Il Coscienziometro

Si dice e si legge che ciascuno sa cos’è la coscienza, ma capirla a fondo resta, al momento, al di fuori dei limiti della scienza, eppure la coscienza rappresenta tutto ciò che per noi è “reale”: genera e traduce ogni nostra esperienza.

Per molto tempo il materialismo ha allontanato l’uomo dal suo centro propulsivo  rallentandone l’espansione e lo studio della filosofia, cioè del pensiero, è passato in secondo piano. Eppure, mai come oggi, avremmo bisogno di creare nuovi schemi di ragionamento e di una nuova scienza in grado di collegare ed indagare le discontinuità che ci attorniano. Il Sole, nella quinta qualità di Aquarius, impone la verifica delle costruzioni mentali, vecchie e nuove, e sottolinea la necessità di ampliarne ed approfondirne la comprensione. La sua potente energia mette alla prova la forza interiore di ogni ricercatore.

Quando si parla di “mondo”, “universo”, “realtà” si parla di immagini mentali, per cui “come è possibile che la semplice  materia possa generare la mente?” La poetessa Emily Dickinson scrisse: “Il cervello è più grande del cielo” ma anche: “Ogni cervello non è che un’inezia nel vasto inventario dell’universo: una gelatina tremolante alloggiata in una tazza d’osso, una pagnotta coperta da un cappello, una misera spugna che un bicchiere di vino basta a ubriacare, e un pugno basta a farla a pezzi. Come può il cervello contenere il cielo?”.

Grazie a questo paradosso risulta  evidente che esplorare il cervello è una necessità  non solo per comprenderne i meccanismi, assai complessi ed affascinanti, con tutte le applicazioni che ne conseguono, ma soprattutto perché la coscienza muove dal cervello dal quale viene proiettata all’esterno come una palla di cannone. Solo così la coscienza/mente/cervello potrà contenere l’Universo o, meglio, quella porzione di Universo accessibile alle coscienze umane.

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La ricerca neuro-scientifica ha aperto un vasto campo di ricerca al riguardo e Giulio Tononi, neuro-scienziato trentino ora direttore del Center for Sleep and Consciousness dell’Università di Wisconsin-Madison, ha elaborato una interessante teoria.

L’equipe di Tononi (da Unitrento Mag, 2015) dichiara che: “la teoria parte dalla semplice osservazione delle proprietà fondamentali dell’esperienza soggettiva che è, allo stesso tempo, straordinariamente ricca di dettagli e assolutamente unitaria. L’idea di fondo è che anche il substrato fisico della coscienza debba essere un sistema straordinariamente differenziato e unitario al tempo stesso. Integrazione e differenziazione permettono la massima adattabilità: vuol dire capacità di mettere insieme le cose per capirne il contesto”. La teoria, denominata IIT, potrebbe aprire la porta all’analisi della dimensione filosofica della coscienza, visione incompatibile con l’attuale modello scientifico, conferendole una proprietà intrinseca: la coscienza  esiste in sé e per sé e funziona indipendentemente da osservatori esterni. Le implicazioni sono notevoli: dalla comprensione del posto che l’uomo occupa nella Natura, alla consapevolezza che l’esistenza e la crescita della coscienza sono indispensabili per dare un significato all’Universo.

Riportiamo un estratto di due interviste rispettivamente di A. Calisi e M. Piattelli rilasciate da Tononi a Il Diogene e al Corriere della Sera nel 2014.

«Per spiegare il fenomeno della coscienza occorrono non solo dati clinici e sperimentali, ma anche dei principi teoriciSiamo partiti dunque dall’osservazione che la coscienza è frutto della capacità di integrare un’enorme quantità di informazione. Infatti, nei soggetti coscienti l’attività neurale di una parte del cervello, chiamata sistema talamo-corticale, è caratterizzata dall’ integrazione tra le varie aree e dalla differenziazione delle attività locali.

Abbiamo calcolato il valore matematico di queste due caratteristiche fondamentali, che definiscono appunto l’attività cosciente. Il valore ottenuto, che abbiamo chiamato indice di complessità perturbativa (PCI), è una misura del livello di coscienza.»

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Quindi la coscienza nascerebbe, secondo Tononi, dalla complessità che deriva da un gran numero di sottosistemi diversi, strettamente collegati tra loro a vari livelli, che formano un unico sistema altamente integrato. «Ciò che conta per la coscienza è il numero di stati differenziabile da parte di un sistema integrato. [Quindi] il substrato della coscienza deve essere un’entità integrata capace di differenziare tra un numero straordinariamente grande di stati diversi. 

[…] Malgrado negli ultimi 40 anni le neuroscienze abbiano avuto uno sviluppo strepitoso, con approfonditi studi sui meccanismi della memoria e dell’attenzione, sulla motivazione nei suoi rapporti con il comportamento, sul linguaggio e sul pensiero, la coscienza sembra essere rimasta una sorta di cenerentola. La maggioranza degli scienziati mostra notevole ritrosia ad affrontare tale argomento; parlarne appare spesso una prova di cattivo gusto, o quanto meno un indice di dilettantismo. Un professionista serio, un conoscitore raffinato sa stare alla larga da certi argomenti palesemente inadatti a costruire una carriera rispettabile. La reticenza degli scienziati nell’affrontare un argomento tanto sfuggente sta nella diffusa convinzione che esso non si presti ad essere indagato in maniera scientifica. In altre parole, buona parte degli studiosi è portata a pensare che anche se si scoprisse tutto ciò che c’è da scoprire sui meccanismi del cervello; se avessimo identificato tutti i circuiti nervosi, analizzato tutte le molecole, compreso il funzionamento dei diversi sistemi percettivi e di quelli motori, ancora non avremmo compiuto alcun passo significativo riguardo al sorgere dell’esperienza soggettiva. »

Si tratta quindi di capire come possa un meccanismo fisico dar luogo alla coscienza e il concetto di informazione risulta determinante. L’ipotesi fondamentale è dunque che la coscienza è informazione integrata e tale integrazione dell’informazione è effettuata dall’insieme dei neuroni; il cervello umano, infatti, attraverso le numerosissime connessioni  tra i neuroni (le sinapsi), è in grado di assumere un numero enorme di stati possibili.

Tononi ha individuato un criterio matematico per misurare l’integrazione dell’informazione in un sistema fisico; a ogni sensazione si può associare una data configurazione di stati di un determinato insieme di neuroni. L’esperienza soggettiva corrisponde perciò a una specifica struttura geometrica che si evolve con il variare di questi stati, “disegnata” dall’attività del cervello.

 […] Si tratta di una questione tra le più ostiche che uno scienziato possa essere chiamato ad affrontare, poiché essa prospetta orizzonti teorici e concettuali del tutto nuovi. Il problema del ruolo, o della funzione, della coscienza nell’esistenza concreta dell’organismo ci conduce immediatamente alla questione del come un fenomeno sostanzialmente virtuale, generato dall’attività di specifici gruppi neuronali, possa avere un qualsiasi effetto causale sul piano della realtà fisica.

Una precedente teoria denominata “spazio di lavoro globale” spiega l’accesso cosciente a diversi stati e contenuti ma per determinare questa connessione alcune aree cerebrali debbono attivarsi simultaneamente, l’attivazione deve avere una determinata durata e, non ultimo, deve risultare una sincronizzazione del ritmo al quale i neuroni si accendono elettricamente.  Quando questo processo cerebrale si manifesta alla coscienza si producono immagini mentali, frammenti di un discorso, operazioni da compiere e così via. In genere questi contenuti caratterizzano l’ambiente in cui ci si muove e l’interazione con esso, e il risultato è una maggiore capacità di coordinamento e pianificazione. Tutto ciò serve uno scopo evolutivo e permette agli uomini una reazione più flessibile di fronte a situazioni anche molto complesse. Come specie abbiamo dunque sviluppato questa capacità di accesso globale alle informazioni e la teoria spiega perché l’uomo e altri animali dotati di un cervello abbastanza complesso, hanno questa tipo di coscienza.

Ciononostante Tononi ed altri scienziati pur ammettendo la validità di questo approccio, non lo considerano esaustivo. La teoria non spiega la ragione per cui da questa rete globale di interazioni neurali si produca l’esperienza soggettiva, quella sensazione che si ha quando si vede un’immagine o si comprende un concetto. La teoria dello “spazio globale” spiega come funziona il cervello negli stati coscienti ma non dice come fa ad emergere l’utente che collega tra di loro i contenuti e li fa emergere nell’esperienza di  vita interiore. Questo problema già affrontato in passato da diversi filosofi e fisici, e ancora irrisolto, è definito coscienza fenomenica o problema difficile della coscienza.

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L’aspetto fenomenico o qualitativo della coscienza dà effettivamente del filo da torcere sia ai filosofi sia agli scienziati, ed è proprio questo il problema difficile della coscienza. Il problema si risolverebbe rendendo oggettivamente comprensibile un determinato fenomeno: ma come si fa a rendere oggettivo ciò che è soggettivo per eccellenza, anche in considerazione del fatto che ogni stato cosciente coincide con un punto di vista esclusivo?

Ogni esperienza  che la mente avverte, psichica o fisica che sia, crea un rapporto che essa stessa instaura con tutto ciò che essa (la mente) considera al di fuori di sé. Ogni individuo intende diversamente queste esperienze e tale differenza dipende dallo stato evolutivo della sua coscienza; ne consegue che il medesimo evento può essere tradotto da due menti con differente consapevolezza, in due modi completamente dissimili.  Ciò significa che ogni cosa è di per sé neutra e non ha un valore definito se non quello che la mente/coscienza le attribuisce? Interessante quesito.

Anche se appare come una contraddizione in termini cercare di indagare la coscienza utilizzando il metodo proprio delle scienze naturali, può comunque essere una piattaforma plausibile dalla quale partire alla ricerca delle correlazioni tra gli aspetti qualitativi dell’esperienza e quelli quantitativi che le neuroscienze stanno riuscendo ad identificare molto bene. In virtù delle più aggiornate tecnologie utilizzate per lo studio del cervello, si hanno  informazioni sul modo in cui si comportano le strutture cerebrali in corrispondenza di determinate attività cognitive ed emotive. Pur tuttavia essendo il fenomeno “coscienza” ancora misterioso, che sfugge  agli strumenti esplicativi della scienza, appare indispensabile una stretta collaborazione tra scienza e filosofia.

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Nella scienza e nella filosofia ci siamo sempre stati. Sono cambiate le condizioni storiche, politiche e sociali ma non è mai cessata la necessità di scoprire nuovi contenuti all’interno di forme consolidate. Abbiamo sempre cercato la conoscenza, che non è l’insieme di singole conoscenze, ma quell’infinita potenzialità che va oltre quanto già si conosce e si applica e che la filosofia chiama verità. Non esiste scienza senza una nuova idea da esplorare e la scienza rappresenta la costruzione di queste novità, ne consegue che la conoscenza è essenzialmente il modo più corretto per organizzarle. Scienza e filosofia, che Platone definisce l’uso del sapere a vantaggio dell’uomo, sono inscindibili e molto difficili da determinare, non si sa esattamente dove si trovi il loro punto d’inizio e non se ne vede, per fortuna, il traguardo; esse sono, se correttamente intese, il nostro propellente evolutivo. Come separarle?

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