L’arte di educare i Deva

Chi è sul sentiero spirituale e pratica la meditazione come strumento di contatto col Divino per risolvere le problematiche esistenziali è preso da un senso di frustrazione riguardante l’incapacità di mettere in pratica ciò che ha ricevuto. È una frustrazione dovuta principalmente a un errore di comunicazione.

La coscienza di un individuo, ovvero, la sua essenza incarnata, pur essendo in contatto con l’Anima, non riesce a trasmettere il risultato risolutivo di quel contatto alla propria personalità; cioè, a quei corpi personali (mentale, emotivo e fisico) che sono le vere cause di sofferenza attraverso comportamenti non in sintonia o asincroni rispetto al Piano evolutivo. Questo è il motivo della frustrazione di tanti aspiranti discepoli sul Sentiero. Recepiscono dal contatto animico quale sia la causa del dolore personale ma non sanno come agire sui propri corpi per scioglierlo.

Innanzi tutto, diciamo che quel dolore è la risultante karmica che va a denotare la nota di sofferenza personale. Ciascuno di noi ne ha una che è unica quanto i propri debiti karmici anche se quella nota è una delle sette note della sofferenza umana planetaria [vedi “A. A. Bailey, Guarigione Esoterica, Collezione Lucis]. Il Karma vuole che, attraverso la nota, la coscienza individuale focalizzi l’attenzione sui suoi problemi che sono parte dei problemi dell’Umanità e, trovando soluzioni al proprio dolore, contribuisca a risolverlo all’intero genere umano. Questo è il compito di ciascuna unità di coscienza ed anche il motivo per cui la Coscienza Una si scinda o moltiplichi in una miriade di coscienze individuali. Come dire che: se si affrontano i problemi da più punti di vista, prima si arriva alla soluzione!

Dunque, la soluzione della sofferenza non dipende soltanto dal contatto con l’Anima ma soprattutto dalla capacità di produrre una comunicazione persuasiva nei confronti dei corpi o Deva personali. Il fatto è che pochi aspiranti conoscono a fondo il linguaggio dei Deva anche se ne subiscono le attività, non riuscendo a metterli sotto il governo della coscienza.

Ma chi sono e a che servono i Deva?

Deva è il termine sanscrito usato per definire le entità o vite che danno forma al terzo aspetto del Divino: l’Intelligenza o Materia! Che la Materia sia intelligente lo dimostra la scienza della Cimatica. Nei tanti esperimenti eseguiti a tale dimostrazione, i granuli distribuiti casualmente su di un piatto vibrante vanno a disporsi, per effetto del suono, in disegni complessi e regolari. Questa capacità di movimento coordinato prova che i singoli granuli sanno interpretare l’informazione contenuta nella vibrazione sonora. A differenti frequenze corrispondono movimenti dei granuli talmente organizzati e precisi da formare disegni mandalici sorprendenti. Ricami simili a merletti, o stelle cangianti al cambiare della frequenza vibratoria; a significare che il suono plasma una materia intelligente; cioè, capace di creare collegamenti non casuali.

Energia, Forza e Sostanza sono i tre stati in cui la divina Materia si manifesta, similmente ai tre stati in cui si presentano gli elementi: gassoso, liquido, solido. I Deva hanno la forza di cooperare per costruire forme sostanziali estraendole dal potenziale energetico. Ad esempio, dare corpo ai pensieri, alle emozioni e alle azioni di una coscienza incarnata in una persona. L’attività del Deva o corpo mentale è, infatti, quella di formulare pensieri e concetti. Quella del Deva emotivo, di formulare emozioni e sentimenti; e quella del Deva fisico, di emettere azioni. 

Quale è, dunque, il problema di comunicazione del meditante?

Il problema sta nel fatto che i Deva personali non hanno alcuna predisposizione a rispondere alle richieste della coscienza poiché hanno loro specifiche attività memorizzate per soddisfare esigenze karmiche. In ciò si spiega la contrapposizione tra la coscienza che è in contatto con l’Anima e i propri Deva che, al contrario, non lo sono. Il linguaggio dell’Anima è, quindi, recepito dalla coscienza, ma quel linguaggio non è adatto a comandare i Deva. Se così fosse, ciò che è compreso dalla coscienza sarebbe anche compreso dai Deva personali e non vi sarebbe difficoltà a cambiare da parte loro il modello comportamentale memorizzato. Ma così non è; ce lo dimostra quanto sia difficile trasformare i difetti in virtù. Infatti, la coscienza comprende che un difetto o complesso non sia più consono al suo progresso, ma ciò non basta affinché il Deva incarnante quel complesso cambi attività. Molto spesso questa impossibilità di cambiamento è suggellata dalla frase: “È più forte di me”. Chi è più forte, in questo caso, è il Deva e la coscienza soccombe.

Vi è un’ulteriore difficoltà nella comunicazione verso i Deva: ciascun Deva è monotematico. Questa è un’informazione da tenere in massima considerazione. Che cosa significa?
Che ogni Deva la cui attività è costruire forme, ha una memoria specifica che esprime in un comportamento univoco e ripetitivo. Il Deva mentale, per intenderci, costruisce solo pensieri. A sua volta ciascun pensiero è un Deva minore che dà forma a quel pensiero e a quello soltanto. Esiste, quindi, una forma devica per ciascun pensiero, emozione e azione. Ogni emozione emessa come attività del Deva emotivo è un Deva a se stante, un “figlio” – per così dire – di quel Deva che ripete pedissequamente l’attività memorizzata; attività che in definitiva è un comportamento attivato da uno specifico stimolo esterno. Onde per cui, riuscire a cambiare la memoria comportamentale di quel Deva significa riprogrammare il modello specifico a cui si attiene. Il modello di riferimento che il Deva ha stampato nella sua memoria è tanto forte quanto un istinto a cui non può sottrarsi l’animale. Eppure quel modello procura sofferenza alla coscienza. Sofferenza che, tuttavia, è il modo migliore per spingere la coscienza a cambiare il modello stesso, poiché cambiandolo scioglierà il karma sovrastante. Ogni comportamento devico che procura sofferenza è riferito al karma personale. La memoria devica è investita di questa funzione. Quando la coscienza riesce a cambiare quel modello, di fatto scioglie quella parte del karma che si rifà ad un tema specifico.

La specificità tematica dei Deva è palesemente dimostrata dalle Gerarchie angeliche della tradizione giudaico-cristiana. Anghelos significa messaggero o servitore ed ha lo stesso significato di Deva. Le Gerarchie angeliche hanno il compito di dare forma alla creazione di Dio: questo il loro servizio. In un certo senso sono l’incarnazione delle qualità divine che manifestano la creazione. Per questa loro funzione sono raffigurate in cerchi concentrici attorno al Trono di Dio. Ogni Gerarchia, dai Serafini agli Arcangeli, testimonia la specializzazione dei Deva costruttori secondo il grado vibratorio o banda di frequenza in cui opera. Gli Arcangeli stessi, le cui qualità sono note ai più, provano la specificità di azione. Michele è portatore della qualità divina della Volontà (primo Archetipo) essendo la spada di Dio che traccia la direzione. Così Gabriele, che è la fiaccola dell’amore di Dio o l’incarnazione del secondo Archetipo di Amore; e Raffaele che porta in essere la medicina di Dio cioè l’aspetto divino di Intelligenza o terzo Archetipo e così via.

Ritornando ai Deva personali, cioè ai corpi della personalità umana che sono fatti di materia vibrante al di sotto dei piani degli Arcangeli (e in special modo prendendo in considerazione i vari complessi di una persona che sono parte delle attività deviche condizionanti in modo negativo l’individuo) scopriamo, ad esempio, che il Deva incarnante il tema o complesso di svalutazione entra in attività laddove un impulso esterno colpisce la sua memoria e lo stimola ad agire in quella specifica modalità che comunemente viene definita come reazione automatica. In altri termini, metterà in essere un comportamento conflittuale atto a manifestare quel tipo di sofferenza. Tutto ciò sembra incredibile all’occhio del profano, il quale crede che un essere umano sia costituito soltanto di un corpo fisico che agisce mediante un cervello e un apparato senziente. Dietro l’apparenza di un uomo vi è un impressionante aggregato di Deva che deve essere armonizzato affinché la sua risposta all’ambiente non procuri dolore.

Arriviamo, quindi, al punto cruciale di questa riflessione. Quale è il linguaggio a cui rispondono più efficacemente i Deva dando alla coscienza umana la possibilità di interagire e, non ultimo, progredire? È il linguaggio delle immagini.

L’esempio della Cimatica riportato sopra, ci ha insegnato che il suono crea immagini e che le immagini fissano, per così dire, l’informazione contenuta nella vibrazione sonora. Le immagini, quindi, sono la raffigurazione spaziale del suono creatore. La “Lux” che scaturì dal “FIAT” primordiale.

Per comprenderlo dobbiamo rispolverare gli Archetipi di cui abbiamo fatto cenno più sopra. ARCHETIPO significa etimologicamente modello principiante o immagine prima; da: ARCHE = Principio e TYPOS = Modello esemplare. Appare evidente che l’immagine prima, ossia l’Archetipo, è la più tangibile manifestazione del Proposito divino; tanto potente da porre in ordine le forme secondo la Sua legge: la Legge della Creazione. In questa definizione sta tutto il potere del linguaggio delle immagini-modello o ARCHETIPI.

Quando l’Anima parla al discepolo attraverso il Suo suono o Voce del silenzio, compaiono simboli archetipici  sullo schermo della mente astratta. Il simbolo non è altro che la trasposizione grafica del “suono” di un Archetipo. Differenti simboli possono ricondurre allo stesso Archetipo poiché la rappresentazione simbolica, pur essendo universale, è rivestita dalla coscienza secondo il proprio immaginario. E poiché ogni unità di coscienza è unica, ossia differente da tutte le altre (non vi è un uomo perfettamente uguale ad un altro in sette miliardi di umani in incarnazione), ha il bisogno evolutivo di trasporre il simbolo archetipico in una immagine che ne espliciti il significato al livello devico personale. Facciamo un esempio. L’Archetipo di Volontà che è simboleggiato da un freccia rivolta verso l’alto, a significare che la funzione divina della Volontà è quella di costituire l’asse verticale direttivo attorno a cui ruota la spirale evolutiva, deve essere espresso dall’individuo con un’immagine che raffiguri per lui (e per lui soltanto) il significato direttivo che la Volontà assume al suo livello umano. È con questa identificazione immaginifica che la coscienza individuale può svolgere il compito di co-creatrice. Se fosse costretta ad una raffigurazione omologata, non avrebbe senso e scopo di esistere. Attraverso la sua unicità, la coscienza individuale dà vita all’espressione molteplice della Creazione.

Il linguaggio delle immagini è, dunque, il più adatto ad essere recepito subitamente da ogni ordine di Deva costruttori nei piani delle frequenze della manifestazione materiale. Ciò è presto dimostrato dal potere delle immagini che, notoriamente, valgono più di mille parole. Tutti subiamo in modo differenziato il condizionamento delle immagini pubblicitarie o la forza evocativa dei film e il fascino delle mode. Un progetto architettonico è realizzato in base all’immagine del disegno in cui sono specificate non solo la forma ma anche le misure e le proporzioni. Difficile sarebbe porlo in opera mediante la sola descrizione verbale. E ancora, pensiamo a come sia stata tramandata la conoscenza attraverso la pietra con i graffiti degli uomini preistorici e, in epoche posteriori, i bassorilievi e le statue degli Egizi, Greci, Romani, fino ad arrivare ai nostri tempi. In modo che non solo fosse lasciata ai posteri la traccia di quelle civiltà, ma il popolo potesse ricevere una parte delle informazioni di cui erano in possesso le caste più erudite. Nelle cattedrali e nei castelli di tutto il mondo sono custoditi la storia e il sapere antico fissati nelle immagini epiche, nelle allegorie e nei fregi simbolici in cui le gesta dei grandi, le virtù dei santi e le forze trascendenti lasciano il segno. E che dire della Scienza che, con la scoperta dei neuroni a specchio, ha provato come la trasmissione dei comportamenti possa avvenire attraverso l’osservazione empatica. In questo modo i bambini imparano imitando le posture e le abitudini degli adulti.

Gli esempi potrebbero essere molti, non a caso la nostra è definita: “la Civiltà delle immagini”. Eppure l’esempio più probante è quello che riguarda la memoria in generale e quindi anche la memoria devica. Torniamo per un attimo indietro nel tempo, al ricordo del primo bacio. Come è notorio, il primo bacio non si scorda mai perché è un’immagine talmente vivida da balzare agli occhi in un istante. Eccola uscire dal magazzino della memoria e prendere forma. È lì nella sua immediatezza, non è vero?  Riconosciamo il luogo… la persona… sentiamo nascere nel cuore una specifica emozione. Ebbene sì, la memoria è fatta di immagini che attivano emozioni e pensieri, in una parola: ricordi. 

Tutta la memoria contenuta nel nostro cervello e la memoria planetaria conservata in quella che gli iniziati chiamano dimensione e sostanza akashica — la stessa sostanza magnetica a cui gli psicologi danno il nome di Immaginario collettivo — è composta di immagini. Sono immagini astrali come quelle dei sogni, le stesse immagini a cui attingono i nostri Deva. Il cervello non le distingue da quelle della cosiddetta realtà poiché, come disse Sakespeare, “Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni”.
E se tante immagini ci condizionano negativamente, è altrettanto vero che, invertendone la polarità, anziché condizionare potranno liberarci. Così avverrà scegliendo un’immagine rispondente alla qualità di un Archetipo. Con essa potremo cambiare la memoria di un Deva, stimolarlo a trasmutare il modello di sofferenza emulando un modello di perfezione che sarà più congruo ai fini evolutivi.

In conclusione, imparando ad usare le immagini che rispondono agli Archetipi sapremo, noi coscienze, comunicare consapevolmente le informazioni corrette ai nostri Deva in modo che possano migliorare i comportamenti e renderli finalmente consoni al livello coscienziale da noi raggiunto. Così assolveremo il compito di redimere la materia, cioè elevarla in frequenza, evolvendo, allo stesso tempo, come Anime coscienti.


* Articolo già pubblicato su fraternity.it

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