per il sacro, dove invece il relativo termine “esecrabile” vuol dire invece cattivo, ripugnante. Gli antichi Greci invece, usavano distinguere il termine greco antico hagios per indicare qualcosa di inviolabile, non accessibile ai comuni mortali (tradotto in latino come latino santcus, santo) dal termine hieron, a indicare propriamente la potenza divina in sé, come ad esempio la costruzione di un Tempio dedicato alla divinità. In antichità quindi, il significato veniva applicato a tutti i rituali religiosi annessi, dove spesso esistevano le cosiddette vittime “sacrificali” e dove è probabile derivi anche il termine osso “sacro”, indicando tradizionalmente in questo  la parte anatomica più gradita agli dei.

Il termine si estese ancora, in termini più generici, ad indicare qualcosa a cui è stata conferita una oggettiva validità, ovvero che acquisisce il dato di fatto reale, suo fondamento e conforme al cosmo. Da qui anche il termine, sempre latino, di sancire, evidenziato in leggi o accordi. Seguendo questo insieme di significati, il sakros sancisce una alterità, ovvero un essere “altro” e “diverso” rispetto all’ordinario, al comune, al profano, e dal quale iniziò lo studio della cosiddetta antropologia del sacro e della ierofania.

In significati ancor più recenti e popolari poi, il termine sacra, da cui deriva l’analogo “sagra”, fu applicato a indicare non più una costruzione, una festa tradizionale o un rituale strettamente legato ad un culto devozionale-religioso, bensì legato a una qualsiasi generica commemorazione (ad es. la primavera, il raccolto, i prodotti agroalimentari, etc.).

Il sacro negli studi contemporanei

Marcel Mauss (1872-1950) ed Henri Hubert (1872-1927), autori dell’Essai sur la nature et la fonction du sacrifice (1897, trad. it.:Saggio sul sacrificio), sono tra i primi studiosi ad indagare la dimensione del “sacro” che, a detta di questi, si manifesta nel “sacrificio” il quale, per mezzo della vittima, permette agli esecutori dello stesso, i “sacerdoti”, di passare dal piano del “profano” al piano del “sacro”.

Nel successivo Saggio su una teoria generale della magia (1902) Marcel Mauss individua nel mana un concetto più generale che comprende sia il sacro che la religione, ma anche la magia.

Émile Durkheim (1858-1917) nell’opera Les Formes élémentaires de la vie religieuse (Le forme elementari della vita religiosa, 1912) riprende i lavori di Mauss ma aggiunge altri strumenti come “rottura di livello” per provocare il passaggio dal profano al sacro. Quindi non solo il “sacrificio” ma anche altri riti cultuali e di iniziazione consentono l’ingresso nel “sacro”. Peraltro per Durkheim, il quale basava il suo studio su ricerche etnografiche condotte in Australia, l’esperienza religiosa consente ad un gruppo umano di avere esperienza di sé.

Ma è con Rudolf Otto (1896-1937) che la dimensione del “sacro” acquisisce un peculiare ambito di ricerca. Nella sua opera Das Heilige (1917, Il Sacro), Otto analizza l’esperienza umana del “sacro” e la qualifica come terrificante e irrazionale; una esperienza indicata come mysterium tremendum davanti ad una “realtà” a cui viene attribuita una schiacciante superiorità e potenza. Ma anche una realtà dotata di mysterium fascinans in cui può realizzarsi la pienezza dell’essere. Otto identifica queste esperienze come “numinose” (esperienze del divino), di fronte al quale l’uomo si sente annichilito. Esse vengono ritenute al di là dell’umano e persino del cosmico. La peculiarità del “sacro” è, per Otto, riconducibile alla sua impossibilità ad essere spiegato o ricondotto ad un linguaggio pertinente per altri oggetti di ricerca.

Lo storico delle religioni svedese Nathan Söderblom (1866-1931) in The Nature of Revelation (1931) è il primo a coniugare strettamente il termine “sacro” con quello di “religione”:

«Sacro è la parola fondamentale in campo religioso; è ancora più importante della nozione di Dio. Una religione può realmente esistere senza una concezione precisa della divinità, ma non esiste alcuna religione reale senza la distinzione tra sacro e profano.»

Uno dei primi studiosi della Fenomenologia della religione, Gerardus van der Leeuw (1890-1950), autore di Phanomenologie der Religion, (1933, Fenomenologia della religione), ribadisce la peculiarità dell’ambito della ricerca fenomenologica della religione individuando i temi ricorrenti nella storia e nelle differenti religioni attraverso il presentarsi di strutture e forme tipiche come riti e credenze. A tal proposito van der Leeuw conia l’espressione di homo religiosus per indicare quell’uomo che ha una condotta specifica in relazione con il “sacro”.

Mircea Eliade (1907-1986) in Le Sacré et le profane (Il sacro e il profano, 1956), suggerisce al riguardo del “sacro” il termine “ierofania” inteso come “qualcosa di sacro ci si mostra”. Per Eliade la storia delle religioni, dalla preistoria ad oggi, è costituita dall’accumularsi di “ierofanie” ovvero dalla manifestazione di realtà “sacre”. Il “sacro” non ha nulla a che fare con il nostro mondo, il “profano”. Per Eliade tutto il mondo fisico può essere assunto nella cultura umana, soprattutto arcaica, al rango di sacro. La pietra o l’albero possono essere investiti della potenza del sacro senza perdere le loro caratteristiche fisiche, “profane”. Essendo “potenza” per le culture arcaiche il “sacro” assurge a massima realtà e risulta saturo d’essere. Per Eliade il Cosmo desacralizzato, ovvero considerato del tutto privo di quella potenza, è una scoperta recente dell’umanità. L’uomo moderno quindi, per Eliade, ha difficoltà a comprendere il rapporto dell’uomo arcaico con la “sacralità”. “Sacro” e “profano” sono due modi di essere completamente diversi. Per l’uomo arcaico, ad esempio, molti atti del tutto fisiologici (“profani”) per l’uomo moderno sono investiti di sacralità: l’alimentazione, la sessualità, etc.

«Ogni rito, ogni mito, ogni credenza, ogni figura divina riflette l’esperienza del sacro, e di conseguenza implica le nozioni di essere, di significato, di verità. […] Il “sacro” è insomma un elemento nella struttura della coscienza, e non è uno stadio nella storia della coscienza stessa. Ai livelli più arcaici di cultura vivere da essere umano è in sé e per sé un atto religioso, poiché l’alimentazione, la vita sessuale e il lavoro hanno valore sacrale. In altre parole, essere – o piuttosto divenire – un uomo significa essere “religioso”.» (Mircea Eliade. Storia delle credenze e delle idee religiose vol. I. Sansoni, 1999, pag.7)

L’uomo che vive l’esperienza del “sacro” viene indicato anche da Eliade come homo religiosus. Mircea Eliade, inoltre, rileva come la dimensione del sacro, separato dal profano, abbia diverse analogie con il termine tabú, presente nelle lingue della Polinesia e adottato precedentemente da diversi etnografi.

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