L’arte luminosa del dire

In quest’ultimo articolo [1] di etimosofia dell’anno in corso, sentiamo importante ribadire il concetto del giusto impiego della parola, quale veicolo del retto Pensiero. È scritto in un testo [2] di un Insegnamento tradizionale, che si cita per la sua potenza di sintesi: “[…] Vigilare le proprie parole ogni istante di ogni giorno […] si riferisce all’uso controllato delle parole per attuare certi fini, e al trattenere l’energia della parola quando questa non è necessaria. […] implica la comprensione dei cicli e dei momenti opportuni; presuppone la conoscenza del potere del suono e degli effetti prodotti dalla parola; implica la conoscenza delle forze costruttive della natura e il loro uso corretto, e si basa sulla capacità di dirigere la sostanza mentale e metterla in moto per ottenere risultati nella sostanza fisica, in accordo con il proposito chiaramente definito del Dio Interiore […]”.

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Offre quindi spunti di riflessione l’indagine odierna che tende a scoprire l’origine etimologica di alcuni termini che designano in vario modo l’espressione verbale.

In passato già abbiamo avuto modo di considerare il senso pregnante del sostantivo “parola”, che deriva da “parabola”, e custodisce nel suo etimo l’idea del lampo, aggiungendo qui che  l’utilizzo storico risale a un retaggio evangelico, in quanto le parabole di Gesù erano identificate quali le “parole” per eccellenza.

Oggi intendiamo esaminare il termine “dire”, che custodisce un nucleo altrettanto suggestivo, poiché secondo il linguista Rendich [3], l’etimo è la radice indoeuropea *DIŚ-, composta da tre elementi sonori: [ś], che esprime l’idea del “collegarsi”; [i], che indica il “moto continuo”, e infine [d], che designa la “luce”, significando pertanto il “collegarsi al moto della luce”, “indicare”, “mostrare”. Hanno questa stessa radice il sanscrito diś e il greco deiknymi, che significano entrambi “indicare”, “mostrare”, e il latino dicere, “mostrare con le parole”, “dire”.

Il “parlare”, dal latino medioevale parabolare, e il “dire” sono dunque connessi, rispettivamente, con l’idea di lampo e di luce: nel momento in cui riflettiamo su quest’essenza luminosa, ci sentiamo più responsabili nell’espressione dell’energia verbale e nell’impegno della giusta parola, e acquistano un peso più reale i concetti riportati all’inizio di questa pagina.

Segnaliamo ancora un altro termine latino, fari, parlare, il cui etimo in italiano ha lasciato poche tracce, quali ad es. i termini “fama” e “favola”, ma che riveste interesse perché esprime anch’esso l’idea dello splendere, risalendo alla radice indoeuropea *BHĀ -. Scrive Rendich: ‘[…] con la d indoeuropea, simbolo della “luce”, nacquero sia i termini sanscriti deva “dio” e dharma “legge”, “giustizia” sia la radice diś “mostrare”, cui si può far risalire il verbo latino dico,-ere, “parlare”. È da ritenere, d’altro canto, che anche i verbi sanscriti bhaṇ […], tutti con il significato di “parlare”, debbano essere fatti risalire alla radice bhā “splendere”, posto che in indoeuropeo è la luce a rendere manifesta l’energia cosmica e a trasmettere agli occhi e al cuore degli uomini la parola di dio.’ [4]

L’assimilazione tra la luce e il dire/parlare ci fa venire in mente una miriade di concetti affini e potenti, di cui in questo contesto ne citiamo soltanto alcuni, ma che ci sollecitano profondamente, essendo connessi a: il Terzo Raggio creativo; la specularità di luce/suono; il centro della gola, a livello individuale e mondiale, indicando il ruolo dell’Umanità rispetto alla Gerarchia e al Centro di Governo planetario…

È quasi stupefacente rilevare che anche i termini latini duco, “mostrare la via da seguire”, “guidare”, discipulus e disciplina, hanno lo stesso etimo diś del verbo “dire”, ad esprimerne la radianza e la potenza direttiva.

Alle soglie dell’anno cruciale del Quinto Settennio del Piano al quale stiamo lavorando, in gruppo ordinato secondo il canone settenario universale, è decisivo che nutriamo la consapevolezza di impegnarci per imparare, quale quarto regno di natura e Discepolo mondiale, l’arte della Mantrika Shakti o del Linguaggio, che designa l’Umanità o  quarta Gerarchia creativa.

La connessione del “dire” con la luce, in modo semplice e immediato, ci spinge ad orientarci al Cielo e a seguire i ritmi del suo Popolo luminoso, stelle e pianeti: l’Umanità, pur esprimendosi in migliaia di lingue, ha la facoltà di unificarsi testimoniando il linguaggio celeste, in modo commensurato e cadenzato, intessendo il dialogo con i Fratelli maggiori.

Sappiamo, perché innumerevoli volte ne abbiamo citato il senso, che mantra è un termine sanscrito che significa “strumento” [tra] del “pensiero” [man], e che quest’ultimo termine designa anche l’essere umano, come testimoniano ancora oggi la lingua tedesca e inglese. Possiamo compiere un altro passo in questa riflessione, poiché il suono [m] esprime l’idea di “rapporto” e di misura, e il suono [an] indica il “respiro del principio vitale” [5], essendo lo stesso, ad es., di “anima”: l’uomo è letteralmente, il “respiro del rapporto”, significato che lo apre alla relazione con l’Infinito esaltandone il ruolo di mediatore tra Cielo e Terra e di innovativo costruttore di un Ordine Planetario.

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1] Oggi, come succede ad intervalli di circa tre mesi, avviene la congiunzione eliocentrica tra Mercurio e Nettuno, associata all’armonia del linguaggio.

[2] A.A. BAILEY, Iniziazione Umana e Solare, Editrice Nuova Era, Prima Edizione Italiana 1950, pagg. ingl. 156-157

[3] Dizionario Etimologico comparato delle lingue classiche indoeuropee. Indoeuropeo- Sanscrito-Greco-Latino, Palombi Editori, 2010, pp. 466-467

[4] Op. cit. pp. 266-267

[5] Op. cit. pp. 289-291

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