Colore

Glossario – Colore

 

Etimo secondo TPS

 

 Dal latino color, colore, carnagione, trucco. Dalla radice indoeuropea *KAL-, che esprime l’idea di coprire, nascondere. Sanscrito kala, blu scuro, nero (il colore del cielo non illuminato dal sole). Greco khroma, colore, kàlymna, copertura. Si vedano anche i verbi latini celare, occultare da cui derivano identici termini  italiani.

Secondo F. Rendich, la radice “kal” sarebbe composta da [k], suono indicante il moto curvilineo, e da [ṛ/ar/al], suono che esprime l’idea di “giungere”: “che forma una curva o si arrotonda”, “che avvolge o copre”, “coppa”, “velo”, “colore”. Avrebbero così la stessa radice, ad es., i termini italiani “cielo”, “calice”, “colore”. Il “colore” sarebbe connesso a “celare” nel suo senso originario di qualità “aggiunta”, posto cioè “sopra l’oggetto”, che rimane perciò “coperto”, come nel caso del termine sanscrito vaṛna che significa colore e anche copertura (DEC, pp. 28-30).

 

Colore significa velo avvolgente

 

Nel Lambdoma Generatore la definizione è: Il Colore è il velo iridato del Principio (3.4)


Treccani

 

colóre s. m. [lat. colorōris]. –

1.a. Termine indicante, in fisica, sia la sensazione fisiologica che si prova sotto l’effetto di luci di diversa qualità e composizione (c. soggettivo), sia la luce stessa, monocromatica o policromatica (rispettivam. c. oggettivo semplice e c. oggettivo composto), costituita cioè da una sola o da più radiazioni elettromagnetiche di determinate lunghezze d’onda: c. fondamentali (nella teoria newtoniana) o dell’iride, il rosso, l’aranciato, il giallo, il verde, l’azzurro o blu, l’indaco, il violetto, ai quali corrispondono lunghezze d’onda decrescenti da 800 a 400 nm, detti anche c. dello spettro solare, perché dalla loro fusione si ha la luce solare (o bianca); c. fondamentali, in teorie successive a quella newtoniana, sono stati considerati la terna rosso, giallo, blu, quella rosso-arancio, verde, violetto (quest’ultima corrispondente alle tre sensazioni colorate fondamentali individuate dalla moderna teoria fisiologica della visione cromatica), e altre; c. complementari, coppia di colori (flussi luminosi colorati, monocromatici o no) che, opportunamente miscelati, dànno il bianco. Teoria dei c. (o teoria cromatica), ciascuna delle ipotesi che sono state formulate a proposito della natura dei colori e degli effetti della loro composizione: in partic., la teoria di I. Newton, per la quale la luce bianca è il risultato della fusione dei sette colori dell’iride; quella di J. W. von Goethe, che, in contrasto con la precedente, considera i colori come il prodotto dell’interazione tra il bianco e lo scuro, tra la presenza e l’assenza di luce; quella di J. C. Maxwell e H. L. Helmholtz, che distinsero la composizione additiva dei c., ottenuta sovrapponendo luci colorate su uno schermo inizialmente scuro, dalla composizione sottrattiva dei c., nella quale ogni colore che si aggiunge sopra un fondo inizialmente bianco toglie una parte delle radiazioni luminose al colore preesistente. Temperatura di c., v. temperatura.

1.b. Nel linguaggio com., parlando di un colore (o designando il particolare colore di un oggetto), ci si riferisce alla sensazione visiva che si ha osservando quell’oggetto alla luce naturale: la luce rapida Piove di cosa in cosa, E i color varî suscita Dovunque si riposa (Manzoni); in questo senso si parla di una stoffa grigia, gialla, rossa, di lana verde, azzurra, di seta celeste, turchina, ecc., e meno propriam. di colore bianco, nero. Non di rado per la definizione del colore nelle varie gradazioni, toni, intensità, si ricorre a nomi di oggetti o sostanze ben note: colore arancio o arancione, avana, caffè, canarino, cannella, cenere, ciclamino, crema, fragola, malva, mattone, nocciola, viola o di viola o violetto, ecc.; anche aggiunti in forma di attributo: rosso scarlatto, rosso vino, giallo cromo, verde smeraldo, verde bottiglia, verde oliva, verde pisello, verde bandiera, grigio perla, ecc.; in altri casi si associano i nomi di due colori per definire in modo più o meno vago tonalità intermedie: rosso bruno, verde azzurro, blu marrone, grigio verde o grigioverde, ecc. Con altri riferimenti: blu di Prussia, rosso Magenta, terra di Siena, giallo di Napoli, ecc.; più poeticam.: color d’angelo, rosa pallido; Dolce color d’orïental zaffiro (Dante); fig., il c. del tempo, la tinta scura che assumono gli esterni degli edifici e monumenti col passare del tempo. Attributi comuni ai varî colori sono chiaro, scuro, cupo, vivo o vivace, acceso, carico, pallido, smorto, ecc. All’uso com. appartengono anche le espressioni senza colore, di corpi opachi, tendenti al bianco (e fig., sbiadito, privo di forza, di personalità, e sim.); di colore o in colori, di ciò che è colorato, che ha un colore, diverso cioè dal bianco e dal nero (biancheria di colore; assortimento di stoffe bianche, nere e in colori); a colori, di cosa che si presenta con disegno variamente colorato (un fazzoletto a colori): il contrario è di c. unito (ma più com. di tinta unita, o a tinta unita), o tutto d’un c.; fotografia a colori, in contrapp. a «fotografia in bianco e nero»; analogam., cinematografia, stampa, televisione a colori; un libro con illustrazioni o con tavole a colori. C. liturgici, i diversi colori (bianco, rosso, verde, viola o nero, rosa) che la liturgia prescrive, secondo l’occasione e il carattere del giorno, per i paramenti sacri dell’altare e del celebrante. In metallurgia, scaldare, arroventare un metallo al c. bianco, al c. rosso, espressioni frequenti ma improprie per calore bianco, rosso (v. calore, n. 2 d). c. Falso c., tecnica usata in astrofisica (nel telerilevamento della Terra), in medicina, ecc., per elaborare e visualizzare immagini di un soggetto ottenute in una o più bande di frequenza (nella regione del visibile, delle onde radio, dell’infrarosso, dell’ultravioletto, dei raggi X, ecc.); consiste nell’associare, alle diverse intensità luminose delle immagini di partenza, opportuni valori di tre colori fondamentali (generalmente rosso, blu e verde): si possono così ottenere una ricostruzione sintetica e in una sola visione (immagine a falsi c.) dell’informazione contenuta in più immagini di partenza, oppure, nel caso si disponga di una sola immagine e in una sola banda (per es. una foto in bianco e nero di oggetti celesti ripresi al telescopio), una moltiplicazione dei toni visibili per mezzo di colori fortemente contrastanti assegnati arbitrariamente ai diversi toni di grigio.

2. Sostanza naturale o artificiale usata per tingere o dipingere (per la distinzione tra colore e colorante, v. colorante): fabbrica di colori; c. buono, stabile; c. che regge, che non regge; c. cangiante; c. ricco; c. carico; c. ad acqua, a olio, a tempera; c. sottomarini, vernici sottomarine; dare il c., una mano di c.; dare i c. a un disegno; riprendere il c., rifarlo il più uguale possibile; fig., dar colore a un progetto, a un pensiero, attuarlo, o anche solo determinarlo in tutti i particolari.

2.a. Colorito, colorazione del volto, che rispecchia lo stato fisico o spirituale della persona: E io, che del color mi fui accorto, Dissi: Come verrò, se tu paventi? (Dante); avere un buon, un bel c., un brutto o cattivo c.; c. roseo, c. naturale, il c. della salute; c. terreo; il c. della morte; farsi o fare il viso o diventare di mille colori o di cento colori o di tutti i colori, mostrare, col cambiamento di colore nel viso, grave turbamento dell’animo in conseguenza di sensazioni diverse e spiacevoli.

3.b. assol. Colorito buono, naturale: non ha colore, è pallido; ha perduto il c., per malattia; ha ripreso, ha riacquistato il c., gli è ritornato il c., con la salute. c. Genti, popolazioni, truppe, uomini di colore, appartenenti a razze diverse dalla bianca, e per lo più alla razza nera (con quest’uso, la locuz. ricalca l’ingl. coloured person, prob. per il tramite del fr. de couleur): gente, popolazione di c.; uomo, donna di colore.

4. assol. 4.a. Colore che contraddistingue una bandiera o uno stemma e quindi uno stato, un partito, una società, una squadra, una nobile famiglia, ecc.: i c. nazionali, quelli della bandiera nazionale; i tre c., della bandiera italiana; i c. di Francia, della città di Roma, del Papa, di Sua Maestà Britannica, dei Caetani; fare onore ai proprî c., fare onore alla propria squadra; l’azzurro è il c. degli sportivi italiani (detti perciò gli azzurri) negli incontri internazionali.

4.b. fig. C. politico, tendenze politiche; anche assol.: il suo c. è il rosso; non ha nessun c.; mutar c., cambiare partito, ideologia, opinione politica; essere sempre di un c.; essere tutti di un c., avere tutti le stesse idee.

5. Ciascuno dei quattro semi delle carte da gioco: fare o avere colore, nel poker, avere cinque carte dello stesso seme.

6. fig. a. Aspetto, apparenza: il suo racconto aveva il c. della sincerità; i fatti hanno assunto il c. della leggenda; ha un c. di personcina per bene che non mi persuade; sotto c. di modestia ha una superbia che non ti dico; con sign. partic., sotto colore, col pretesto: fu trattenuto sotto c. di stabilire vari particolari (D’Azeglio); quanti delitti sotto c. di libertà!; cose di dubbio c., d’incerta apparenza; parole di c. oscuro, incomprensibili (per un fraintendimento di un verso di Dante, Inf. III, 10, da interpretarsi invece in senso letterale); farne, dirne di tutti i c., d’ogni genere, di cattiverie o bizzarrie o di quant’altro si può di peggio.

6.b. Colore locale (che traduce il fr. couleur locale), l’insieme degli aspetti caratteristici più peculiari e più pittoreschi di un luogo, di un tempo, di un ambiente, come si presentano in opere di letteratura o d’arte: il colore locale nei «Promessi Sposi»; una vivace pennellata di colore locale; due frasi in dialetto buttate là per fare il colore locale; l’espressione è usata anche con riferimento alle caratteristiche pittoresche o folcloristiche di un luogo, di un ambiente: per attirare i turisti hanno puntato sul c. locale dell’antico borgo. Nel giornalismo, articolo di colore, pezzo di colore, articolo d’attualità a carattere descrittivo, con vivaci e colorite rappresentazioni d’ambiente.

7.a. In pittura, colorito (v. colorito2 2 a): pittore famoso per i c., per il colore.

7.b. Per estens., vivacità, brio, espressività: narrazione priva di colore, senza vivacità; voce priva di colore, monotona; dipingere a c. smaglianti, a vivaci c., raccontare, rappresentare un fatto in forma espressiva e attraente; fare del c., usare, magari oltre misura, espedienti descrittivi anche di maniera. c. Timbro di un suono, soprattutto di strumenti musicali. In fonetica, sinon. di colorito, cioè qualità o timbro di una vocale.

8. In astronomia, indice di colore, differenza tra la grandezza fotografica di una stella e quella visuale (v. grandezza), dipendente dal colore, cioè dalle caratteristiche spettrali di ogni stella.

9. In fisica delle particelle è detto colore, o carica di colore (c. blu, rosso, giallo, carica blu, rossa, gialla), un ipotetico numero quantico associato ai quark che ne caratterizza le reciproche interazioni (v. cromodinamica) e altre proprietà specifiche: per es., la possibilità che due quark, identici per quanto riguarda gli altri numeri quantici, e che quindi per il principio di esclusione di Pauli non potrebbero trovarsi nello stesso stato, si accoppino per formare un’altra particella.

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Matite colorate

 

Il colore è la percezione visiva generata dai segnali nervosi che i fotorecettori della retina inviano al cervello quando assorbono le radiazioni elettromagnetiche di determinate lunghezze d’onda e intensità nel cosiddetto spettro visibile o luce.

Lo studio del colore riguarda più discipline:

  • la fisica, in particolare l’ottica per tutto ciò che avviene all’esterno del sistema visivo;
  • la chimica, per lo studio e la sintesi di sostanze colorate e coloranti;
  • la fisiologia, per quanto riguarda il funzionamento dell’occhio e la generazione, elaborazione, codifica e trasmissione dei segnali nervosi dalla retina al cervello;
  • la psicologia, per quanto riguarda l’interpretazione dei segnali nervosi e la percezione del colore; se ne interessò in particolare Kristian Birch-Reichenwald Aars, filosofo e psicologo norvegese;
  • la psicologia sperimentale, per quanto riguarda la questione della percezione e categorizzazione del colore; se ne interessò Eleanor Heider Rosch, psicologa sperimentale americana. Le sue ricerche aprirono un amplissimo dibattito che vide ulteriori studiosi coinvolti, come Paul Kay e Evan Thompson.

Lo studio del colore coinvolge anche:

  • la psicofisica, che studia la relazione tra lo stimolo e la risposta del sistema visivo (la colorimetria è una parte della psicofisica);
  • la matematica, necessaria per lo sviluppo di modelli rappresentativi della visione del colore;
  • la filosofia, in particolare famosi sono il lavori di Johann Wolfgang von Goethe e Ludwig Wittgenstein.

La visione dei colori nella storia

Gli antichi Greci non utilizzavano dei nomi fissi per indicare i diversi tipi di colore, ma li distinguevano più che altro in base alla loro limpidezza o tenebrosità, così che soltanto il bianco e il nero erano adoperati in maniera definita, a differenza degli altri. Ad esempio il termine xanthos poteva indicare tanto il giallo lucente quanto il rosso vivo del fuoco, come pure le tinte purpuree e persino blu.

I colori fondamentali erano dunque anticamente ricondotti a due, il bianco e il nero, ossia la chiarezza e l’oscurità, dalla cui mescolanza derivavano tutti gli altri. In particolare Empedocle, nel trattato Sull’origine, attribuiva il bianco al fuoco e il nero all’acqua.

Platone, nel Timeo, oltre al bianco e al nero annoverava tra i colori primari anche il rosso e lo «splendente» (lampron). Per Aristotele il bianco e il nero si determinano in base alla presenza o meno del diaphanes, ossia di un elemento trasparente in grado di far trasparire la luce (da leukòs, cioè bianco): tale diaphanes è massimo nel fuoco, associato al caldo, e minimo nella terra, associata al freddo. Oltre che nel trattato Sull’Anima, l’argomento è trattato da Aristotele anche nell’opuscolo Sul senso e sui sensibili, appartenente al gruppo di brevi opere conosciute col titolo di Parva naturalia, ossia «Piccoli scritti naturali»: in esso viene spiegata l’origine dei colori in termini di mescolanza a partire dal bianco e dal nero.

La dottrina greca che vedeva i colori originati dalle due opposte polarità, chiaro e scuro, rimase predominante durante il Medioevo, in cui soprattutto quella aristotelica continuò a essere discussa e commentata. Concezioni analoghe furono elaborate nel Rinascimento: ad esempio Leonardo da Vinci, artista e scienziato insieme, attingendo alle teorie aristoteliche vedeva nel bianco e nel nero gli estremi fondamentali della gamma cromatica, a partire dai quali egli studiò il modo in cui due colori complementari si pongono reciprocamente in risalto, distinguendo le tinte prodotte dalla luce, come il giallo e il rosso, dai colori delle ombre, spesso tendenti al verde e all’azzurro. Egli distingueva così sei colori fondamentali:

      « De’ semplici colori il primo è il bianco, benché i filosofi non accettano né il bianco né il nero nel numero de’ colori, perché l’uno è causa de’ colori, l’altro è privatione. Ma perché il pittore non può far senza questi, noi li metteremo nel numero degli altri, e diremo il bianco in questo ordine essere il primo nei semplici, il giallo il secondo, il verde il terzo, l’azzurro il quarto, il rosso il quinto, il nero il sesto: ed il bianco metteremo per la luce senza la quale nissun colore veder si può, ed il giallo per la terra, il verde per l’acqua, l’azzurro per l’aria, ed il rosso per il fuoco, ed il nero per le tenebre che stan sopra l’elemento del fuoco, perché non v’è materia o grossezza doue i raggi del sole habiano à penetrare e percuotere, e per conseguenza alluminare. »  (Leonardo da Vinci, Trattato della pittura, cap. CLXI)

Dispersione della luce nello spettro dei colori tramite un prisma come negli esperimenti di Newton

 

Parallelamente presero tuttavia a svilupparsi alcune teorie negatrici di una visione unitaria della luce, che avrebbero preparato il terreno all’atomismo di Newton. Marcus Marci nel Seicento studiò i colori da un punto di vista esclusivamente fisico, sperimentando la trasformazione della luce quando veniva riflessa da oggetti colorati. Il fisico e gesuita Francesco Maria Grimaldi spiegò la colorazione della luce, che ad esempio passasse attraverso un vetro rosso, sulla base di modificazioni intrinseche alla luce stessa, e non perché il rosso le si andasse ad aggiungere.

Isaac Newton pertanto, adottando un approccio meccanico e matematico, concluse che la luce, se diversamente riflessa, fa apparire la varietà colori a seconda del suo diverso grado di rifrazione, e che i colori sarebbero in origine contenuti nella luce quali suoi componenti, come gli atomi compongono la materia: egli ne enumerò in tutto sette, per ragioni più filosofiche che fisiologiche.

La ruota cromatica di Goethe (1809) composta da giallo, verde, blu, violetto, porpora, arancione

Queste conclusioni furono contestate ai primi dell’Ottocento da Goethe, secondo cui era tipica della mentalità newtoniana la trascuratezza di un approccio basato sui sensi, che conduceva ad astrazioni teoriche ed arbitrarie: Goethe rimproverava a Newton di aver effettuato i suoi esperimenti con l’ausilio di un prisma, e che era questo il responsabile dell’insorgere dei colori. Il prisma per Goethe non è uno strumento neutro, ma “sporca” la luce, offuscandola e producendo così i diversi effetti cromatici secondo la densità della sua figura. Per Goethe non è la luce a scaturire dai colori, bensì il contrario; i colori non sono «primari», ma consistono nell’interazione della luce (urphänomen) con l’oscurità. Polarizzandosi a contatto col buio, la luce dà luogo a coppie di colori contrapposti e complementari, che Goethe dispose in un cerchio cromatico di sei colori.

« Il colore è, come tale, un valore d’ombra. In questo senso Kircher ha pienamente ragione a chiamarlo lumen opacum, e come esso è affine all’ombra, così ad essa si unisce per propria propensione, manifestandosi spontaneamente in essa e mediante essa non appena ve ne sia occasione. » (Johann Wolfgang von Goethe, Teoria dei colori, § 69, trad. di R. Troncon, Milano, Il Saggiatore, 1979)

Anche il filosofo idealista Hegel contestò le conclusioni di Newton, sottolineandone le contraddizioni nel fare della luce un composto di colori, cioè nel rendere scuro quel che è bianco:

   « Ognuno sa che il colore è oscuro rispetto alla luce. Il giallo, rispetto alla luce, è anche oscuro. Newton dice: la luce non è luce, ma oscurità, è composta di colori, e nasce perché si mischiano i colori, la luce quindi è l’unità di queste oscurità. […]

La conclusione che viene da questo fenomeno è soltanto quella che, siccome nel prisma si mostrano sette colori, questi dunque sarebbero l’elemento originario, e la luce è costituita da essi. Questa conclusione è barbara. Il prisma è trasparente e offuscante […] e offusca la luce secondo il modo della sua figura. […] Ma ora si dice che il prisma non ne è la causa; ma i colori che sono contenuti nella luce, vengono poi prodotti. Sarebbe lo stesso se qualcuno volesse mostrare che l’acqua pura non è originariamente trasparente, dopo aver rimestato un secchio pieno con uno straccio immerso nell’inchiostro, e dicesse poi “vedete signori miei l’acqua non è chiara”. »  (Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Filosofia della natura, lezioni del 1823-1824)

Origine fisica

Dal punto di vista fisico, la luce visibile appare complessivamente bianca se la si considera la somma di tutte le frequenze dello spettro ottico. A ciascuna frequenza del visibile è associato un determinato colore. In particolare la diversità di colore o semplicemente il colore dei corpi che non emettono o brillano di luce propria, percepito poi dall’occhio umano, deriva dal fatto che un certo corpo assorbe tutte le frequenze o lunghezze d’onda dello spettro visibile, ma riemette o riflette una o più componenti o frequenze della luce bianca che, eventualmente mescolate tra loro, danno vita al colore percepito dall’occhio umano. In particolare nei due casi estremi un corpo appare bianco quando assorbe tutte le frequenze riemettendole a sua volta tutte, viceversa un corpo appare nero quando assorbe tutte le frequenze e non ne riemette alcuna; in tutti gli altri casi intermedi si avrà la percezione tipica di un altro colore.

Nel caso di corpi che emettono o brillano di luce propria (ad es. le stelle e il Sole), come è noto tutti i corpi al di sopra dello zero assoluto, emettono invece radiazione elettromagnetica con potenza che è proporzionale alla loro temperatura assoluta T secondo la legge di Stefan-Boltzmann e distribuita con buona approssimazione secondo lo spettro del corpo nero di Planck con il picco di emissione che si sposta secondo la Legge di Wien in funzione della temperatura T: se il corpo è sufficientemente caldo parte di questa radiazione elettromagnetica cade nella banda del visibile risultando così visibile ai nostri occhi passando dal rosso, al giallo, al bianco, azzurro e blu quanto più il corpo è caldo (vedi temperatura di colore).

Percezione del colore

Spettro ottico (progettato per monitor con gamma 1.5)

La formazione della percezione del colore da parte dell’occhio avviene in tre distinte fasi.

  1. Nella prima fase un gruppo di fotoni (stimolo visivo) arriva all’occhio, attraversa cornea, umore acqueo, pupilla, cristallino, umore vitreo e raggiunge i fotorecettori della retina (bastoncelli e coni), dai quali viene assorbito. Come risultato dell’assorbimento, i fotorecettori generano (in un processo detto trasduzione) tre segnali nervosi, che sono segnali elettrici in modulazione di ampiezza.
  2. La seconda fase avviene ancora a livello retinico e consiste nella elaborazione e compressione dei tre segnali nervosi, e termina con la creazione dei segnali opponenti, segnali elettrici in modulazione di frequenza, e la loro trasmissione al cervello lungo il nervo ottico.
  3. La terza fase consiste nell’interpretazione dei segnali opponenti da parte del cervello e nella percezione del colore.

Prima fase

Nella prima fase una sorgente luminosa emette un flusso di fotoni di diversa frequenza. Questo flusso di fotoni può:

  1. arrivare direttamente all’occhio;
  2. essere riflesso da un corpo che ne assorbe alcuni e ne riflette altri;
  3. essere trasmesso da un corpo trasparente che ne assorbe alcuni e trasmette altri.

In ogni caso i fotoni che giungono all’occhio costituiscono lo stimolo di colore. Ogni singolo fotone attraversa la cornea, l’umore acqueo, la pupilla, il cristallino, l’umore vitreo e raggiunge uno dei fotorecettori della retina (un bastoncello, oppure un cono L, un cono M o un cono S) dal quale può essere o non essere assorbito. La probabilità che un tipo di fotorecettore assorba un fotone dipende dal tipo di fotorecettore e dalla frequenza del fotone.

Come risultato dell’assorbimento ogni fotorecettore genera un segnale elettrico in modulazione di ampiezza, proporzionale al numeri di fotoni assorbiti. Gli esperimenti mostrano che i segnali generati dai tre coni L, M e S sono direttamente collegati con la sensazione di colore, e sono detti segnali di tristimolo.

Seconda fase

Nella seconda fase i segnali di tristimolo vengono elaborati e compressi con modalità non ancora completamente note. Questa elaborazione avviene nelle altre cellule della retina (cellule orizzontali, bipolari e gangliari) e termina con la generazione di altri tre segnali elettrici, questa volta in modulazione di frequenza, che sono chiamati segnali opponenti e vengono trasmessi al cervello lungo il nervo ottico.

Terza fase

I segnali elettrici opponenti che lungo i due nervi ottici (che sono costituiti dagli assoni delle cellule gangliari) raggiungono il cervello arrivano nei cosiddetti corpi genicolati laterali, che costituiscono una stazione intermedia per i segnali, che da qui vengono proiettati in apposite aree della corteccia visiva, dove nasce la percezione del colore.

Contrasti cromatici

I contrasti cromatici si producono tramite l’accostamento di due o più colori diversi tra loro. È altresì vero che esistono processi fisiologici oculari che come per i contrasti luminosi permettono la visione al nostro occhio di due tipi di colore, quello reale e quello apparente. Con un colore, per esempio il giallo, si avranno delle percezioni diverse in base allo sfondo a cui lo sottoponiamo: questo perché tende alla tonalità complementare dello sfondo stesso. Se invece lo sottoponessimo ad uno sfondo che è il complementare del colore stesso, avremo maggiore luminosità per il principio del contrasto luminoso.

Contrasto tra colori puri

Consiste nell’accostare almeno tre colori al più alto grado di saturazione, cioè di intensità e di forza.

Contrasto tra colori complementari

Il contrasto tra colori complementari si ottiene tramite l’accostamento di un colore primario e del colore risultante dall’unione degli altri due primari rimasti, tali contrasti sono: giallo-viola, rosso-verde, blu-arancione.

Contrasto di quantità

Ogni tinta presenta un diverso grado di luminosità, per cui se vogliamo creare un equilibrio percettivo è necessario stendere in modo molto proporzionale le varie zone di colore, ad esempio, un colore molto luminoso dovrà occupare un’area minore rispetto a un colore con un minore grado di luminosità.

Il colore nelle culture

Variopinto mercato a Karachi

Berlin e Kay studiarono il numero di nomi dedicati ai colori nelle diverse culture stabilendo che si può passare da un minimo di 2, chiaro e scuro, ad un massimo di 11. Dimostrarono inoltre che man mano che si procede con la definizione di più colori lo sviluppo è omogeneo in tutte le culture, ad esempio dopo il chiaro e lo scuro si indica come colore il rosso, poi il verde e il giallo e così via fino a giungere all’arancione che è il colore definito in meno culture.

La teoria dei due antropologi era che il numero di colori dipendesse dalla complessità della cultura, ma questa teoria venne criticata in quanto essi non consideravano che alle percezioni del colore erano legate delle sensazioni emotive e quindi la percezione del colore è legata alla cultura stessa. Al termine si lega quindi una connotazione, un alone di significati a seconda del contesto. Inoltre alcuni colori non vengono definiti se non associandoli al colore di un elemento naturale (es. “verde” diviene “foglia”) così come accade quando noi definiamo un rosso come “ruggine”. Inoltre dal rapporto fra colore e materia nascono due modi di interpretazione del colore, quali il “colore-qualità” nel quale il colore consente di qualificare la realtà, e di “colore-materia”, nel quale l’artista è impegnato a creare un avvenimento nuovo.

Nella cultura orientale “i colori sono inebrianti, magnifici; ma le forme sono meschine e brutte, volutamente meschine e brutte, e cattive”. La cultura occidentale precristiana era invece molto attenta alla forma e all’uso, ma poverissima di colore: in greco antico e in latino le poche parole che definiscono un colore si riferiscono in realtà al suo grado di opacità, oppure sono associate a un elemento naturale. Addirittura, le sculture e le pitture erano compiute con colori eccessivamente sgargianti ai nostri occhi, ma sotto-percepiti come normali dagli antichi greci. Probabilmente nel mondo giudaico i colori ebbero maggiore attenzione, in quanto nel Vangelo si ha l’integrazione della forma e del colore; tuttavia, vi sono zone, quali l’Europa settentrionale, in cui il cristianesimo si diffonde solo in forma idealistica, che mantengono perciò un forte squilibrio a favore della forma, determinato dal substrato germanico. Le civiltà tendenzialmente irrazionalistiche prediligono l’uso del colore, basti pensare ai mosaici bizantini, dove il colore assume il valore di materia in sé già preziosa, mentre nel tipo di atteggiamento opposto il colore risulta subordinato al disegno e quindi alla forma.

Se con gli Impressionisti si instaura un nuovo rapporto tra l’immagine e la pittura e quindi nasce l’antitesi fra il colore e l’immagine, entrambi sfumati e non completati, i Puntinisti e i Divisionisti utilizzano le scoperte della scienza positivista e con Van Gogh la tensione cromatica corrisponde simbolicamente allo stato psicologico da descrivere; infine i pittori “gestuali” e “informali” spingono verso l’idea del colore-oggetto come informazione naturale.

Per quanto riguarda l’indagine dell’utilizzo del colore nell’arte, assumono grande importanza i riflessi emotivi, quali il calore e la profondità, dato che abitualmente i colori “caldi” avanzano verso l’osservatore, all’opposto di quelli “freddi”.

Simbologia dei colori

Ogni colore, che sia primario o secondario, suscita e rappresenta un’emozione o uno stato d’animo e può essere legato in particolare ad un evento. L’esperienza del colore è soggettiva e può rimandare alla cultura di appartenenza che suggerisce le personali percezioni su un determinato colore. Per esempio il giallo suscita qualcosa che irradia, come la luce del sole, mentre il blu qualcosa che racchiude, come l’universo. Il rosso sembra invece in movimento ma su se stesso, come il fuoco o il sangue. Nella cromoterapia i colori sono associati alla persona per innalzare o modificare una sua caratteristica o una personale vibrazione del suo essere.

Nei differenti contesti socio-culturali i colori afferiscono a diversi significati ed occasioni in cui vengono utilizzati. Il bianco ad esempio può essere associato alla purezza, ma anche alla morte; il rosa che in origine in molte culture era legato alla sfera maschile poiché derivato dal rosso, colore che rimanda alla forza, è stato successivamente associato alla femminilità, come lo è stato il celeste per gli uomini, per motivi commerciali di marketing e vendita di prodotti.

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