Potere

Glossario – Potere

 

Etimo secondo TPS

 

Dal verbo latino posse, la cui forma antiquata era potere (che sta per pot-se, contratto da potis-esse, essere potente). E’ pertanto necessario riflettere che la parola è composta da due radici: *PA- o pat di potis e *AS- di esse:

*PA – Secondo la maggior parte dei linguisti, la radice indoeuropea di riferimento sarebbe *PA- che esprime il concetto di proteggere, nutrire, custodire, dominare, avere autorità. E’ la stessa radice di “padre”. Sanscrito pit, greco patèr, latino pater, russo pat’, tedesco vater, inglese father. In italiano è anche la stessa radice di “pasto” e di “pastore”, esprimendo l’idea della guida. Secondo Franco Rendich la consonante p in indoeuropeo esprimeva l’idea di purificazione. Il padre era il purificatore per antonomasia e fu chiamato pit colui che esercitava la purificazione; il figlio, suo vicario nel compiere la funzione di purificazione, fu detto putra, il protettore di ciò che è puro. La zona orientale del cielo ove sorge il sole, fonte di luce “purificatrice”, fu detta puras. Il sacerdote, cui spettava il compito di purificare, fu chiamato pot (Dizionario etimologico comparato delle lingue classiche indoeuropee, Roma 2010, Palombi Editore, p. 221). Si nota che anche oggi l’epiteto di “padre” si dà ai sacerdoti. Per potis però Rendich propone la radice indoeuropea pat (che riconosce affine a *PA-) in cui distingue le componenti [at] “muoversi in ogni dove”, [p] “allo scopo di purificare”: “avere potere”, “governare” (Dizionario etimologico comparato delle lingue classiche indoeuropee, Roma 2010, Palombi Editore, p. 227);

*AS:

  1.  Radice indoeuropea *AS- che esprime l’idea di essere/esistere/avviare relazioni: generalmente, rimane AS nelle lingue del ramo asiatico indo-iranico e diviene ES nelle lingue del ramo europeo. Sanscrito as, asti essere; sattva, essenza; satya, verità. Tedesco sein dall’antico sin, derivato da esin. Esprime l’idea di essere.
  2. Si osserva in latino: il tempo presente e imperfetto del verbo attinge alla radice *AS-/*ES-: sum /sono; eram (da esam)/ero; il tempo perfetto, fui, e i suoi composti attingono invece ad altra radice indoeuropea: *BHU-, che esprime l’idea di essere ma con l’intonazione del divenire temporale, del costruire: si veda in italiano ad es. la voce “futuro”, che connota la qualità con cui si esprime l’idea della proiezione temporale; si veda anche il termine “feto”.

E’ interessante notare pertanto, nel verbo “essere”, attraverso le due radici sopra citate, nell’una l’idea assolutamente astratta dell’essenza/esistenza, sciolta da qualsiasi connotazione temporale, e nell’altra l’idea dello svolgimento (connessa a quella dell’essere stato e del futuro: infinito passato e futuro: fuisse/ futurum). E infatti questo verbo, che è voce espressiva fondamentale nelle lingue indoeuropee, è considerato “irregolare”.
Secondo Franco Rendich il suono as esprimerebbe l’idea di “avvio” [a] di “relazioni con” [s]; “essere”, “esistere”, poiché la consonante s in indoeuropeo avrebbe espresso l’idea di “unione”, “legame”, “prossimità”. E’ un concetto molto forte, perché, se è così, indica che “si è” in quanto “si è in relazione”. E’ anche interessante il significato che l’autore conferisce alla funzione della radice verbale as, essere, con il preciso senso di “copula”: «[…] Come tale il verbo “essere”, svolge il ruolo di ‘mediatore tra soggetto e predicato’; opera l’atto che, unendo, genera una nuova entità’; […]». (Dizionario etimologico comparato delle lingue classiche indoeuropee, Roma 2010, Palombi Editore, (p. 425).

Il russo est’, esserci, esprime l’idea di presenza.

 

Il potere significa direzione di unione


Treccani

 

potére1 (ant. podére) s. m. [uso sostantivato del verbo potere2]. –

1. a. Capacità, possibilità oggettiva di agire, di fare qualcosa: noiscorgiamoil colmo della nostra esistenza nelle tre sole facoltà del potere, del conoscere, del volere (Mamiani); a mio (tuo, suo, ecc.) p., per quanto dipende da me (te, lui, ecc.): Ogni sera all’albergo se ne gìa, Schivando a suo poter d’alloggiar male (Ariosto); a tutto p., con tutta la forza e l’impegno di cui si è capaci, a più non posso: rifuggì mai sempre dall’impacciarsi nelle faccende altrui; anzi si scusava a tutto potere dall’ingerirvisi ricercato (Manzoni); fare ogni proprio p., tutto ciò che si ha la possibilità di fare, compiere ogni sforzo per riuscire in un’impresa: gli uomini rarissime volte fanno ogni loro potere (Leopardi).

1.b. Con senso più affine a potenza: Troppo forte è, signor, lo suo valore, Che, come vedi, el tuo poter non cura (Poliziano, con riferimento alla potenza del dio Amore). Nel linguaggio milit., p. marittimo e p. aeromarittimo, l’insieme delle possibilità che una nazione ha di esercitare utilmente le attività sul mare e nello spazio aereo in modo da trarne vantaggi economici e militari.

1.c. Virtù, dote particolare: dicono che quell’uomo abbia p. paranormali; è dotata di un p. taumaturgico; sembra possedere p. magici; p. divino, onnipotenza.

1.d. Capacità di influire sul comportamento altrui, di influenzarne le opinioni, le decisioni, le azioni, i pensieri: non ho alcun p. su di lui; ha sempre avuto molto p. sui figli; le sue parole esercitano uno strano p. su di me; capacità di attrarre, di legare a sé, di mettere in uno stato di soggezione psicologica, spec. nell’ambito di una relazione amorosa: il p. della sua voce, dei suoi sguardi; il magico p. delle sue carezze; Io conosco il poter degli occhi tuoi (Goldoni); più genericam., fascino, forza d’attrazione: il p. della musica, della poesia; l’irresistibile p. della passione amorosa. e. Dominio, balìa, possesso: ha ridotto quella poveretta in suo p.; ormai siete in mio p.; ci tiene tutti in suo p.; è caduto in p. dei nemici; l’isola venne in p. degli insorti.

2.a. Nel diritto, in senso ampio, qualunque facoltà di compiere azioni giuridicamente rilevanti, sia come manifestazione immediata della personalità, e quindi della capacità giuridica, di un soggetto (per es., nel campo del diritto pubblico, il p. legislativo, il p. esecutivo, il p. giudiziario, proprî dello stato e dei suoi organi), sia come sinon. di facoltà e talora di potestà, relativamente al compimento di determinati atti giuridici: p. di alienare, di acquistare, ecc. Divisione dei p., teoria politico-costituzionale secondo la quale nello stato le tre funzioni fondamentali di legiferare, amministrare, rendere giustizia, sono da attribuire a organismi diversi e indipendenti l’uno dall’altro. Con valore ugualmente ampio, nelle espressioni p. spirituale e p. temporale dei papi, e separazione dei due poteri.

2.b. In senso più limitato, particolare autorità conferita a una persona o a un organo in relazione alla carica o all’ufficio che ricopre, alla funzione che svolge e sim.: l’esercizio di un p., dei proprî p.; dare, conferire il p. di …; abuso, usurpazione di potere o di poteri; conflitto di poteri, v. conflitto; eccesso di potere, superamento del limiti imposti dalla legge nell’esercizio di un potere; poteri di rappresentanza, autorizzazione da parte del titolare di un diritto o dello stesso ordinamento giuridico a che un soggetto diverso dal titolare compia delle scelte per conto dell’altra parte o delle altre parti del rapporto; p. coercitivi, quelli conferiti al magistrato per l’esercizio delle sue funzioni; p. discrezionale, quello esercitato dagli organi del potere esecutivo e, in qualche caso, dal giudice (v. discrezionale); verifica dei p., accertamento dei poteri di rappresentanza e della legittimazione a intervenire nel compimento di un determinato atto o a partecipare ai lavori di un’assemblea. Pieni p., in diritto internazionale, quelli attribuiti ai plenipotenziarî, e, nel diritto interno, i poteri straordinarî delegati al governo in caso di guerra o pericolo grave per le istituzioni, in base ai quali il potere esecutivo esercita anche la funzione legislativa (la vigente costituzione italiana ne vieta l’istituzione, prevedendo che in caso di guerra il parlamento deleghi al governo soltanto i p. necessarî per fronteggiare il pericolo); per estens., nel linguaggio com., avere, dare i pieni p., avere, dare, piena facoltà di agire come si vuole.

2.c. Nell’uso com., facoltà di fare o non fare una cosa, di compiere o meno una data azione; quindi, libertà di azione, di decisione, di scelta: non avete il p. di fare questo!; hai forse il p. d’impedirmi di andarmene?; da questo corso si diparte Talor la creatura, c’ha podere Di piegar, così pinta, in altra parte (Dante); è in mio, in tuo p., sta in nostro p. e sim., dipende dalla mia, dalla tua, dalla nostra volontà: ho fatto tutto ciò che era in mio p. di fare, tutto ciò che mi era consentito, tutto quello che era nelle mie possibilità. Per estens., autorità: non ho il p. di prendere decisioni in merito; avere poco, molto p.; ha una posizione di grande p.; avere pieno p. di fare qualcosa.

2.d. Con uso assol., il p., la direzione della cosa pubblica, il predominio politico: conquistare il p.; raggiungere il p.; prendere il p., impadronirsi del p., spec. con atti di forza o rivoluzionarî; tenere, conservare il p.; rinunciare al p.; perdere il p.; p. assoluto, dispotico; al p., nella posizione in cui si detiene il potere, ossia si governa, si decide, si comanda, ecc.: andare, arrivare, salire al p.; essere al p. (anche come locuz. aggettivale: gli uomini, i partiti al p., quelli che guidano il governo); vuoto di potere, assenza di un governo che abbia la pienezza dei p., cioè l’integrità delle sue funzioni. Talora al concetto del predominio politico si associa anche quello del predominio economico e in genere della potenza decisionale comunque ottenuta (con alte cariche pubbliche e amministrative, ecc.); possono avere questo sign. più largo le espressioni dare la scalata al p., lotta per il p., la conquista del p., la sete e l’arroganza del p., e sim.; uomini di potere, le persone che sono ai vertici delle strutture politica, economica e amministrativa dello stato o di altre imprese pubbliche e private.

2.e. Con valore concr., l’insieme delle persone, degli organi, delle istituzioni a cui sono devoluti i poteri dello stato (precisando, il p. politico): il p. centrale, l’amministrazione centrale dello stato, in contrapp. al p. periferico; i p. civili e militari; in senso collettivo, il governo: Un gran proverbio, Caro al potere, Dice che l’essere Sta nell’avere (Giusti); il p. costituito, le autorità che esercitano la guida dello stato in forza della legge.

2.f. Seguito da una qualificazione, denominazione di organizzazioni e movimenti rivoluzionarî sorti dopo gli anni ’60 del Novecento: p. nero (in passato p. negro), movimento rivoluzionario diffuso fra i neri degli Stati Uniti, più noto con il nome ingl. black power (v.); p. operaio, movimento di estrema sinistra nato nel 1964 fra gruppi di contestatori di diversa appartenenza ideologica, il cui scopo era la conquista del potere politico ed economico da parte di una ipotetica e astratta «classe operaia» (è stato sciolto nel 1973).

2.g. In alcune denominazioni formate con un agg. numerale ordinale e usate spesso spec. nel linguaggio giornalistico quarto p., la stampa, così detta per il ruolo preminente che ha assunto oltre i tre poteri tradizionali (legislativo, esecutivo e giudiziario); quinto p., denominazione data in passato al cinema e attualmente alla televisione, per il ruolo preminente assunto come mass media nel campo culturale, politico, e, in genere, dell’informazione.

3. Capacità, proprietà: il p. di penetrazione di una teoria; l’acqua ha un notevole p. diuretico; questo sign., oltre che nel linguaggio com., è frequente in numerose espressioni di determinate discipline:

3.a. In economia: p. di acquisto, il valore di scambio della moneta, cioè la quantità di merci o di monete estere che si può ricavare con la sua cessione; p. economico, il potere di prendere decisioni riguardanti l’attività economica di una collettività (consumi, risparmî, investimenti, ecc.), che spetta agli organi politici e alle autorità finanziarie, ma a cui di fatto partecipano le grandi imprese, le organizzazioni sindacali, ecc.; p. liberatorio, il potere di estinguere debiti che hanno le monete e i biglietti di banca e di stato a corso legale, cui corrisponde il dovere del creditore di accettarli a estinzione del credito; p. di mercato, la capacità d’influire sul mercato e quindi sul prezzo di un prodotto più degli altri offerenti e richiedenti.

3.b. Nelle scienze sperimentali e nella tecnica, il termine, seguito da un’opportuna specificazione, indica una certa proprietà di un corpo o di un sistema: il p. assorbente di un terreno; p. detergente, capacità di un detergente di asportare il sudiciume da una superficie; p. ricoprente, proprietà caratteristica dei colori e delle lacche di non lasciar trasparire il colore di fondo; p. dolcificante, la capacità che ha una sostanza dolcificante di dare sapore dolce a un’altra sostanza cui venga aggiunta (si valuta mediante diluizioni acquose successive, con riferimento a quello dello zucchero di barbabietola o di canna, al quale è attribuito valore unitario); anche con una precisa determinazione quantitativa: p. calorifico, la quantità di calore, in chilocalorie o in chilojoule, sviluppata da 1 kg di combustibile (o anche da 1 m3 misurato in condizioni normali di pressione e temperatura per i combustibili gassosi) nella completa combustione, a pressione costante, riportando i prodotti della combustione a 0 °C e a 1 atmosfera: p. calorifico superiore, comprendente anche il calore di condensazione di tutta l’acqua presente nei prodotti di combustione; p. calorifico inferiore o effettivo, ottenuto dal precedente sottraendo il calore di condensazione dell’acqua che, nella generalità dei casi pratici, viene scaricata nell’atmosfera assieme ai prodotti di combustione, a temperature superiori ai 100 °C; p. risolvente o risolutore o separatore, in ottica, la capacità che ha un dispositivo di osservazione (occhio, cannocchiale, microscopio, ecc.) di fornire immagini in cui appaiono ben distinguibili, ossia ben separati, o, come anche si dice, ben risolti, i dettagli dell’oggetto osservato (v. risolvente, n. 1); p. risolutivo, in fisica, v. risolutivo, n. 1 b; p. rotatorio, v. rotatorio. In elettrologia, p. delle punte, proprietà dei conduttori di forma appuntita, sfruttata, per es., nel parafulmine e in varie macchine elettrostatiche, che deriva dal fatto che il campo elettrico è molto intenso in prossimità della punta di un conduttore carico, per cui si manifesta una accentuata attitudine della punta ad attrarre o generare scariche elettriche.

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potére2 v. tr. [lat. *pŏtēre, per il class. pŏsse, rifatto sul participio potens e sulle altre forme in pot– della coniugazione (potes, poteram, ecc.)] (nella coniugazione si alternano i temi pot– e poss-: pres. pòsso, puòi [pop. pòi], può [pop., ant. o poet. puòte, pòte, ant. puòle, pop. tosc. pòle], possiamo [ant. o pop. potiamo, ant. o dial. potémo, ant. raro possémo], potete [ant. raro posséte], pòssono [ant. puònno, ant. o dial. pònno]; imperf. potévo [ant. raro posséa], potévi, potéva [poet. ant. potìe], potevamo, potevate, potévano [ant. possévano, ant. o poet. potìeno, potièno]; pass. rem. potéi [meno com. potètti, ant. possètti, ant. raro pòtti], potésti, ecc.; fut. potrò, potrài, ecc. [ant. poterò, poterài, ecc., e anche porò, porài, ecc.]; condiz. potrèi, potrésti, ecc. [ant. poterèi, poterésti, ecc., e anche porèi, porésti, ecc.; ant. o poet. io potrìa o porìa, egli potrìa o porìa, essi potrìano, potrìeno, o porìano]; cong. pres. io, tu, egli pòssa, possiamo, possiate, pòssano [pop. tu pòssi, essi pòssino]; cong. imperf. potéssi, ecc.; part. pres. potènte, solo come agg. e sost. [accanto al letter. possènte]; part. pass. potuto [ant. possuto]; ger. potèndo [ant. possèndo]; manca l’imperativo. Nei sign. 1, 2, 3 in cui è usato come verbo servile, può coniugarsi con l’ausiliare avere o essere, secondo che l’infinito con cui si unisce richieda l’uno o l’altro). –

1.a. Avere la facoltà, la forza, la capacità, la libertà, oppure i mezzi, il modo, la convenienza di fare qualcosa; avere la possibilità rispetto al giusto, al lecito, alla norma, di agire in un determinato modo, in quanto mancano ostacoli sia da parte di elementi materiali o naturali sia da parte della volontà propria o altrui: qui ognuno può entrare e uscire come vuole; potete fare ciò che volete; posso accontentarmi di poco; è così robusto che può sollevare una cassa di cento chili; potrei insegnarti a sciare; potremo cercare una soluzione migliore; esser possibile, esser consentito, spec. in frasi esclamative: oh, se potessi prevedere il futuro!; se potessimo sapere ciò che ci aspetta!

1.b. Nella forma interrogativa, serve a chiedere un permesso, a domandare cortesemente un favore: posso entrare? (anche ellitticamente, posso?, si può ?); posso vedere anch’io?; posso usare il vostro telefono?; potrei parlarti un momento da solo?; posso avere il piacere di accompagnarti?; anche in tono iron. o stizzoso: si può sapere dove sei stato?; si può sapere che cosa ti prende?; potrei sapere che intenzioni hai? In altri casi serve a concedere un permesso, un’autorizzazione e sim.: potete andare; domani potrete uscire un’ora prima; puoi rimanere fino a stasera.

1.c. Con valore enfatico, osare, avere il coraggio di: come potete affermare queste cose?; come puoi dire una simile menzogna?; e tu hai potuto far questo a tua madre!; con senso analogo: Meritamente però ch’io potei Abbandonarti, io grido alle frementi Onde (Foscolo), poiché fui capace, arrivai fino al punto di abbandonarti.

1.d. Aver ragione o motivo di fare qualcosa: Fiorenza mia, ben puoi esser contenta Di questa digression che non ti tocca (Dante); puoi essere soddisfatto del tuo lavoro; spesso anche nella forma negativa: non posso proprio lamentarmi; non ti puoi lagnare di come sono andate le cose; non potete dire di esser stati trattati male.

1.e. Talvolta con sign. vicino a volere: puoi prestarmi il tuo libro?; potresti aiutarmi un po’?; potete venire qui subit0?; anche con sign. vicino a dovere, ma in senso più attenuato: potevi dirmelo prima!

1.f. Quando il verbo potere si riferisce a tutta la frase (e non al solo infinito), indica generica possibilità: si può peccare in pensieri, opere, omissioni; è il meno che poteva fare; anche, e più efficacemente, nella forma negativa: non puoi parlare senza gridare?; non potete giocare senza fare tutto questo chiasso?

1.g. Con valore genericam. concessivo, in frasi con la 2a persona sing. o plur.: ora te ne puoi proprio andare; puoi ben dirlo!; potete dirlo forte!; potete urlare quanto volete, tanto nessuno vi sente; puoi insistere, se credi, tanto non otterrai nulla.

2. In frasi negative:

2.a. Esprime il concetto opposto di quello espresso dall’infinito (e, in genere, indica la presenza di un impedimento a che qualche cosa sia fatta o avvenga, e quindi impossibilità di ordine materiale, morale, fisico e sim.): ora non posso riceverti, torna domani; avevo tanto da fare che non mi sono potuto muovere di casa; per ragioni indipendenti dalla mia volontà non posso venire alla festa; non posso accettare il tuo regalo; non ti potrò mai dimenticare; non lo si può accusare senza prove; non posso credere a una simile infamia; ho la gola infiammata e non posso deglutire; questa valigia pesa troppo, non posso portarla; non poter vivere senza qualcuno (o, meno spesso, qualcosa), provare grandissimo dolore per l’assenza o la lontananza di una persona, per la mancanza di una cosa.

2.b. In alcuni casi, ha sign. affine a dovere (nel sign. 1 a di quel verbo, che implica un obbligo o un’indicazione di natura morale): non possiamo permettere questo; il medico ha detto che non ti puoi affaticare; ricordati che fino a stasera non ti puoi assentare. Dal punto di vista logico, in enunciati negativi di tipo apodittico (che cioè implicano la necessità della cosa predicata), non potere equivale al contrario di dovere (nel sign. di «essere necessario») e, conseguentemente, non potere non equivale a dovere: un multiplo di 4 non può terminare con la cifra 5 equivale a un multiplo di 4 deve terminare con una cifra diversa da 5; e così: un multiplo di 2 non può non essere pari equivale a un multiplo di 2 deve essere pari.

2.c. Non riuscire, non essere capace: non ho potuto dormire tutta la notte; non può darsi pace; non potei trattenermi dal ridere; non posso proprio farne a meno; il posto è così bello che non lo si può descrivere.

2.d. Non essere lecito, consentito e sim.: mi dispiace, ma non si può entrare; qui non può passare nessuno; non potete sedervi là.

2.e. Le locuzioni non poter soffrire, non poter sopportare, non poter vedere qualcuno o qualcosa, esprimono avversione, odio, antipatia e, in genere, sentimenti negativi nei confronti di persone e di cose.

2.f. Seguito da un’altra frase negativa, costituisce un’affermazione retorica (e indica generalm. costrizione morale): non posso non dirglielo in faccia; non puoi non ascoltarmi; non possiamo non andarci; Perché non possiamo non dirci cristiani, titolo di un articolo di B. Croce (1942).

3.a. Essere probabile, credibile, verosimile, ecc.: attento, potresti cadere!; può campare ancora cent’anni; potrà durare più o meno due ore; può essere che non lo sappia; tutti possiamo sbagliare; potrei ingannarmi, potrei sbagliarmi, e sim., espressioni in cui si ammette, più per modestia o prudenza che per convinzione, la possibilità di essersi sbagliati; può essere, può darsi, espressioni usate come risposta, per ammettere la possibilità o la probabilità che le cose stiano come afferma o suppone l’interlocutore (con senso affine a forse, è probabile). In frasi negative: non può tardare ancora molto; spesso per esprimere certezza o, al contrario, incredulità: non può essere stato altri che lui; non può essere!, con gli stessi sign. nella forma interrogativa: può essere?; ma come può essere avvenuto?

3.b. Essere presumibile, supponibile e sim. (in frasi, soprattutto al futuro, che enunciano ipotesi, congetture, giudizî vaghi e approssimativi): potrà avere la mia età; può avere sì e no quarant’anni; potranno essere le dieci; potrà pesare un chilo; in queste e analoghe espressioni il verbo ha prevalentemente funzione fraseologica, serve cioè a colorire la frase; più chiaramente fraseologico è in altri casi: chi può essere? (= chi sarà?); per quanto possa parere strano (= per quanto paia strano); può ringraziare Iddio se è ancora vivo (= ringrazi Dio se …); ha sofferto quel che può esserci di peggio (= quello che c’è di peggio); analogam. in formula d’augurio: possa tu essere felice!; possiate tornare presto fra noi!; o, al contrario, in imprecazioni, maledizioni e sim.: possa rompersi il collo!; potessi morire se non è vero!

4. Con uso assol.:

4.a. In frasi nelle quali l’infinito è sottinteso, sia perché enunciato in precedenza sia perché facilmente intuibile dal contesto: farò più presto che posso (fare); avvenga quello che può (avvenire); ognuno s’ingegna come può (ingegnarsi); si salvi chi può (chi ce la fa, chi riesce a salvarsi); se il giovane sapesse, e se il vecchio potesse, e’ non c’è cosa che non si facesse (prov. toscano); era bassetto di sua persona, e pieno e grasso quanto potea (sottint. essere) (Sacchetti).

4.b. Seguito (o preceduto) da un compl. oggetto sentito come dipendente da un infinito sottinteso (in genere fare): Colui che tutto può, Dio; ho fatto tutto ciò che potevo, che era in mia facoltà di fare; in frasi che indicano scarsezza di mezzi finanziarî, fisici, intellettuali, ecc., ma non di buona volontà: poverino, fa quel che può; si fa quel che si può, come a scusarsi se non si riesce a fare di più.

5. Sempre con uso assol., ma con sign. più determinati:

5.a. letter. Con riferimento a forza fisica, in frasi che sottintendono verbi quali resistere, portare, sostenere, reggere e sim.: La lena m’era del polmon sì munta Quand’io fui su, ch’i’ non potea più oltre (Dante); comune spec. nell’uso pop. tosc.: un ragazzo così non può un paniere di quel peso; camminando con la cavalla, che molto male potea quella soma (Sacchetti); le gambe non mi possono; è così debole che non può la fatica (che non resiste alla fatica); Tutti color ch’a quel tempo eran ivi Da poter arme (Dante), abili a portare armi.

5.b. In usi ant. o letter., aver potere, essere potente, o avere vigore, gagliardia: tanto tempo allora potesti contro alla fortuna e sopra tutti e mortali (L. B. Alberti); brutto marrano, In che paese ti trovasti, e quando, A poter più di me con l’arme in man0? (Ariosto). Con riferimento al vento, al sole, ecc. (talora anche nella lingua parlata), poterci, potervi, battere in un luogo: da queste parti, il vento ci può molto; un pratello nel quale l’erba era verde e grande né vi poteva d’alcuna parte il sole (Boccaccio).

5.c. Avere forza, efficacia, potenza di raggiungere determinati effetti: l’esempio può molto; dove non può la giustizia può spesso l’inganno; tanto può l’amore di una madre!; che cosa non può la fede?; Poscia, più che ’l dolor, poté ’l digiuno (Dante); Che non può un’alma ardita Se in forti membri ha vita? (Parini); mi stupisco che in quelle cotenne, In que’ fantocci esotici di legno, Potesse l’armonia fino a quel segno (Giusti); volere è potere (prov.).

5.d. Con riferimento a persona, godere di notevole influenza, autorità, possedere ingenti mezzi finanziarî e sim.: è gente che può molto; spesso, può più il segretario che il direttore.

5.e. Locuz. particolari: a più non posso, con tutte le forze, con ogni impegno, il più possibile, e anche impetuosamente, furiosamente e sim.: correva a più non posso; gridavano a più non posso; si sono messi a studiare a più non posso; rubano tutti a più non posso; piove, grandina a più non posso. Non poterne più di qualcuno o di qualcosa, non avere più la forza di resistere alla fatica, alla noia, al fastidio ecc., non riuscire più a sopportare, essere sfinito fisicamente e moralmente: non ne posso più di lui, di questa faccenda, di questo lavoro; anche assol.: basta, non ne posso più! Non potercela con qualcuno, non poter reggere al confronto, non essere capace di competere con lui: con lui non ce la posso certo

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Wikipedia

 

Il concetto di potere (su altri, non su se stessi) è stato analizzato a fondo e sono state sviluppate numerose teorie, a volte convergenti, altre volte contrastanti.

  • In termini giuridici si potrebbe definire il potere come la capacità, la facoltà ovvero l’autorità di agire, esercitata per fini personali o collettivi.
  • Nelle altre accezioni il potere riguarda sostanzialmente la capacità di influenzare i comportamenti di gruppi umani.

 

Definizioni

Statua celebrativa di Augusto, primo Imperatore romano.

In diritto, a differenza delle altre scienze sociali, il termine potere ha un significato preciso ma, al contempo, ristretto, designando la possibilità spettante ad un soggetto di produrre determinati effetti giuridici, ossia di costituire, modificare o estinguere un rapporto giuridico.

Al di fuori dell’ambito giuridico gli studiosi sono divisi su come considerare il potere. Esso è un bene materiale (visione sostanziale) o una relazione tra individui? La seconda teoria è oggi la più accettata.

Ciò porta a definire il potere come la capacità di ottenere obbedienza. Secondo la classica definizione sociologica di Max Weber (il potere come forza): «Il potere è la possibilità che un individuo, agendo nell’ambito di una relazione sociale, faccia valere la propria volontà anche di fronte a un’opposizione». In politica il potere pubblico è definito da Raymond Aron: «La consegna ad uno o ad alcuni della capacità (riconosciuta legittima) di stabilire regole per tutti, di imporre a tutti il rispetto di queste regole o in conclusione di prendere decisioni obbligatorie, in fatto o in diritto, per tutti».

Dal punto di vista tecnico-organizzativo, è possibile definire il potere come l’autorità e autonomia decisionale, esercitata in aderenza a norme e regolamenti, da un organo direttivo, nell’ambito delle proprie competenze e responsabilità lavorative-gestionali.

Il potere è stato visto in modo più generale, quasi identificandolo con la vita stessa. Emerson, nel suo celebre saggio sul “Potere” (in Condotta di vita) disse che “La vita è una ricerca del potere; e questo è un elemento di cui il mondo è talmente saturo – non c’è crepa o fenditura in cui non si trovi – che nessuna onesta ricerca è senza ricompense.” Questa era una visione anche extrapolitica del potere, che influenzò fortemente la teoria nietzschiana della volontà di potenza.

Forza e consenso

Un’ulteriore distinzione del potere viene fatta tra il potere inteso come forza o potenza ed il potere inteso come consenso. La forza è la capacità di far valere, anche di fronte a un’opposizione, la propria volontà; il consenso è l’abilità di trovare obbedienza da parte di determinati individui in cui vi è un minimo di volontà di ubbidire, cioè un interesse all’obbedienza. La seconda definizione è più vicina al punto di vista dell’antropologia di potere come autorità.

Questa distinzione era già stata anticipata da Machiavelli quando parlava di leoni e volpi; i primi userebbero la sola forza per ottenere il potere (e alla lunga sono sconfitti), i secondi il consenso (la persuasione).

Weber (vedi nel seguito) usa le due parole tedesche Macht ed Herrschaft per forza e consenso. Heinrich Popitz vede il primo tipo di potere come imposto dall’alto con la forza e la paura, il secondo che si forma dal basso a causa del rispetto, del riconoscimento di una superiorità.

Legittimità del potere

Già Sant’Agostino nel De Civitate Dei pose il problema della legittimità. Nel dialogo tra Alessandro e il pirata, si fa notare che non vi è differenza tra il potere di un re – che governa su una nazione – e il potere di un capitano pirata che governa sul suo piccolo bastimento. Si tratta di una semplice differenza di grado, ed allora «che cosa sono i regni se non bande di ladroni?». Poiché il potere implica il monopolio della forza, da dove viene la legittimazione al monopolio di essa?

Hobbes (vedi nel seguito) pose la legittimazione dello stato in una forma di contratto tra gli uomini per evitare una condizione di guerra perenne.

Max Weber teorizzò tre diversi tipi di legittimità.

  • La prima è la legittimità tradizionale, che poggia sulla credenza quotidiana nel carattere sacro della tradizione valida da sempre (es. il potere deriva da Dio), come nell’Ancien Régime.
  • La seconda è la legittimità carismatica, che poggia sulla dedizione al carattere sacro o alla forza eroica o al valore esemplare di una persona. Il leader ha una missione, e i governati si convincono che sia così. Questo è il caso di Cesare e Napoleone, ma ancora di più è il caso di Hitler, Mussolini, Lenin e Stalin. Questo tipo di potere va inevitabilmente incontro alla disillusione, nel momento in cui la missione del leader fallisce (Napoleone, Mussolini, Hitler) o al massimo nel momento della morte del leader (Stalin). In alcuni casi, tuttavia, il potere carismatico può essere istituzionalizzato: è il caso dell’Impero romano nato da Cesare e dell’Unione sovietica nata da Lenin.
  • Infine c’è la legittimità legale-razionale che poggia sulla credenza nella legalità degli ordinamenti statuiti (per esempio la Costituzione), e sul diritto al comando di coloro che sono chiamati dal popolo a governare; è una legittimità moderna, democratica ed impersonale.

 

Potere e politica

In tutti i periodi storici, la vita sociale degli individui si è basata principalmente su relazioni di potere, fondate sul rapporto comando-obbedienza. La formazione degli stati moderni e quindi l’affermazione del principio di democrazia, ha fatto credere che le relazioni comando-obbedienza e le violenze coercitive, tipiche degli stati autoritari, starebbero scomparendo. In realtà, come fa notare Heinrich Popitz, la violenza può essere delimitata ma non può scomparire, perché anche gli Stati democratici devono far uso della forza coercitiva per mantenere l’ordine sociale e difendere i diritti e le libertà conquistate. Alla luce di questo, possiamo affermare che l’esercizio del potere ha un ruolo fondamentale nei rapporti tra le persone e tra queste e lo stato.

Hobbes e l’origine dello Stato moderno

Thomas Hobbes, nel suo Leviatano, espone l’origine del potere politico come volontaria cessione di libertà e potere incondizionato da parte dei singoli mediante un patto reciproco in vista dell’autoconservazione. In assenza di stato infatti l’uomo gode del diritto su tutto e su tutti (in omnia) e non vigendo alcuna delimitazione della sfera di arbitrio si trova in una condizione di guerra perenne. Nella mutua rinuncia totale degli uomini all’autogoverno risiede la legittimazione del potere dello Stato cui viene trasferita l’assoluta sovranità. Dalle sue teorie hanno origine sia lo stato totalitario che il moderno stato-nazione.

La teoria di Weber

Il sociologo tedesco Max Weber, nel suo libro Economia e società, definisce il potere come la capacità di un attore sociale di esercitare (talvolta attraverso l’uso della forza) un controllo sul comportamento degli altri attori, anche senza il consenso di questi ultimi, condizionando le loro decisioni. Per potere Weber intende la ricchezza, il prestigio, lo status, la forza numerica e fisica, l’efficienza organizzativa, tutto ciò che offre un vantaggio. Il sociologo però sviluppa, al riguardo, una teoria molto articolata e influente. Weber comincia distinguendo due concetti: il concetto di Macht (potenza) e di Herrschaft (potere legittimo). Con il termine potenza egli intende: “qualsiasi possibilità di far valere entro una relazione sociale, anche di fronte ad un’opposizione, la propria volontà, quale che sia la base di questa possibilità”; con il termine potere legittimo intende: “la possibilità di trovare obbedienza, presso certe persone, ad un comando che abbia un determinato contenuto”. La prima espressione fa riferimento ad una relazione sociale dove il soggetto più forte riesce a far valere la propria volontà in ogni caso; la seconda espressione si riferisce alle relazioni dove il soggetto debole accetta le decisioni altrui perché le riconosce valide e quindi legittime. Weber, basandosi su questo secondo concetto, realizza la tipologia delle tre forme già viste di legittimazione del potere. Tale tipologia è costituita dal potere tradizionale, dal potere carismatico e dal potere razionale-legale.

Oltre al potere politico, Max Weber individua altre due forme di potere: il potere economico ed il potere ideologico. Il primo è esercitato da chi possiede risorse materiali o finanziarie che permettono di indurre coloro che non le hanno a tenere determinati comportamenti (esempio: imprenditori vs. operai). Il secondo consiste nella capacità di influenza che viene esercitata sulle idee della gente da chi è investito di una certa autorità. Weber considera il potere politico come il potere sovrano, con tutte le altre sfere di potere sono subordinate ad esso. Questo perché lo stato influenza e regolarizza tutte le attività umane, siano esse sociali, economiche, culturali e così via.

Genesi del potere politico

Secondo Weber la nascita del potere politico avviene con il passaggio da gruppi sociali chiusi a comunità politiche e infine con la nascita dello Stato moderno. Weber sottolinea come i gruppi sociali siano caratterizzati da relazioni sociali chiuse perché non permettono l’accesso a nuovi membri. Tale divieto è reso operativo da più persone preposte a questo. Nel corso del loro sviluppo, alcuni di questi aggregati sociali divengono veri e propri gruppi di potere, dotati di apparati ben organizzati. Infine, allargando verso l’esterno le loro azioni, che prima si svolgevano solo all’interno, essi cercano di controllare il territorio e le persone che lo abitano. Organizzano, quindi, la vita di quel determinato territorio mediante l’uso di mezzi coercitivi. Nasce così una vera e propria comunità politica che, nel momento in cui si istituzionalizza, dà vita allo stato moderno.

Gli stati moderni per esercitare il potere politico necessitano di un apparato amministrativo. Tale apparato amministrativo è dato dall’organizzazione di uomini specializzati in ruoli diversi. Compito principale dei membri che costituiscono l’apparato amministrativo è quello di dare esecuzione alle decisioni prese dall’autorità (Stato). Weber usa il termine burocrazia per definire l’organizzazione amministrativa. Egli delinea un tipo ideale di burocrazia. Le principali caratteristiche di questo modello ideale sono le seguenti:

  • divisione e specializzazione dei compiti;
  • struttura gerarchica dell’apparato amministrativo;
  • assunzione con contratto;
  • remunerazione in denaro del personale;
  • separazione tra gli uomini e i mezzi d’amministrazione;
  • separazione tra gli uomini e l’ufficio;
  • apparato amministrativo sottoposto a controlli e ad un regolamento.

In conclusione possiamo dire che secondo Weber l’esercizio del potere politico necessita della legittimazione, di una struttura amministrativa e del “monopolio legittimo della forza”.

Gli elitisti

Le teorie elitiste convergono tutte sul fatto che nella società vi è una minoranza al potere ed una maggioranza che lo subisce. Tra gli esponenti più importanti di questa corrente di pensiero ci sono: Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto, Robert Michels. Di particolare interesse sono gli studi fatti da Michels sui partiti politici e sulla loro organizzazione. Analizzando la struttura dei partiti egli formulò la “legge ferrea dell’oligarchia”. Michels con la sua “legge ferrea dell’oligarchia” mise in evidenza come i partiti tendano a concentrare il potere in una cerchia ristretta di uomini, producendo un distacco sempre più ampio tra i dirigenti del partito e gli iscritti. Tale distanza tra classe dirigente e iscritti provoca, secondo Michels, un’organizzazione oligarchica del partito. Tale forma oligarchica fa sì che i dirigenti perseguano di fatto i propri interessi e solo formalmente gli interessi delle masse. Michels dimostra come l’organizzazione oligarchica dei partiti permetta di concentrare il potere nelle mani di pochi dirigenti, oltre ad impedire che le candidature politiche vengano fatte dal basso. Ciò accade in quanto i partiti sono una organizzazione complessa che per essere guidata ha bisogno di competenze specifiche, coloro che possiedono tali competenze formano quella oligarchia che strutturandosi in modo burocratico mette nelle mani dei capi poteri decisivi che li svincolano dalla massa.

La teoria struttural-funzionalista

Al centro di questa corrente di pensiero si pone Talcott Parsons. Parsons elaborò una teoria molto complessa sul sistema sociale. Secondo l’autore, il sistema sociale si compone di diversi sottosistemi funzionali. I sottosistemi funzionali sono quattro: quello economico, quello culturale, quello integrativo e quello politico. La teoria di Parsons cerca di spiegare la funzione che svolgono i diversi sottosistemi nella società. Il sistema sociale teorizzato dal sociologo è in continuo sviluppo e rinnovamento, quindi, anche le funzioni dei sottosistemi tendono a cambiare. Il sottosistema politico, pensato da Parsons, utilizza il potere per interagire con gli altri sottosistemi della società. Nell’analisi parsoniana il potere ha la funzione di trasformazione, sviluppo e integrazione della società. La struttura politica (lo Stato) mette in opera le proprie decisioni tramite l’uso del potere. In conclusione, Parsons afferma che il potere politico deve essere utilizzato per mantenere l’ordine sociale e per fare in modo che gli altri sottosistemi operino al meglio.

Le teorie “neoelitiste”

I neoelitisti affermano che sia il potere politico-amministrativo, che il potere sociale in generale, sono legati alla ricchezza economica di una cerchia ristretta di persone.

Floyd Hunter, un importante esponente di questa linea di pensiero, dopo aver svolto degli studi su una città americana, è giunto alla conclusione che la principale fonte di potere è la ricchezza economica. Egli ha fatto notare come la vita politica di una città sia determinata dagli interessi degli imprenditori. Secondo Hunter le decisioni importanti per una città vengono prese da chi detiene la ricchezza economica. Tali decisioni non sono formalizzate all’interno di un palazzo politico ma sono il risultato di riunioni di “alto livello” che si svolgono in clubs privati o in abitazioni private.

Un altro importante neoelitista è Charles Wright Mills. Mills ha sottolineato che vi è una forte concordanza di interessi tra le organizzazioni economiche, politiche e militari. Secondo Mills, questa convergenza di interessi fa sì che il potere politico sia solo formalmente ed apparentemente democratico, mentre in realtà esso è rigidamente oligarchico. La tesi di Mills può essere sintetizzata nel seguente modo: vi è una sola classe dirigente, composta da imprenditori, politici e militari; tale classe dirigente prende liberamente le proprie decisioni senza essere sottoposta ad un effettivo controllo popolare. Il dominio di questo tipo di élite sulla società, secondo la teoria di C.W.Mills, è pressoché totale.

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