Economia delle emergenze

In questo ultimo articolo del settore Economia, tredicesimo dall’inizio delle pubblicazioni nel blog TPS, parleremo di un argomento sinora inedito ma di grande attualità a causa dell’emergenza “rifugiati”, a seguito di quanto sta avvenendo in molte zone del nord Africa e del medio oriente.

Emergenza è termine generale che richiede precisazioni: vi sono emergenze dovute a cause naturali, quali terremoti ed alluvioni, anche se queste ultime sono spesso influenzate da errati comportamenti umani, quali omissioni di interventi preventivi sulle cause originanti.

Nel caso specifico parliamo invece di emergenze socio-politiche avvenute a seguito della cosiddetta “primavera araba”, che tante speranze aveva generato alcuni anni or sono con le sue prime manifestazioni. Riepiloghiamo brevemente i principali eventi che ne hanno caratterizzato la manifestazione.

1) Tunisia, dicembre 2010, inizia la “rivoluzione dei gelsomini”. Il presidente Ben Ali lascia il potere dopo 25 anni.

2) Egitto, gennaio 2011, inizia la rivolta di piazza contro il presidente Mubarak, che lascia il potere, dopo 30 anni, a febbraio dello stesso anno.

3) Libia, febbraio 2011, inizia la caduta dell’era Gheddafi, che viene catturato ed ucciso nell’ottobre dello stesso anno, dopo 42 anni di potere.

4) Siria, gennaio 2011, inizia la rivolta contro la dinastia Al Assad, al potere dal 1970, degenerata in guerra civile a partire dal successivo anno 2012, ed ancora in corso oggi, avendo nel frattempo causato un esodo crescente che ha coinvolto milioni di persone.

Come denunciato dal Segretario Ban Ki-moon il 28 settembre scorso alla 70a Assemblea Generale dell’ONU:«Quattro anni di paralisi diplomatica hanno fatto sì che la crisi siriana sia diventata fuori controllo. Cinque Paesi in particolare hanno la chiave: Russia, Usa, Arabia Saudita, Iran e Turchia. Fino a quando le parti non faranno compromessi tra loro, è inutile aspettarsi cambiamenti sul terreno».

Ci sono voluti anni per arrivare a siffatta denuncia, la qual cosa mette in evidenza quanto sia urgente prendere in considerazione le parole del Papa che, solo qualche giorno prima, ha richiamato l’attenzione del mondo sulla necessità di riformare gli organismi internazionali, ancora oggi chiaramente impotenti a fronte di crisi politiche di tale portata, così come si era già visto nel luglio1995 quando i caschi blu hanno assistito passivamente al massacro di migliaia di mussulmani a Srebrenica, in Jugoslavia.

La crisi tunisina si è risolta velocemente ed in modo incruento, essa ha inoltre riguardato una popolazione di solo 10 milioni di abitanti.

La crisi egiziana sembra oggi stabilizzata, rimanendo il fatto che nel paese vi sono divisioni politiche significative, che l’Egitto occupa una posizione strategica mondiale, non solo per la presenza del canale di Suez, e che ha una popolazione di 80 milioni di abitanti.

Il collasso libico del 2011 ha provocato una situazione del tutto confusa; il paese ha meno di 7 milioni di abitanti, di cui un terzo nelle prime tre città, su di una superficie totale di oltre 1,7 milioni di kmq, circa sei volte quella italiana, ed è oggi politicamente diviso in due fazioni, frutto dell’accorpamento di milizie tribali, fazioni formatesi a seguito della caduta del regime quarantennale di Gheddafi.

Paese enorme, con un numero molto limitato di abitanti, ma ricco di petrolio e gas esportati soprattutto nell’Unione Europea, Italia in testa.

Questi primi tre aspetti della primavera araba hanno in comune il fatto di aver trovato una sia pur parziale soluzione in tempi molto ristretti, massimo sei mesi in Libia. Diverso il caso Siria dove la rivolta è iniziata più di quattro anni ore sono e la guerra civile perdura da oltre tre anni e dove forse solo oggi inizia a prospettarsi qualche sintomo di possibile soluzione.

La cosa sorprendente è che, in Libia e in Siria, sia potuto arrivato il fondamentalismo islamico dell’Isis in pochi mesi e in forze tali da creare quell’esodo di massa che ha colto di sorpresa tutto il mondo.

Se è vero che la Libia è un colabrodo facilmente perforabile, visto l’enorme estensione e la minima densità di popolazione, meno di 4 abitanti per kmq, ben diverso è il caso siriano, dove vivevano più di 20 milioni di abitanti in una superficie che è la decima parte di quella libica, e quindi con una densità di popolazione trenta volte maggiore.

Rimane poi da considerare che le forze Isis, per giungere in massa in Siria, hanno attraversato l’Iraq, paese che è stato teatro delle precedenti crisi degli anni ’80 e ’90, e di cui vediamo ancora oggi i segni.

Come è stato possibile che ciò sia avvenuto, senza nessun allarme preventivo, in un mondo in cui i satelliti spia sono in grado di osservare nel dettaglio tutto ciò che capita in ogni metro quadro della superficie terrestre?

Ed ancora, come ha potuto l’Isis crescere economicamente in quella misura, dotandosi in tempi brevissimi di un armamento sorprendente, in un mondo in cui NATO e Servizi di Intelligence delle cosiddette super-potenze dovrebbero sapere tutto di tutti?

Rimane il fatto che, per alcuni anni, abbiamo visto con preoccupazione l’arrivo di alcune migliaia di migranti sulle coste italiane del sud tramite Libia, con tutti i tentativi di minimizzare o enfatizzare gli effetti da parte di strutture politiche e amministrative italiane e/o europee per poi essere travolti, in questi ultimi mesi, dall’effetto Siria che, in tempi brevissimi, ha assunto una dimensione del tutto impensabile fino ai giorni precedenti, aprendo nuove rotte migratorie prima quasi inesistenti.

Riprendendo quanto detto all’inizio di questo articolo risulta evidente che l’emergenza rifugiati non è dovuta a cause naturali, ma da errori, forse soprattutto da omissioni, provocate di enti sovranazionali e nazionali, insomma da visione ristretta, da piccoli e meschini calcoli politici, da furbizie che si ritorcono pesantemente, purtroppo, non solo sugli autori delle furbizie stesse ma su tutta la comunità umana.

Essendo ancora molto difficile fare valutazioni etiche sulle politiche internazionali, sarebbe interessante provare ad applicare, ad eventi di tale portata, regole simili a quelle applicate in campo economico. Alcune organizzazioni internazionali sarebbero sicuramente in grado di abbozzare la voce “Uscite” di un “Conto Economico” dell’emergenza rifugiati, sia per quanto avvenuto sino ad ora, sia per il prossimo futuro, ad esempio per gli anni 2016÷2017, anni probabili di “normalizzazione”, sempre e solo nel caso si intervenga subito intelligentemente per risolvere questo specifico problema ma che, con tutta probabilità, dovremo presto prospettarci su scala planetaria.

Sul pianeta Terra è inevitabile la formazione di venti quando vi sono differenze di pressione atmosferica tra due zone relativamente vicine, e i venti saranno tanto più forti quanto maggiore sarà la differenza di pressione.

Lo stesso principio si applica anche nel caso di differenze economiche: tanto più una popolazione sarà indigente tanto più sarà pronta ad emigrare alla ricerca di miglior sorte.

Se alle ragioni economiche si aggiungono ragioni di vera e propria sopravvivenza, come nel caso di popolazioni che subiscono per anni situazioni di guerra, gli esodi di massa possono divenire inarrestabili, e non vi saranno muri fisici che potranno impedirli.

Come non è possibile contenere il vento di tempesta così non è possibile contenere comportamenti causati dalla disperazione.

Senza scendere nel particolare proviamo ad elencare i costi causati dalle crisi a cui abbiamo accennato, costi di carattere materiale, e che potrebbero quindi essere valutati approssimativamente, e costi di carattere immateriale, difficilmente quantificabili, ma che possono produrre danni di più lunga durata.

Nei costi materiali troveremo:

  • distruzione di case, scuole, ospedali, negozi, fabbriche, opere viarie, eccetera, causate dalle operazioni di guerra, senza considerare poi le bonifiche necessarie al successivo ripristino della normalità;
  • le spese per le operazioni di pattugliamento e recupero, del tipo Mare Nostrum e Frontex;
  • l’allestimento e l’operatività dei centri di accoglienza e identificazione dei migranti;
  • spese per l’aumento delle misure di sicurezza, causate dal timore di attentati (in alcune stazioni ferroviarie già oggi sono stati introdotti controlli prima dell’accesso ai binari);
  • spese mediche e di mantenimento di coloro che transitano sui vari territori;
  • spese per l’inserimento nella vita del paese di coloro che raggiungono finalmente una destinazione stabile, quali l’insegnamento della lingua, le intermediazioni culturali, l’avviamento al lavoro.

Nelle costi immateriali possiamo includere:

  • le migliaia di morti, di malattie e conseguenze psichiche generate dalle guerre e dal travaglio dell’emigrazione;
  • il desiderio di vendetta che viene a generarsi nei confronti delle fazioni avverse;
  • il senso di sfiducia e rivalsa nei confronti della comunità internazionale, che non è intervenuta, o che è intervenuta troppo tardi;
  • le quantità di denaro confluite verso le organizzazioni malavitose che gestiscono i flussi migratori in ogni loro aspetto;
  • aver in sostanza consentito che alcuni esercitino, nei confronti di numerosi disperati, una sorta di ritorno alla condizione di schiavitù;
  • la diffusione nell’opinione pubblica di un senso di impotenza, o peggio di incuranza, da parte delle organizzazioni internazionali nei confronti di eventi che sono sicuramente catalogabili quali “crimini contro l’umanità”, i primi per i quali dovrebbe valere il principio planetario della “obbligatorietà dell’azione repressiva e penale”;
  • a seguito dei recenti enormi aumenti dei flussi migratori vi sono stati alcuni momenti in cui sono stati sospesi gli accordi di Schengen (1993) sulla libera circolazione nei confini europei. Cosa accadrebbe se ciò dovesse verificarsi per tempi prolungati? Possiamo escludere, in tal caso, che non avvengano crisi di Borsa e la diffusione di un senso generalizzato di panico su scala mondiale?

Quanto sopra elencato, sicuramente implementabile a seguito di più accurate valutazioni, ingenera una serie di possibili domande alle quali dovremo cercare urgenti risposte:

  • perché dobbiamo oggi rimpiangere la scomparsa di dittature che solo qualche anno or sono generavano un profondo senso di ribrezzo?
  • perché abbiamo lasciato che una “primavera” divenisse un calvario?
  • cosa abbiamo omesso di fare, per pigrizia, per meschinità, per mancanza di visione, consentendo così che tutto ciò sia impunemente avvenuto?
  • ed infine, cosa dovremo mettere in atto, senza perdere tempo ulteriore, per redigere regole planetarie vincolanti che impediscano il ripetersi di tali crimini?

Tra le molteplici ragioni di sconforto che possiamo trarre dall’esame di avvenimenti di tale ordine, possiamo anche trovare però alcuni segnali positivi, l’entità degli avvenimenti stessi, infatti, lascia presagire che si stia per raggiungere un livello di coscienza umana che renderà presto ineludibile un attento esame delle cause e della ricerca delle possibili soluzioni e rendere irreversibile un processo di liberazione umana da tutte le guerre e soprusi, soprattutto se commessi nei confronti delle popolazioni più deboli.

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Una risposta a Economia delle emergenze

  1. Antonella N. dice:

    Quale possibile chiave per ravvisare le ’cause profonde’ degli eventi, quella astrologica/astronomica viene proposta dalla visione esoterica come principale: la “scienza delle relazioni spaziali è la massima delle scienze” (al di là che attualmente non vi sia ancora nell’umanità sufficiente coscienza per formarne il personale o per renderla un’istituzione. Quanti sono po i oggi, se ve ne sono, gli scienziati astrologi o gli astrologi scienziati?).

    In ogni caso, proviamo, per quanto viene proposto in questo articolo, a indicare dei possibili collegamenti tra i Fatti del Cielo e quelli della Terra.
    Considerando come maggiormente causanti i Cicli e le Date dei Luminari profondi, Plutone, “Colui che distrugge i legami ma non la coscienza”, il Riformatore, in Capricornus dal 2008 al 2024 travolge proprio tutti gli assetti cristallizzati ed obsoleti (vedi appunto l’ingente e globale crisi economica, politica e sociale attuale), così come nel suo transito precedente in tale Segno della Vetta iniziatica indusse il parto della nuova nazione americana (Guerra d’Indipendenza americana) e dopo qualche anno in Aquarius quello della Rivoluzione francese.
    Il 1º, 3º e 7º Raggio (Potere/Governo, Pianificazione/Economia ed Ordine/Organizzazione) trasmessi da Capricornus saranno potentissimi nella coscienza planetaria al tempo della prossima congiunzione di tali Signori del 1º e 3º Raggio solari, all’incipit del 2020 (l’ultima in Capricornus fu al tempo del Rinascimento nel 1518!), anticipando di pochissimo la ‘prima’ unione di Giove e Saturno in Aquarius, il Segno della Nuova Era (l’ultima congiunzione in Aquarius fu nel 1404!). Infine anche Nettuno ed Urano si congiungeranno in Aquarius nel 2160 (dopo 3600 anni!).

    Allora si può pensare che andiamo verso un secolo veramente di espansione, di Evoluzione invece che di Rivoluzione, di Interdipendenza armonica invece che di guerra d’Indipendenza, e che l’Umanità si emanciperà dalla necessità karmica di terroristi, governi dittatori o inesistenti, potenze interventiste o viceversa colpevolmente neutrali, mosse solo da interessi economici o per mantenere la propria supremazia internazionale.

    Una Data campale viene indicata dall’Insegnamento esoterico: il 2025, allorché Plutone in Aquarius potrà spargere ‘acqua di vita’ rinnovatrice per un Governo planetario basato su ‘auree’ relazioni e Nettuno-Saturno saranno insieme all’incipit di Aries ad ispirare nuovi Piani com-unitari. Anche altri Fatti celesti suggeriscono questo forte influsso a che l’Umanità sempre meglio si ‘ordini in libertà’ e ‘si liberi con ordine’.

    Nel frattempo, immaginiamo insieme, sempre meglio, i modi e le fasi per realizzare la libertà ordinata della nuova Cultura e Civiltà, poiché “il pensiero crea”.

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